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La tragedia un anno fa a Barletta, il pedone, travolto dall’auto dell’imputato, era stato caricato su un’altra macchina e lasciato ormai senza vita al pronto soccorso: la Procura ha chiesto il processo per favoreggiamento anche per i due complici che lo hanno aiutato
E’ stato investito mentre attraversava la strada, caricato agonizzante su una macchina, quasi “scaricato” ormai cadavere al pronto soccorso e “ucciso” un’altra volta dal disegno criminale ordito dall’automobilista che lo ha travolto – lo stesso Dario Sarcina arrestato nelle scorse ore con l’accusa di aver ammazzato Michele Cilli – e dai suoi complici per passarla liscia, ma ora i responsabili saranno chiamati a risponderne in giudizio e i familiari della vittima potranno quanto meno ottenere un po’ di giustizia.
A conclusione delle indagini preliminari per la tragica morte di Cosimo Damiano Lamacchia, a soli 52 anni, avvenuta nella sua città, Barletta, il 30 aprile 2021, il Pubblico Ministero della Procura di Trani, dott. Lucio Vaira, titolare del relativo procedimento penale, ha chiesto il processo per omicidio stradale per Dario Sarcina, 33 anni, anche lui barlettano, accusato di aver investito il pedone, ma anche per i fratelli L. M., 45 anni, e D. M., 35, sempre di Barletta, per il reato di favoreggiamento. Riscontrando la richiesta, il Gip del Tribunale di Trani, Carmen Anna Lidia Corvino, ha fissato l’udienza preliminare per il 2 maggio 2022, alle 9, presso il palazzo di giustizia cittadino: la moglie e i due figli del cinquantaduenne, che si sono affidati a Studio3A, si aspettano una risposta forte.
L’inchiesta, a cui hanno dato un contributo determinante la squadra Anticrimine e gli agenti del Commissariato di Barletta, ha ricostruito con solide basi probatorie i fatti di quella drammatica tarda mattinata. L’allarme scatta dopo mezzogiorno quando dall’ospedale civile di Barletta allertano il 113 perché tre uomini, su due auto distinte entrate strombazzando nel piazzale, hanno lasciato agli operatori del pronto soccorso una persona ormai priva di vita, salvo poi dileguarsi: le manovre rianimatorie sul paziente, rivelatosi poi essere Lamacchia, durate una mezzora, purtroppo non danno risultati, troppo gravi i traumi, in particolare cranico.
Sul posto si precipita una volante e gli agenti, dai primi accertamenti, vengono a conoscenza dai carabinieri di Barletta, che si sono appena portati in loco, che poco prima, in via Dimiccioli, è stato investito un uomo: ci vuole poco per capire che si tratta della stessa persona giunta cadavere all’ospedale, all’interno del vicino bar gli inquirenti rinvengono una scarpa della vittima. Ed è qui che gli agenti acquisiscono la prima dichiarazione di Dario Sarcina, figura già ampiamente nota alle forze dell’ordine per la sua fedina penale già allora corposa e adesso macchiata anche dalla pesantissima accusa di omicidio premeditato. Il trentatreenne a quel punto, fallito il tentativo di depistare le indagini, ammette di essere stato lui a investire il povero Lamacchia con la sua Fiat 500 Abarth mentre era intento a effettuare le manovre per parcheggiare all’altezza dell’incrocio tra via Dimiccoli e via Galilei, e di aver quindi seguito in ospedale la macchina su cui il pedone era stato caricato, per poi tornare a casa, cambiarsi e dare alla madre da lavare i vestiti sporchi di sangue, successivamente recuperati dai poliziotti e posti sotto sequestro, così come le vetture.
Gli agenti allora, verificato che una telecamera del sistema di video sorveglianza del bar puntava proprio sul luogo del sinistro, chiedono al gestore, L. M., di consegnare loro le immagini, ma questi dichiara che l’impianto non funziona da tempo, circostanza poi smentita da un tecnico che vi era intervenuto un mese prima e l’aveva lasciato del tutto funzionante. Non solo: il titolare dell’esercizio giura di non aver visto né di sapere nulla del sinistro, omettendo peraltro di riferire che la macchina su cui è stato caricato Lamacchia, una Suzuki, è proprio quella di suo fratello, D. M., come poi avrebbero accertato gli inquirenti sulla scorta della visione dei filmati di altre telecamere lungo il tragitto, dell’acquisizione di diverse testimonianze e dell’analisi del tabulati telefonici.
