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E’ un provvedimento di assoluto rilievo quello pubblicato dalla Cassazione il 29 marzo 2023 in tema di responsabilità civile verso terzi, più precisamente l’ordinanza n. 8879/23: il caso è quello “classico” della caduta su una buca, più in particolare un tombino lasciato aperto e non segnalato, ma il principio è estensibile a tutte le tipologie di sinistro sul “luogo” in oggetto.

Ciò che qui era in discussione, infatti, era la responsabilità o meno del Comune su una strada cosiddetta vicinale, formalmente non di proprietà dell’Ente comunale stesso ma dei proprietari dei fondi annessi costituiti in Consorzio: responsabilità che la Suprema Corte ha riconosciuto, in virtù dell’uso pubblico della strada. 

Una donna cita Comune e Consorzio delle strade vicinali per una rovinosa caduta in un tombino

Una donna, nel lontano 2003, aveva citato in causa un Comune toscano e il Consorzio Riunito delle Strade Vicinali del luogo chiedendo il riconoscimento della loro responsabilità, ai sensi dell’art. 2051 del codice civile, ovvero dell’art. 2043 c.c., e il conseguente risarcimento dei danni subiti a causa di un rocambolesco incidente accadutogli appunto in una strada vicinale che si trovava nel comune in questione e di proprietà del Consorzio.

La danneggiata, una sera di settembre, stava rientrando nell’agriturismo dove avrebbe dovuto pernottare con l’auto condotta dal marito quando questi, dopo aver imboccato e percorso per alcuni chilometri la strada vicinale in questione, si era reso conto di aver oltrepassato il punto in cui avrebbe dovuto svoltare. Il conducente aveva quindi cercato di fare inversione di marcia ma, a causa del manto stradale reso viscido e dalla mancanza di illuminazione, la vettura era slittata sul lato sinistro finendo con la ruota posteriore sinistra in un pozzetto privo di protezione situato ai margini della strada. Essendo rimasto bloccato lo sportello del coniuge, la moglie era scesa dall’auto per aiutarlo nella manovra di rientro in carreggiata ma era precipitata nel pozzetto lasciato aperto, riportando gravi lesioni.

I giudici di merito accolgono la domanda condannando entrambi i soggetti chiamati in causa

Il Tribunale di Grosseto aveva accolto la domanda risarcitoria, ritenendo i due enti responsabili ai sensi dell’art. 2051 c.c. e condannandoli in solido a risarcire la malcapitata con una somma di 74mila euro.

Comune e Consorzio avevano appellato la sentenza con due atti distinti. In particolate, l’amministrazione comunale era tornata a sostenere il proprio difetto di legittimazione passiva, allegando che la strada non era di sua proprietà e di non essere quindi gravato di alcun obbligo di vigilanza e manutenzione su di essa, benché fosse inserita nell’elenco delle strade vicinali comunali. E aveva altresì aggiunto, per corroborare le proprie tesi, che, con distinta sentenza del giudice di pace penale passata in giudicato, era stata esclusa la responsabilità penale nell’accaduto, e nelle lesioni riportate dalla donna, tanto del sindaco quanto del comandante della polizia locale, mentre invece era stata affermata la responsabilità penale del rappresentante legale del Consorzio. Sostenendo infine che il giudice civile di prime cure non avrebbe preso adeguatamente in considerazione il comportamento colposo della stessa danneggiata e del marito.

Il Consorzio invece censurava la sentenza di primo grado per non aver ritenuto provato il caso fortuito, sostenendo che il sinistro doveva ricondursi al difetto strutturale della strada nonché soprattutto alla condotta negligente dei due coniugi, e dolendosi anche della mancata chiamata in causa dei proprietari dei fondi antistanti la strada, già assoggettata ad uso pubblico, che secondo le tesi difensiva dovevano ritenersi comunque responsabili, con conseguente difetto di legittimazione passiva (anche ) del Consorzio.

 

Il Comune obietta di non essere proprietario della via ma giudici rilevano il pubblico passaggio

Ma la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 2019, aveva rigettato entrambi gli atti d’appello, confermando la decisione di prime cure. I giudici di secondo grado avevano evidenziato che l’incidente era successo su una strada vicinale inserita nell’elenco della rete viaria del Comune e che quindi si trattava di strada vicinale pubblica, ovvero di una strada vicinale di proprietà dei frontisti ma sulla quale veniva esercitato il pubblico passaggio, esercitato quindi da una collettività di persone qualificate dall’appartenenza ad un gruppo territoriale, per esigenze di carattere generale tra le quali il collegamento alla via pubblica. Pertanto, la Corte territoriale aveva ribadito che incombeva al Comune l’obbligo di sorveglianza anche in riferimento all’esecuzione della manutenzione, con l’onere di sostituirsi ai privati in caso di carenza della stessa, rigettando dunque l’eccezione di difetto di legittimazione passiva.

Quanto poi al Consorzio, la Corte d’Appello aveva anche qui ribadito che l’ente, in quanto appunto consorzio tra proprietari degli immobili comproprietari della strada vicinale, era direttamente gravato dall’obbligo di manutenzione. Ergo, i giudici avevano ritenuto entrambi i soggetti pubblici responsabili per custodia, escludendo anche motivatamente che la loro responsabilità potesse essere esclusa in ragione del caso fortuito.

 

Escluso il caso fortuito, il tombino a bordo strada era stato lasciato scoperto e non era segnalato

I giudici avevano infatti accertato che la danneggiata era caduta in un pozzetto di scolo delle acque, presente al margine della carreggiata, sulla banchina, riservata al transito dei pedoni, pozzetto peraltro largo ben un metro per un metro e mezzo, lasciato completamente scoperto e non segnalato, privo di qualsiasi forma di protezione e ai margini di una strada senza alcuna illuminazione pubblica.

In conclusione, la Corte territoriale aveva ritenuto che la causa dell’incidente fosse da ascriversi esclusivamente alla anomalia della cosa in custodia, mentre le condizioni di tempo (l’ora tarda) e di luogo (come detto mancanza di illuminazione pubblica, di recinzione, la scopertura del pozzetto e la sua collocazione sul luogo deputato al transito dei pedoni) escludevano che il comportamento della donna – la quale, come detto, aveva solo cercato di accedere alla banchina laterale, destinata al transito dei pedoni, per aiutare il marito dandogli indicazioni nella manovra – integrasse gli estremi del fortuito, fungendo da elemento interruttivo della serie causale.

Il Comune tuttavia non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione, tornando ad addurre la sentenza penale che aveva escluso ogni responsabilità penale in capo al sindaco e al comandante dei vigili, assolti per non aver commesso il fatto, laddove invece era stato condannato per lesioni personali gravi il presidente del Consorzio. Ma, soprattutto, il Comune ha lamentato il fatto che la Corte d’appello di Firenze avesse confermato la sua legittimazione passiva sulla domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla donna soltanto in ragione dell’inserimento della strada vicinale “incriminata” nell’elenco della rete viaria comunale, e per aver ritenuto che il passaggio su di esse fosse esercitato “juris servitutis publicae” da una collettività di persone, per cui il Comune doveva comunque esercitarne il controllo funzionale.  Dopo aver rilevato che la strada vicinale in oggetto era di proprietà e nel possesso dei proprietari frontisti costituiti nel Consorzio, che quindi ne avevano statutariamente assunta la custodia con l’obbligo di curarne la funzionalità eseguendo tutte le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, la Corte avrebbe illogicamente e contraddittoriamente condannato il Comune al ristoro dei danni per un assunto mancato controllo dello stato della strada.

Ma la Cassazione ha rigettato tutti i motivi di doglianza. Quanto al primo, la Suprema Corte ricorda il principio di legittimità secondo il quale “l’efficacia di giudicato della sentenza penale irrevocabile di assoluzione nel giudizio civile, di cui all’art. 654 c.p.p., postula, sotto il profilo soggettivo, la perfetta coincidenza delle parti tra i due giudizi, vale a dire che non soltanto l’imputato, ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale”. Nel caso di specie, invece, la sentenza assolutoria, proseguono gli Ermellini, “non spiega alcuna efficacia sul distinto giudizio civile risarcitorio sullo stesso episodio, perché la danneggiata non si era costituita parte civile nel giudizio penale”, per cui “la sentenza penale di assoluzione non fa stato nei suoi confronti”.

