Se un condomino acquista l’appartamento in data successiva alla delibera assembleare che ha approvato un determinato intervento di sistemazione o manutenzione, è obbligato a compartecipare alla spesa nei confronti dell’impresa?
No secondo la Corte di Cassazione, che il 20 giugno 2022 ha depositato una fondamentale ordinanza , la n. 19756/22, in tema di rapporti e di spese condominiali, stabilendo appunto che dei debiti condominiali verso terzi, a seguito di lavori, rispondono solo i condòmini che erano tali nel momento in cui il rapporto obbligatorio ha avuto origine, accogliendo il ricorso di un’acquirente contro la decisione della Corte di appello che invece l’aveva condannata al pagamento del credito maturato dall’impresa che aveva condotto alcuni lavori straordinari quando la proprietà dell’appartamento era ancora del venditore. Dunque, una decisione non affatto scontata se è vero che secondo i giudici territoriali sia di primo che di secondo grado, che si erano pronunciati sul contenzioso, l’obbligazione, in ragione della sua “natura ambulatoria“, ricadeva sui successivi proprietari dell’appartamento.
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Una condomina si oppone ai precetti di pagamento di una ditta per lavori svolti in condominio
La vicenda. Con due precetti notificati a una condomina il 24 marzo 2014, un’impresa le aveva intimato il pagamento di 101.700 euro, oltre accessori, mentre un legale, in qualità di difensore antistatario, aveva fatto altrettanto per ulteriori 23.557,22 euro. I precetti erano stati intimati in forza di un lodo arbitrale del 9 settembre 2008, reso esecutivo il 10 novembre 2008, che aveva accertato il credito della ditta nei confronti di un condomino di Salerno per i lavori di manutenzione straordinaria sulle parti comuni dell’edificio condominiale, deliberati e commissionati nell’anno 1991 e terminati nell’anno 1994. L’intimazione di pagamento era stata indirizzata alla donna, in qualità di condomina, nei limiti della sua quota millesimale di debito, per avere acquistato un appartamento dello stesso condominio con atto pubblico di vendita del 3 gennaio 2008.
La condomina, con citazione del 7 aprile 2014, aveva però proposto opposizione, davanti al Tribunale di Salerno, avverso i due atti di precetto notificati, obiettando che il titolo esecutivo non le era opponibile, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., dovendone rispondere il condomino proprietario nel 1991 e nel 1994, le date, rispettivamente della commessa e dell’ultimazione delle opere.
I giudici territoriali però le danno torto affermando la natura “ambulatoria” del credito
Il Tribunale, con sentenza del 21 dicembre 2015, tuttavia, aveva rigettato l’opposizione, in ragione della natura “ambulatoria” dell’obbligazione che ricadeva sui proprietari degli appartamenti del condominio. I giudici confermavano che la condomina in questione era in effetti estranea, sul piano temporale, alla ripartizione dei contributi condominiali regolata dall’art.63 disp. att. c.c., norma che si riferiva al credito del condominio verso i singoli condòmini, ma a loro dire era tenuta nei confronti del terzo creditore del condominio, il quale poteva agire sul patrimonio dei singoli condòmini.
La donna aveva appellato la decisione sfavorevole, ma la Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 2017, aveva rigettato il gravame, confermando il pronunciamento di primo grado. A sostegno della sua pronuncia la Corte territoriale aveva rilevato che le obbligazioni dei condòmini di concorrere nelle spese per la conservazione delle parti comuni dovevano considerarsi obbligazioni propter rem, poiché nascevano come conseguenza della contitolarità del diritto sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni; che quindi, alle spese per la conservazione delle cose comuni i condòmini erano obbligati in virtù del diritto di comproprietà su tali parti, accessorie ai piani o alle porzioni di piano in proprietà esclusiva, con la conseguenza che tali obbligazioni seguivano il diritto e si trasferivano per effetto della trasmissione della proprietà esclusiva; che nei rapporti tra terzo creditore e singolo condomino il principio di ambulatorietà passiva operava in modo pieno e incondizionato, mentre nell’ambito dei rapporti interni tra condòmini succeduti nella titolarità del diritto di proprietà esclusiva sui piani o porzioni di piano operava il principio generale della personalità delle obbligazioni condominiali; che, in virtù del principio di ambulatorietà passiva, l’acquirente chiamato a rispondere delle obbligazioni condominiali verso il terzo creditore, sorte in epoca anteriore all’acquisto, aveva diritto a rivalersi nei confronti del suo dante causa, ma non poteva opporre tale rapporto al terzo; che, quindi, la pretesa creditoria azionata con i precetti opposti era fondata, potendo la condomina rivalersi verso il suo dante causa.