D. M. non è da meno del fratello, sostiene a sua volta che le telecamere del bar non funzionano addirittura da un anno e mezzo, e di non essere a conoscenza di nulla dell’incidente né delle fasi successive, rendendo, scrive il Pm, “una versione incredibile e reticente”, e omettendo di riferire che vi era convolto Sarcina: per la cronaca, la squadra anticrimine ha accertato che a guidare la Suzuki nell’ultimo, disperato e inutile viaggio di Lamacchia all’ospedale c’era il fratello di Sarcina e con lui una terza persona, a carico dei quali tuttavia non sono scattati provvedimenti.
Gli accertamenti tecnici specifici sul sinistro sono stati poi affidati dal Sostituto Procuratore al medico legale dott. Biagio Solarino, il quale ha effettuato l’autopsia sulla salma confermando come la causa del decesso fosse da attribuire a uno “shock traumatico da lesioni fratturative craniche” e come il politrauma si fosse verificato “a causa di investimento auto-pedone”, e all’ing. Pasquale Maurelli, che, pur tra le difficoltà di una “scena” totalmente “inquinata” dallo spostamento del pedone e della vettura e dal passaggio di altre auto e persone, ha redatto la perizia cinematica per stabilire dinamica, cause e responsabilità. Quest’ultimo, nel suo elaborato, ha ricordato come “sia dovere dell’automobilista, essendo il pedone l’utente debole della strada, quello di permettere sempre al passante di completare l’attraversamento della sede stradale in totale sicurezza”: Lamacchia, quand’è stato centrato, era già giunto all’incirca alla linea di mezzeria.
Nello specifico invece Sarcina, “per ragioni che non possono essere oggettivamente determinate (distrazione e/o imprudenza) non si avvedeva dell’attraversamento messo in atto da Lamacchia e lo attingeva: ai fini della causazione dell’evento la condotta di guida dell’indagato ha avuto un rapporto causale preponderante” conclude il consulente tecnico del Pm. Alle fondamentali operazioni peritali hanno partecipato, rispettivamente, anche il medico legale dott. Mauro Ciavarella e l’ing. Pietro Pallotti forniti da Studio3A-Valore S.p.A, società specializzata a libello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, a cui i familiari della vittima si sono affidati, attraverso il responsabile della sede di Bari e area manager Puglia, Sabino De Benedictis, per essere supportati in tutte le attività necessarie al perseguimento dell’iter risarcitorio e che ha messo a disposizione dell’avvocato penalista della famiglia alcuni dei suoi più validi esperti per offrire il miglior contributo possibile all’accertamento della verità e delle responsabilità.
Sulla scorta delle perizie e delle indagini, quindi, il Pm ha chiesto il rinvio a giudizio per Sarcina, imputandogli di aver “causato il decesso del pedone per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché colpa specifica derivante dalla violazione degli art. 140, 141 e 191 del Codice della strada”, “per non essersi avveduto del pedone che stava attraversando la strada, per non aver conservato il controllo del veicolo in modo da arrestarsi tempestivamente dinanzi all’ostacolo prevedibile costituito dal pedone stesso in fase di attraversamento, e per non aver consentito al pedone, che aveva già impegnato la carreggiata, di raggiungere il lato opposto in condizioni di sicurezza”. Ma il dott. Vaira, come detto, ha chiesto il processo per favoreggiamento anche per i due fratelli L. M. e D. M. in quanto, “conoscendone la caratura criminale, aiutavano Sarcina a eludere le investigazioni”, con le già citate bugie e reticenze.
In tutto questo dramma e questa pagina nera, la consolazione forse più grande per i cari di Lamacchia è che le indagini hanno escluso in via assoluta l’esistenza di qualsivoglia legame tra lui e l’investitore, perché le modalità con cui era stato abbandonato al pronto soccorso avevano inizialmente fatto pensare anche al crimine intenzionale, a maggior ragione con il senno di poi visti gli ultimi sviluppi del caso Cilli. L’investimento, almeno quello, è stato solo un terribile e tragico caso e questa verità restituisce dignità alla figura di un uomo e padre di famiglia, Cosimo Damiano Lamacchia, che era un onesto lavoratore, che per tutta la vita ha sgobbato come operaio in una fabbrica tessile per portare a casa il pane e per far studiare i figli, con il desiderio di poter vedere un giorno il primogenito Luigi, allievo di danza al Teatro dell’Opera di Roma, calcare le scene dei più prestigiosi teatri. Una soddisfazione che purtroppo non potrà mai provare, ma anche di questo, come della loro immensa perdita e della ignobile messa in scena che hanno dovuto ulteriormente sopportare, i congiunti della vittima chiederanno conto, confidando in una pena esemplare da parte della giustizia penale.
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