Non è infrequente che un cliente, soprattutto nei casi in cui revoca il suo legale, incontri poi molte difficoltà nel farsi restituire da questi gli atti di causa, quando non si arrivi anche a dinieghi espliciti motivati dal mancato pagamento della parcella.
Ebbene, si tratta di condotte professionali deontologicamente scorrette e sanzionabili, come ha ricordato con forza il Consiglio Nazionale Forense con la recente sentenza n. 11/23 con la quale ha confermato la sanzione disciplinare della censura inflitta a due avvocati e, soprattutto, ha ribadito che un legale non può subordinare al pagamento del proprio compenso la restituzione degli atti al suo assistito, anche se “ex”.
Indice
Una cliente presenta un esposto contro i suoi due ex avvocati al loro ordine di appartenenza
Ad avviare il contenzioso, con un esposto presentato all’Ordine degli Avvocati di Brescia, era stata una donna la quale aveva denunciato la condotta tenuta dai suoi due legali. I quali, secondo l’accusa, avevano affermato la necessità della loro presenza nella consulenza tecnica disposta dal giudice sul procedimento in questione, nonostante la nomina di un consulente tecnico di parte, con il risultato di rallentare le operazioni peritali. A seguito di tale comportamento la cliente aveva loro revocato l’incarico, chiedendo la restituzione dei fascicoli e la trasmissione di una nota delle competenze.
Anche i nuovi difensori avevano confermato di aver sollecitato più volte i loro colleghi, ex patrocinatori, alla restituzione della documentazione, tanto più urgente essendo nel frattempo intervenuta la richiesta di archiviazione di una querela depositata dalla donna nei confronti dell’ex marito.
Sotto accusa la parcella “gonfiata” e la mancata restituzione degli atti di causa
I due ex legali avevano quindi inviato la nota spese comunicando che avrebbero provveduto alla restituzione dei fascicoli solo dopo aver ricevuto il pagamento di quanto dovuto.
Il contenzioso tra le parti si è poi ulteriormente complicato e la cliente ha aggiunto una specifica integrazione all’esposto, dolendosi del fatto che i suoi due ex patrocinatori avevano presentato un ricorso presso il Tribunale di Brescia con il quale essi avevano chiesto una liquidazione di compensi di gran lunga maggiorati rispetto alla nota precedente.
Il Consiglio di Disciplina apre un procedimento e sanziona con la censura i due avvocati
A fronte dell’esposto e successive integrazioni, il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Brescia nel 2014 aveva aperto un procedimento disciplinare nei confronti dei due avvocati per essere venuti meno, per citare il capo d’imputazione, “ai doveri di lealtà, correttezza professionale e diligenza in relazione ai seguenti fatti: per aver violato l’art. 29 V comma del CDF (il Codice Deontologico Forense) per aver richiesto un compenso maggiore di quello già indicato, senza averne fatto espressa riserva, e per aver violato l’art. 33 CDF in quanto invitavano la cliente a saldare la parcella prima del ritiro di documenti”. E, una volta espletata l’istruttoria, il Ccd aveva dichiarato la loro responsabilità disciplinare irrogando la sanzione della censura.
Sanzione che tuttavia i due professionisti avevano impugnata dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, che tuttavia ha ritenuto infondato il loro ricorso confermando il provvedimento a loro carico.
Il Cnd ha rigettato una serie di censure formali e procedurali avanzate dai due legali ed è poi entrata nel merito evidenziando come il Consiglio Distrettale di Disciplina avesse fondato in odo ineccepibile la sua decisione “sulla documentazione in atti e precisamente sulla nota inviata dagli incolpati alla cliente che riportava un saldo di 9.468 euro del 16/10/2014 e sul successivo ricorso depositato al Tribunale di Brescia con una richiesta di competenze a saldo per 14.941,35 euro, non ritenendo di alcun pregio sia la tesi difensiva secondo la quale vi sarebbe stata una riserva di richiesta di maggiori compensi nella nota del 16/10/2014 riferendosi la dicitura “ con riserva di maggiori costi” solo all’aggravio di spese in un eventuale recupero giudiziale” . E, per quanto riguarda l’altro capo di imputazione, quello che qui più preme, sulla loro stessa missiva nella quale si affermava chiaramente che” la documentazione sarebbe stata restituita (solo) a seguito del pagamento”: “essendo peraltro stato confermato in dibattimento il dato che tale circostanza fu riferita anche in seguito ai nuovi difensori – osserva il Consiglio Nazionale -, non si può porre in dubbio l’avvenuta violazione deontologica”.
L’avvocato non può richiedere un compenso maggiore di quello già indicato
L’art. 29, 5 comma del CDF prevede infatti che, ribadisce il Cnf, che “l’avvocato, in caso di mancato pagamento da parte del cliente, non deve richiedere un compenso maggiore di quello già indicato, salvo ne abbia fatta riserva”.
E soprattutto non può negare la restituzione degli atti di causa perché non è stato ancora pagato
Ma soprattutto, il Cnf rammenta che l’art. 33 del nuovo Codice Deontologico Forense, prevede al primo comma che “l’avvocato, se richiesto, deve restituire senza ritardo gli atti ed i documenti ricevuti dal cliente e dalla parte assistita per l’espletamento dell’incarico e consegnare loro copia di tutti gli atti e documenti, anche provenienti da terzi, concernenti l’oggetto del mandato e l’esecuzione dello stesso sia in sede stragiudiziale che giudiziale” e al comma 2 che “l’avvocato non deve subordinare la restituzione della documentazione al pagamento del proprio compenso”.
Peraltro, già il precedente codice deontologico prevedeva un illecito analogo all’art. 42 secondo cui “l’avvocato è in ogni caso obbligato a restituire senza ritardo alla parte assistita la documentazione dalla stessa ricevuta per l’espletamento del mandato quando questa ne faccia richiesta” sottolinea il Consiglio Nazionale Forense, citando anche una propria precedente sentenza, la n. 1401 del 10 maggio 2021, nella quale si affermava che “l’omessa restituzione al cliente della documentazione ricevuta per l’espletamento del mandato va deontologicamente sanzionata, atteso che ai sensi degli artt. 2235 c.c., 42 c.d. (ora, 33 ncdf) e 66 del R.d.l. n. 1578/33, l’avvocato non ha diritto di ritenere gli atti e i documenti di causa, né può subordinarne la restituzione al pagamento delle spese e dell’onorario”.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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