La condomina ricorre per Cassazione che le dà ragione
La donna tuttavia non si è data per vinta e ha proposto ricorso anche per Cassazione, sollevando un unico motivo di doglianza. La ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 63 disp. att. c.c. e la falsa applicazione dell’art. 1104 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto la natura ambulatoria dell’obbligazione del condomino verso il terzo creditore, con la conseguente ritenuta inapplicabilità della limitazione temporale prevista per il pagamento dei contributi condominiali. Secondo la condomina, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente escluso l’operatività della delimitazione temporale di cui all’art. 63 disp. att. c.c. (per l’anno in corso e per quello precedente) con riferimento alla facoltà del terzo creditore di escutere il condomino, quale titolare attuale del diritto reale. E al riguardo ha contestato che la previsione di cui all’art. 63, quarto comma, disp. att. c.c. si applicasse al solo rapporto interno del condomino con il condominio e fra condòmini e non al rapporto esterno tra il condomino e il terzo creditore, poiché, sosteneva, la natura ambulatoria dell’obbligazione condominiale non si tradurrebbe nel trasferimento di questa nei confronti degli aventi causa del condomino, che sia proprietario dell’unità immobiliare all’epoca in cui è insorta l’obbligazione.
Secondo la Suprema corte il motivo è fondato. Ricordando che nello specifico la condomina aveva acquistato l’unità immobiliare successivamente all’epoca in cui l’obbligazione del terzo era insorta la Cassazione spiega che, “con riferimento alle intimazioni inoltrate dai terzi creditori verso il condomino – subentrato nella proprietà esclusiva dell’unità immobiliare successivamente alla deliberazione dei lavori di straordinaria manutenzione – non trova applicazione, né l’art. 63, secondo comma, disp. att. c.c. (e, dopo la novella di cui alla legge n. 220/2012, l’art. 63, quarto comma, disp. att. c.c.), né l’art. 1104, terzo comma, c.c.” Ne consegue, convengono con la ricorrente gli Ermellini, che “l’acquirente non è affatto tenuto a partecipare al saldo del debito vantato da tale terzo. Pertanto, le ragioni poste a fondamento dell’opposizione a precetto, disattese dal giudice di prime cure e dal giudice d’appello, sono invece pertinenti. E ciò perché, quanto ai rapporti esterni, ossia rispetto al terzo creditore, l’acquirente che subentra nella proprietà dell’unità immobiliare facente parte del condominio non risponde affatto dei debiti contratti dal condominio in epoca precedente all’acquisto. Mentre con riferimento ai rapporti interni, ossia nel rapporto con l’amministratore del condominio e con gli altri condòmini, l’acquirente risponde solo nei limiti temporali di cui all’art. 63, secondo comma, disp. att. c.c. (e, dopo la novella di cui alla legge n. 220/2012, all’art. 63, quarto comma, disp. att. c.c.)”.
Non è obbligato verso il terzo creditore chi non era condomino quand’è sorto l’obbligo di spesa
Ne discende pertanto che “non può essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, neppure per il tramite del vincolo solidale di cui all’art. 63, secondo comma, disp. att. c.c. (ora di cui all’art. 63, quarto comma, disp. att. c.c.), chi non fosse condomino al momento in cui sia insorto l’obbligo di partecipazione alle relative spese condominiali, nella specie per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni, ossia alla data di approvazione della delibera assembleare inerente a tali lavori”.
