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La donna nel 2012 aveva riportato più fratture, ma non è finita: la società cui allora faceva capo la discoteca, in liquidazione, è stata cancellata, però a gestirla sono sempre gli stessi
“Casa di Caccia” condannata anche in appello, ma non è ancora finita la battaglia della oggi sessantaseienne mestrina scivolata malamente a terra e fratturatasi un polso e un piede sulla pista da ballo della nota discoteca nel Trevigiano resa una “saponetta” dai cocktail versati dagli avventori e colpevolmente non ripulita per tempo dagli addetti: la società che allora gestiva il noto locale notturno di Monastier è stata messa in liquidazione e proprio all’indomani della sentenza è stata pure cancellata e bisognerà intraprendere anche un’azione “fallimentare” per recuperare gli oltre 40mila euro di risarcimento stabiliti in ben due gradi di giudizio, che però di fatto sfiorano i 60mila euro contando anche le ulteriori rivalutazioni e le spese legali.
L’infortunio risale a oltre dieci anni fa, precisamente alla notte di Ferragosto del 2012. La malcapitata si era recata in compagnia di amici alla Casa di Caccia per passare una serata di festa ballando e ascoltando musica ma durante un ballo in una delle piste è scivolata su una chiazza di liquido, verosimilmente del drink rovesciato da qualche altro cliente, che aveva reso la superficie insidiosa. Una caduta rovinosa che le ha causato la frattura del polso destro e del quinto metatarso del piede destro, con le relative conseguenze: gesso, lunga inattività, visite mediche, fisioterapia e un’invalidità permanente residuata quantificata nell’11% dal consulente tecnico medico legale che avrebbe poi nominato il giudice. Non bastasse, infatti, la sessantaseienne è stata costretta ad adire le vie legali.
Per essere assistita, tramite l’area manager Veneto Riccardo Vizzi, la donna si è affidata a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini, che ha tentato di tutto per trovare un accordo stragiudiziale con la società che allora gestiva il locale, la Gicar s.r.l. della famiglia Venerandi, la quale però ha frapposto un muro. Certi delle proprie ragioni, la legge impone al titolare di un pubblico esercizio di tutelare la salute e la sicurezza dei clienti, si è così proceduto a una citazione in causa avanti il tribunale civile di Treviso seguita dall’avv. del foro della Marca Andrea Piccoli. E nel luglio 2020 il giudice, Daniela Ronzani, ha emesso la sentenza dando ragione piena alla danneggiata, al suo legale e a Studio3A, rigettando le ricostruzioni “alternative” e non supportate da prove della controparte, secondo cui l’avventrice sarebbe caduta da una cassa acustica poggiata al pavimento su cui era salita per ballare, e avvalorando invece la versione della ricorrente, corroborata da numerosi testimoni, tutti concordi nel dichiarare che era scivolata in pista a causa della macchia di drink, “senza che fosse stata apposta alcuna indicazione a segnalare la situazione di pericolo” sottolineava la sentenza. Il giudice aveva altresì ritenuto tardiva e infondata l’eccezione sul tipo di calzatura indossata, dei sandali con zeppa, inadatta secondo i gestori: infatti, aveva evidenziato la dott.ssa Ronzani, “la danneggiata stava praticando un ballo ludico che non imponeva di portare alcuna specifica scarpa, né è stato provato che tale calzatura, tipicamente estiva e generalmente utilizzata, abbia favorito la caduta che, tenuto conto della dinamica del sinistro, si sarebbe ragionevolmente verificata con ogni tipo di scarpa, e quella indossata non può certo definirsi anomala”.
