Il fatto che un pedone sia caduto su una buca della strada anche per una sua disattenzione, procurandosi gravi ferite, non è sufficiente per escludere la corresponsabilità per omessa custodia da parte dell’Ente locale.
Lo ha ribadito con forza la Cassazione, con l’ordinanza n. 35558/22 depositata il 2 dicembre 2022, “preziosa” per la tutela delle migliaia e migliaia di danneggiati a causa delle condizioni spesso disastrate di vie e marciapiedi.
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I giudici territoriali condanno un Comune a risarcire una cittadina caduta su una buca
Il contenzioso per il risarcimento danni intentato da una cittadina nei confronti del Comune di Monte Sant’Angelo, nel Foggiano, era stato salomonicamente giudicato dal Tribunale che, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria proposta dalla malcapitata, vittima di una grave caduta a causa di una buca sul manto stradale occorsale il 9 dicembre 2006 mentre camminava tra le bancarelle del mercato rionale, aveva riconosciuto il suo concorso colposo nell’evento nella misura del 50 per cento, condannando quindi l’ente al pagamento in suo favore della metà dei pesanti danni fisici patiti così come quantificati dalla consulenza tecnica medico legale, più precisamente una somma di 147.875 euro.
Decisione confermata con sentenza dell’aprile 2021 dalla Corte d’Appello di Bari, che aveva rigettato i gravami contrapposti delle due parti. I giudici, con riferimento alla condotta della danneggiata, avevano rilevato che, in forza del principio di auto-responsabilità, essa con una maggiore diligenza ed attenzione avrebbe dovuto avvedersi della sconnessione, evidente, presente sul tratto stradale percorso, tanto più perché l’infortunio era accaduto in pieno giorno e in presenza di tanta gente, durante il mercato cittadino, elementi, questi, che avrebbero dovuto indurre il pedone a prestare una maggiore prudenza nel percorrere la strada anche in considerazione del fatto che stava procedendo a piedi (e quindi a velocità assai ridotta) e che quindi poteva avere una esatta percezione dello stato (affollato) dei luoghi, fermo restando comunque il concorso di colpa del Comune per non essere intervenuto a riparare l’asfalto esponendo gli utenti a seri pericoli per la loro incolumità.
L’amministrazione ricorre per Cassazione battendo sulla condotta disattenta del pedone
Il Comune tuttavia ha deciso di ricorrere anche per Cassazione lamentando il fatto che la Corte d’Appello avesse da un lato affermato la responsabilità dell’Ente e dall’altro la sussistenza di una condotta colposa da parte della danneggiata consistita, come detto, nel non aver prestato una maggiore prudenza nell’attraversare la strada pubblica pur avendo l’esatta percezione dello stato dei luoghi, non ritenendo quindi interrotto il nesso eziologico tra il comportamento del pedone ed il danno, pur essendo stata fornita dall’Amministrazione comunale la prova del fortuito (consistita appunto nella condotta autonoma e colposa della vittima).
Ma per la Suprema Corte le censure sono infondate. Gli Ermellini rammentano che l’art. 2051 del codice civile, nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, “individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima”. La deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode, prosegue la Cassazione, “rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 cod. civ., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso”.
Il caso fortuito e la condotta del danneggiato
Il caso fortuito, poi, che può essere rappresentato da fatto naturale o del terzo, o dalla stessa condotta del danneggiato, “è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode: peraltro, le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere”. E, soprattutto, i giudici del Palazzaccio rammentano che la condotta del danneggiato, “il quale entri in interazione con la cosa”, si atteggia diversamente “a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, comma primo, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.”.
Ne consegue pertanto che, quanto più la situazione di possibile danno “è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze”, tanto più incidente deve considerarsi “l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
La concorrente condotta colposa della vittima non esclude la corresponsabilità del custode
Alla luce di tali principi, la Suprema Corte non rileva alcuna intrinseca e irriducibile contraddittorietà tra l’affermazione del carattere imprudente della condotta della danneggiata e il riconoscimento di una responsabilità, concorrente, del Comune quale custode della cosa da cui è derivato il danno, ex art. 2051 cod. civ., “la cui applicazione, nel caso concreto, risulta conforme alla consolidata interpretazione datane da questa Corte”.
In tema di responsabilità per danni da cosa in custodia, infatti, sentenziano i giudici del Palazzaccio, “ove il danno consegua all’interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l’agire umano, non basta a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti come “caso fortuito” e, dunque, per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa”.
Per “assolvere” il Comune il comportamento del danneggiato dev’essere imprevedibile
La “eterogeneità” tra i concetti di “negligenza della vittima” e di “imprevedibilità” della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che “la condotta negligente, distratta e imperita, imprudente della vittima, ferma la sua rilevanza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1227, comma primo, cod. civ., non è di per sé sufficiente ad escludere del tutto la responsabilità del custode, occorrendo anche che si tratti di condotta non prevedibile né prevenibile”. E stabilire se una certa condotta della vittima di un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui sia o meno imprevedibile e non prevenibile “è un giudizio di fatto, e come tale riservato al giudice di merito – vanno a concludere gli Ermellini – Nella specie tale valutazione deve ritenersi operata nel secondo senso dal giudice a quo, sia pure indirettamente o per implicito. Le censure sul punto svolte, lungi dall’individuare il dedotto error in iudicando, si risolvono nell’inammissibile sollecitazione di una diversa valutazione di merito, certamente estranea al giudizio di legittimità”. Dunque, ricorso rigettato e condanna del Comune al maxi-risarcimento confermata.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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