Per configurare la fattispecie, deve essere almeno il doppio del limite consentito e, se lo è, deve comunque superare i 70 chilometri all’ora. Con la sentenza n. 7410/24 deposita il 20 febbraio 2024 la Cassazione ha spiegato come va interpretato il testo, in verità non un modello di chiarezza, relativo al comma 5 dell’articolo 589-bis del codice penale (il reato di omicidio stradale), comma che riguarda l’aggravante del superamento dei limiti di velocità. E che recita, testuale: “la pena di cui al comma precedente si applica altresì: al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, cagioni per colpa la morte di una persona”.
Sulla base di una interpretazione “in via alternativa” della seconda condizione, “e comunque non inferiore a 70 km/h”, la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 2023, aveva confermato la responsabilità di un automobilista in ordine al reato di omicidio stradale aggravato, con esclusione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonché l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.
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Ricorso in Cassazione di un imputato condannato per omicidio stradale aggravato dalla velocità
Il legale dell’imputato ha proposto ricorso per Cassazione denunciando in primis la violazione dell’articolo 589-bis, comma quinto, n. 1, del codice penale., per avere la Corte territoriale ritenuto configurabile la relativa circostanza aggravante in ragione del semplice superamento dei 70 km/h da parte della vettura investitrice condotta dal suo assistito in centro abitato, benché la velocità accertata, di 77 km/h, non fosse anche pari o superiore al doppio di quella consentita (in quel tratto di 50 Km/h).
Per i giudici l’aggravante si configurava semplicemente per il superamento dei 70 km/h
In buona sostanza, i giudici di merito, di primo e di secondo grado, in termini radicalmente opposti rispetto alla linea interpretativa sostenuta dalla difesa, avevano ritenuto la circostanza aggravante integrata in ragione dell’accertamento di una velocità pari o superiore a 70 km/h benché inferiore al doppio di quella consentita. Il riferimento ai 70 km/h della norma, secondo tale interpretazione, opererebbe dunque alla stregua di una “clausola di apertura” tale da consentire di ritenere i due elementi condizionanti l’operatività dell’aggravante, entrambi legati alla velocità, non cumulativi bensì alternativi tra loro. Ragionando diversamente, sempre secondo questa interpretazione, l’aggravamento non opererebbe con riferimento a fattispecie oggettivamente gravi in quanto caratterizzate dal procedere in centro urbano a una velocita pari o superiore a 70 km/h, solo perché inferiore al doppio di quella consentita, e si configurerebbe solo laddove quest’ultima fosse determinata nella misura di 35 km/h.
La Suprema Corte accoglie la doglianza e chiarisce l’interpretazione della norma
Ma la Suprema Corte conviene con la difesa dell’imputato censurando le conclusioni della Corte d’Appello. Significativa perla corretta lettura del comma in questione, spiegano gli Ermellini, è la funzione assunta dal termine “comunque”, con il quale “il legislatore pone in relazione tra loro le due componenti dell’unico elemento circostanziale in esame, entrambe afferenti alla velocità (“procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h,). L’uso testuale del detto termine “comunque”, per inserire l’elemento della velocità “non inferiore a 70 km/”, assume difatti, nella struttura della frase della quale si compone la norma in esame, un palese e univoco significato limitativo rispetto all’elemento precedente, anch’esso afferente alla velocità “pari o superiore al doppio di quella consentita”. Il legislatore ha così inserito una condizione di operatività dell’aggravante che, pur non entrando in contraddizione con la precedente, ne limita la validità. L’utilizzo della particella congiuntiva “e” attribuisce difatti al termine che essa precede (“comunque”) un valore di aggiunta e non di correzione con la funzione di far progredire il testo indicando che ciò che segue (velocità “non inferiore a 70 km/h”) si aggiunge enunciativannente a ciò che precede (velocità “pari o superiore al doppio di quella consentita”).
Per l’aggravante la velocità deve essere sempre il doppio del consentito e superare i 70 km/h
Pertanto, prosegue la Cassazione, “in termini opposti rispetto a quanto sostanzialmente ritenuto dai giudici di merito, il riferimento ai 70 km/h opera quindi alla stregua di una clausola non di “apertura” bensì di “chiusura” del precetto introducente la circostanza aggravante. Sicché, i due elementi condizionanti l’operatività dell’aggravante, entrambi legati alla velocità, devono essere intesi in termini cumulativi e non alternativi”: riassumendo, la velocità, per poter ritenersi integrata l’aggravante, deve necessariamente essere sia pari o superiore al doppio di quella consentita sia non inferiore a 70 km/h.
“E’ proprio siffatto profilo di qualificata offensività, apprezzabile per la maggiore gravità della condotta in quanto integrante entrambi i suddetti elementi condizionanti l’operatività dell’aggravante – evidenziano poi i giudici del Palazzaccio – a giustificare l’inasprimento sanzionatorio, in linea con il principio di offensività quale criterio guida, prima, del legislatore in merito alla individuazione dei singoli tipi di reato e degli elementi circostanziali e, poi, dell’interprete”.
Nello specifico, l’omicidio stradale non è dunque aggravato mancando la prima condizione
Nel caso specifico, quindi, conclude la Suprema Corte, l’aggravante va esclusa in quanto l’imputato teneva una velocità di percorrenza pari a 77 km/h su una strada del centro urbano con imposto il limite di 50 km/h, “con conseguente integrazione di uno solo dei due elementi costituenti l’aggravante in oggetto, la velocità non inferiore a 70 km/h, e non di quello costituito dalla velocità pari o superiore al doppio del limite consentito”.
Per la cronaca, i giudici del Palazzaccio hanno accolto anche il motivo di ricorso che lamentava l’omessa motivazione in merito all’applicata sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in luogo della mera sospensione, nonostante l’esclusione (in appello) dell’aggravante di cui all’art. 589-bis, comma secondo, cod. pen. 3.1. Infatti, “all’esito della parziale declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 222 cod. strada operata da Corte cost. n. 88 del 2019, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di omicidio stradale (oltre che di lesioni personali stradali gravi o gravissime), il giudice il quale, in assenza delle circostanze aggravanti della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, applichi la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, in luogo di quella, più favorevole, della sospensione, deve dare conto, in modo puntuale, delle ragioni che l’hanno indotto a scegliere il trattamento più sfavorevole sulla base dei parametri di cui all’art. 218, comma 2, cod. strada, l’entità del danno apportato, la gravità della violazione commessa e il pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare”.
Di qui dunque l‘annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 589-bis, comma quinto, n. 1, cod. pen., che è stata eliminata, e limitatamente alla statuizione inerente alla sanzione amministrativa accessoria, il rinvio per la sua rideterminazione ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, la quale dovrà pronunciarsi anche in merito alla richiesta concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, rimasta assorbita.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
Incidenti da Circolazione StradaleCondividi
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