 

Anche se private, le strade vicinali adibite a pubblico transito competono (anche) al Comune

Chiarito questo punto i giudici del Palazzaccio entrano nel cuore della questione, le responsabilità sulle cosiddette strade vicinali, e secondo la Cassazione su tali strade “sussiste la responsabilità per custodia del Comune a prescindere dal fatto che esse siano di proprietà privata, purché siano inserite, come nella specie, tra le strade adibite a pubblico transito”: questa dunque è la discriminante decisiva, l’uso pubblico. E qui la Cassazione sottolinea come, ai fini della definizione stessa di strada, “è rilevante ai sensi dell’art. 2, comma primo, del nuovo Codice della Strada, la destinazione di una determinata superficie a uso pubblico e non la titolarità pubblica o privata della proprietà”.

Pertanto, proseguono gli Ermellini, “è l’uso pubblico a giustificare, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree alle norme del codice della strada e la legittimazione passiva del Comune, fondata sugli obblighi di custodia correlati al controllo del territorio e alla tutela della sicurezza ed incolumità dei fruitori delle strade a uso pubblico, in relazione agli eventuali danni riportati dagli utenti della strada”.

Un principio, questo, confermato, secondo la Cassazione, anche dall’ultimo inciso del sesto comma dell’articolo 2, ai sensi del quale “anche le strade vicinali sono assimilate alle strade comunali, nonostante la strada vicinale sia per definizione (art. 3, comma primo, n. 52 dello stesso codice) di proprietà privata, anche in caso di destinazione ad uso pubblico”.

 

La legittimazione passiva dell’Ente comunale concorre con quella dei comproprietari della via

Dunque, secondo la Suprema Corte la “legittimità passiva del Comune può ben concorrere con quella del Consorzio dei comproprietari dei fondi vicini, fondata sul concorrente obbligo di custodia esistente in capo ai proprietari del bene. E qui gli Ermellini citano una sentenza della stessa Cassazione, la n. 3216/2017, secondo cui “in tema di responsabilità da negligente manutenzione delle strade, è in colpa la Pubblica Amministrazione che non provveda alla manutenzione o alla messa in sicurezza delle aree, anche di proprietà privata, latistanti le pubbliche vie, quando da esse possa derivare pericolo per gli utenti delle strade, né ad inibirne l’uso generalizzato; ne consegue che, nel caso di danni causati da difettosa manutenzione di una strada, la natura privata di questa non è, di per sé, sufficiente ad escludere la responsabilità dell’amministrazione comunale ove, per la destinazione dell’area e per le sue condizioni oggettive, la stessa era tenuta alla sua manutenzione”.

Per la cronaca, la Suprema Corte ha rigettato anche l’ulteriore motivo di ricorso, dedotto in via subordinata agli altri, con cui il Comune lamentava il fatto che la Corte territoriale avesse affermato la responsabilità solidale del Comune e del Consorzio senza effettuare una ripartizione interna del grado di responsabilità da attribuire a ciascuno dei due soggetti, sottolineando come l’amministrazione comunale, in considerazione del fatto che il custode della strada, cioè appunto il Consorzio, non aveva mai avanzato alcuna segnalazione in merito alla criticità della sede stradale, non avrebbe potuto essere ritenuta responsabile nella stessa misura, cioè al 50 per cento, delle lesioni riportate dalla danneggiata.

Per la cassazione, si tratta dell’introduzione di una “questione nuova che non è stata oggetto del giudizio di merito, non essendo stata dedotta come motivi di appello la questione di una diversa ripartizione di responsabilità nei rapporti interni tra i due soggetti concorrentemente ed in solido individuati come responsabili per custodia”. Dunque, sentenza di condanna per entrambi gli Enti, in eguale misura, totalmente confermata.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenzioso con Pubblica Amministrazione

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