Confermata la dinamica dei fatti come esposta dalla donna, rientrando il caso nella previsione dell’art. 2051 del codice civile, e avendo dimostrato la danneggiata “il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno”, l’unico modo per discolparsi per Casa di Caccia era provare il caso fortuito. “Ma – osservava il giudice – la società non ne ha fornito alcuna prova. Nessun addebito di negligenza o condotta incauta e disattenta può essere imputata all’avventrice, ed è irrilevante che essa avesse già frequentato i luoghi di causa attesa l’occasionalità dell’evento, né si può addebitare alla cliente di non aver osservato la superficie del pavimento, essendo notorio che chi è impegnato in un ballo non rivolga lo sguardo a terra, facendo correttamente affidamento sulla regolarità e pulizia del pavimento. Lo sversamento di possibili liquidi/drink in un tale contesto durante una serata di festa non integra neppure un fortuito incidentale per ciò stesso imprevedibile, né è stato provato che il liquido sia stato sversato pochi istanti prima del passaggio della danneggiata, escludendo così la possibilità di qualsiasi tempestivo controllo preventivo del gestore del locale, anche perché nessuna prova è stata fornita nemmeno sul fatto che fosse stato disposto un servizio di controllo e pulizia delle piste da ballo onde evitare incidenti come questo”. In definitiva, concludeva la sentenza, “la società non ha fornito prove che la condotta della danneggiata, intervenendo nella determinazione dell’evento, si sia tradotta in un impulso autonomo dotato dei caratteri dell’imprevedibilità e inevitabilità, unica condizione per escludere la responsabilità del custode. Nulla quaestio che la responsabilità dell’accaduto vada imputata a Gicar s.r.l. che, in qualità di gestore dell’immobile in cui si è verificato il sinistro, va ritenuta custode del bene ad ogni effetto di legge, avendone avuto la disponibilità di fatto e trovandosi rispetto alla cosa in una relazione qualificata con relativo obbligo di custodia”. Chiarito “l’an”, il giudice aveva poi determinato il “quantum”, cioè il risarcimento dovuto, quantificandolo in 40.249,89 euro tra danno biologico, danno patrimoniale, interessi al tasso annuo del 3 per cento e refusione delle spese di lite.
Nonostante la condanna su tutta la linea, però, Gicar, attraverso il proprio legale, ha pure appellato il verdetto di primo grado, costringendo la danneggiata ad un ulteriore grado di giudizio, sempre con il sostegno di Studio3A ed il patrocinio dell’avv. Piccoli, ma finalmente nei giorni scorsi la Corte d’Appello di Venezia ha depositato anche la sentenza d’appello, confermando integralmente quella di prime cure. La quarta sezione civile, presieduta dal giudice dott. Marco Campagnolo, ha infatti rigettato come infondati entrambi i motivi di appello proposti dalla società, sia quello con cui Gicar tornava a sostenere la sua “ricostruzione alternativa” del fatto, “che non trova alcun conforto probatorio” spiega la Corte, confermando il pieno credito alla versione fornita dalla sessantaseienne, “confermata univocamente dai testi oculari introdotti dalla parte lesa senza contraddizioni, perplessità o incertezze”, sia quello con cui si contestava la quantificazione del risarcimento, per pervenire alla quale, asserisce la Corte d’appello lagunare, “il giudice di primo grado si è scrupolosamente attenuto, con riferimento al danno biologico, temporaneo e permanente, alle conclusioni della espletata consulenza tecnica, rispetto alla quale peraltro i consulenti di parte non hanno sollevato alcuna osservazione critica”. Confermata quindi anche la somma stabilita del giudice di primo grado, ma la società che gestiva Casa di Caccia dovrà sborsare diversi altri soldini tra interessi, essendo trascorsi altri tre anni, e spese legali essendo stata condannata anche a rifondere alla controparte tutte le spese di lite del secondo grado, per una cifra complessiva che sfiora i 60mila euro.
Tutto finito, dunque? Non proprio, perché nel corso di questo decennio Gicar è stata messa in liquidazione con in capo un pesante passivo di alcune centinaia di migliaia di euro e proprio all’indomani della sentenza d’appello è stata pure cancellata dal Registro Imprese della Camera di Commercio non avendo presentato il bilancio negli ultimi tre anni. