I tombini insidiosi su strade, marciapiedi e, in generale, in luoghi aperti al pubblico costituiscono una delle più frequenti cause di cadute per pedoni e ciclisti e diventano quindi oggetto dei relativi contenziosi per le richieste di risarcimento dei danni, spesso anche gravi, subiti.
Utile per i danneggiati, per comprendere come agire al riguardo e quali elementi valorizzare nella propria istanza, è la sentenza n. 31702/22 depositata il 26 ottobre 2022 dalla Cassazione, che ha dato ragione a una donna di cui invece in sede di giudizio di merito era stata respinta la domanda.
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Respinta la richiesta danni di una donna caduta a causa di un tombino più basso della strada
La Corte d’Appello di Catanzaro, sulla base delle testimonianze del fatto in questione e delle fotografie, aveva concluso che la caduta per la quale la signora aveva adito le vie legali si era verificata su “un tombino posto ad un livello inferiore rispetto alla sede stradale limitatamente a un solo lato”, ossia più basso da un lato di circa 4-5 centimetri, e che pertanto ricorreva un lieve avvallamento del manto stradale tale da non consentire una rilevante “anomalia della res”, essendo comunque ben visibile. La caduta si sarebbe quindi verificata per esclusivo difetto di ordinaria diligenza da parte della danneggiata, desumibile, per citare la sentenza dalla “agevole avvistabilità dello stato dei luoghi, e in un’area ben nota alla medesima danneggiata”, il che avrebbe determinato l’assenza di nesso di causalità fra l’esistenza del dislivello di pochi centimetri, e da un solo lato del tombino, e la caduta. Per il giudice si doveva qualificare come fortuito il comportamento tenuto dalla danneggiata in prossimità di un tombino che di per sé doveva costituire per l’utente della strada motivo di maggiore attenzione.
La danneggiata ricorre per Cassazione rilevando il lieve e quindi poco visibile dislivello
La donna però non si è data per vinta e ha proposto ricorso per Cassazione con cinque motivi di doglianza. Quelli che qui premono, e che sono stati accolti dagli Ermellini, sono il primo e il secondo. La ricorrente ha innanzitutto denunciato violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., rilevando la contraddizione della sentenza impugnata, laddove da un lato definiva ben visibile l’avvallamento e dall’altro lo reputava lieve e non costituente una rilevante anomalia, e sottolineando come proprio il carattere modesto del dislivello del tombino avrebbe comportato una minore percepibilità dello stesso e l’impossibilità di prevederlo con l’adozione delle normali cautele, ragion per cui la sua condotta non poteva avere interrotto il nesso causale fra il fatto e l’evento dannoso e non poteva integrare il caso fortuito.
La danneggiata ha poi lamentato anche l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. Il giudice avrebbe cioè omesso di esaminare il fatto, risultante dalle testimonianze rese nel corso del dibattimento, che la strada in questione era rimasta chiusa nei giorni precedenti al traffico veicolare e pedonale perché interessata da lavori di scavo per la collocazione di tubi per la distribuzione del metano: un fatto, questo, decisivo secondo la ricorrente in quanto relativo ad uno stato dei luoghi che non poteva essere noto alla danneggiata – uno dei motivi per i quali spesso le richieste danni sul genere vengono rigettate – per essere stato appunto modificato rispetto allo status antecedente.
La Suprema Corte accoglie le doglianze
Argomentazioni accolte in pieno dalla Suprema Corte. “Quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, connotandosi per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro” premettono gli Ermellini, convenendo con al ricorrente sul fatto che “la motivazione relativa al giudizio di fatto del giudice del merito è affetta da un’intima contraddizione che non rende percepibile la ratio decidendi”.
Come si è visto, infatti, e come rimarcano anche i giudici del Palazzaccio, il giudice di appello aveva affermato che la caduta si era verificata su “un tombino posto ad un livello inferiore rispetto alla sede stradale limitatamente ad un solo lato”, ossia più basso da un lato di circa 4-5 centimetri rispetto alla sede stradale, e che pertanto ricorreva un lieve avvallamento del manto stradale tale da non consentire una rilevante anomalia della res, concludendo tuttavia nel senso che l’anomalia, integrante il rischio percepibile, fosse ben visibile. “Da una parte – rileva la Cassazione – si riconosce la ricorrenza di un lieve avvallamento rappresentato da un abbassamento, da un solo lato, di circa 4-5 centimetri rispetto alla sede stradale, tale da non costituire una rilevante anomalia della res, dall’altra si dice che l’anomalia sarebbe ben visibile. In tale modo la motivazione costituisce la risultante di affermazioni inconciliabili: se l’anomalia non è rilevante, il rischio non è percepibile e allora la condotta colposa della danneggiata non dovrebbe rilevare sul piano eziologico; se l’anomalia è ben visibile, vuol dire che è rilevante, e dunque il rischio è percepibile, da cui la rilevanza causale della condotta colposa della danneggiata”.
Alla luce di tale “intima contraddizione” la motivazione è da reputare “apparente e dunque al di sotto del minimo costituzionale”. Ma la Suprema Corte reputa fondato anche il secondo motivo di ricorso, prendendo atto di come risulti “effettivamente omesso da parte del giudice del merito l’esame della circostanza indicata”, quella cioè che i lavori avessero alterato lo stato pregresso dei luoghi. Alla luce del riconoscimento in motivazione che si trattava di area ben nota alla danneggiata, “la circostanza di cui al denunciato vizio motivazionale va ritenuta decisiva e deve pertanto essere esaminata dal giudice del merito” concludono gli Ermellini.
Ergo, sentenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione per la rivalutazione del caso.
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