I giudici del Palazzaccio precisano poi che, in base all’attuale dettato dell’art. 63, secondo comma, disp. att. c.c. (norma non inerente alla fattispecie per difetto delle condizioni da essa previste), “in applicazione del principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali, il terzo creditore può agire nei soli confronti dei condòmini morosi e – solo dopo l’escussione di quest’ultimi – verso gli obbligati in regola con i pagamenti, sull’implicito presupposto che tali soggetti siano condòmini nel momento in cui il credito è insorto. La proprietà esclusiva degli immobili, al momento in cui ha avuto genesi il rapporto obbligatorio tra il terzo e il condominio, è, infatti, un elemento costitutivo dell’obbligazione dei condòmini”.
Da questo rilievo deriva ulteriormente, prosegue la Suprema corte, che “l’obbligazione dei condòmini di concorrere, secondo le proprie quote, al debito contratto dal condominio verso i terzi non è una obligatio propter rem, connotata dal requisito dell’ambulatorietà, appunto perché essa postula l’effettiva qualità di condomino nel momento in cui il rapporto tra il condominio e il terzo si è originato, qualità che ha valenza costitutiva dell’obbligazione e che, quindi, impedisce che l’obbligazione si trasmetta, secondo il diritto di sequela, agli aventi causa dei condòmini che abbiano acquistato successivamente la proprietà esclusiva dei piani o porzioni di piano facenti parte del condominio”.
Il caso, invece, dei rapporti interni, del tutto autonomi rispetto a quelli “esterni”
A questo punto gli Ermellini, cogliendo l’occasione, chiariscono anche le altre casistiche, puntualizzando che “solo con riferimento ai rapporti interni tra condòmini è stabilito un vincolo solidale, peraltro circoscritto nel tempo, che suffraga la ricostruzione secondo cui non si ricade nell’ambito delle obbligazioni reali”. Infatti, il rapporto “interno” e il rapporto “esterno” “sono del tutto autonomi.
In tema di spese per la conservazione delle parti comuni, “l’obbligo del singolo partecipante di sostenere le spese condominiali, da un lato, e le vicende debitorie del condominio verso i suoi appaltatori o fornitori, dall’altro, restano del tutto indipendenti, il primo fondandosi sulle norme che regolano il regime di contribuzione alle spese per le cose comuni (artt. 1118 e 1123 ss. c.c.), le seconde trovando causa nel rapporto contrattuale col terzo, approvato dall’assemblea e concluso dall’amministratore in rappresentanza dei partecipanti al condominio”. Ragion per cui, ripete la Cassazione, “quanto ai rapporti esterni, il terzo creditore non può agire verso gli acquirenti che diventano condòmini dopo che il credito verso il condominio è insorto, in forza dell’art. 1104, terzo comma, c.c. L’assunto dell’impugnata sentenza contrasta col tenore letterale della disposizione dettata dall’art. 1104, terzo comma, c.c., che si riferisce ai “contributi” dovuti e non versati. Senonché equiparare, ai fini della responsabilità del cessionario di un’unità condominiale, la nozione di “contributi” con quella di quota millesimale del credito vantato dal terzo nei confronti della comunione contrasta con il canone ermeneutico, fissato nell’art. 12 delle preleggi, del significato proprio delle parole; il debito per “contributi” é, infatti, per definizione, un debito nei confronti degli altri comunisti, non un debito nei confronti dei terzi. Pertanto, dei debiti condominiali verso i terzi rispondono solo i condòmini che siano tali nel momento in cui il rapporto obbligatorio ha avuto origine”.
La distinzione dei crediti per lavori nelle parti comuni ordinari e straordinari
Quanto ai crediti per i lavori di manutenzione delle parti comuni dell’edificio condominiale, la Cassazione distingue tra le spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi nell’interesse comune, e tra le spese attinenti a lavori che comportino una innovazione o che, “seppure diretti alla migliore utilizzazione delle cose comuni od imposti da una nuova normativa, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla manutenzione ordinaria dell’edificio“.
Tale distinzione concerne (anche qui) “l’individuazione del momento in cui nasce l’obbligazione condominiale”, che, per la prima tipologia di spese “coincide con il compimento effettivo dell’attività gestionale” mentre, per le seconde, “coincide con la data di approvazione della delibera condominiale (avente valore costitutivo) che dispone l’esecuzione degli interventi”. Ma, in entrambi i casi, continua la Cassazione, “il soggetto su cui grava il debito è colui che partecipa al condominio nel momento di insorgenza dell’obbligazione, quale che sia tale momento”. In termini più generali, “il condomino è tenuto a contribuire nella spesa la cui necessità maturi e risulti quando egli è proprietario di un piano o di una porzione di piano facente parte del condominio. E siccome l’obbligo nasce occasione rei e propter rem, chi è parte della collettività condominiale in quel momento deve contribuire”.
Invece, distingue la Suprema Corte, con riguardo ai soli rapporti interni (ossia allorché il creditore non sia un terzo ma il condominio stesso), “in tema di ripartizione delle spese condominiali tra venditore ed acquirente dell’immobile, il previgente art. 63, secondo comma, disp. att. c.c. (ora, in forza della legge n. 220/2012, l’art. 63, quarto comma, disp. att. c.c.) delinea, a carico dell’acquirente, un’obbligazione solidale, non propter rem, ma autonoma, in quanto costituita ex novo dalla legge esclusivamente in funzione di rafforzamento dell’aspettativa creditoria del condominio su cui incombe, poi, l’onere di provare l’inerenza della spesa all’anno in corso o a quello precedente al subentro dell’acquirente”.
Le spese competono al precedente proprietario che era tale quando furono deliberati i lavori
Pertanto, in base a tale analisi, “solo ai fini del riparto delle spese condominiali per l’esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione sulle parti comuni – ossia alle spese esigibili dal condominio -, vige il principio in forza del quale, laddove, successivamente alla delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione di tali interventi, sia venduta un’unità immobiliare sita nel condominio, i costi di detti lavori gravano, secondo un criterio rilevante anche nei rapporti interni tra compratore e venditore, su chi era proprietario dell’immobile compravenduto al momento dell’approvazione di detta delibera, la quale ha valore costitutivo della relativa obbligazione, anche se poi le opere siano state, in tutto o in parte, realizzate in epoca successiva all’atto traslativo, con conseguente diritto dell’acquirente a rivalersi nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva ex art. 63 disp. att. c.c., salvo che sia diversamente convenuto tra venditore e compratore, pur rimanendo comunque inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro”.
Per converso, in caso di azione proposta da soggetti terzi rispetto al condominio, volta all’adempimento delle obbligazioni contratte dall’amministratore per conto del condominio medesimo, “passivamente legittimati sono esclusivamente i proprietari effettivi delle unità immobiliari al tempo in cui il rapporto obbligatorio ha avuto genesi e non anche coloro che possano apparire tali, postulando la responsabilità pro quota dei condòmini il collegamento tra il debito e la titolarità del diritto reale condominiale (al momento in cui il credito è insorto), emergente dalla trascrizione nei registri immobiliari.
La sentenza impugnata è stata pertanto cassata, con con rinvio della causa alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che dovrà decidere uniformandosi al principio di diritto pronunciato nell’occasione: “In tema di condominio negli edifici, non può essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, né per il tramite del vincolo solidale di cui all’art. 63 disp. att. c.c., né attraverso la previsione dettata in tema di comunione ordinaria di cui all’art. 1104 c.c., chi non fosse condomino al momento in cui sia insorto l’obbligo di partecipazione alle relative spese condominiali, nella specie per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni, ossia alla data di approvazione della delibera assembleare inerente a tali lavori“.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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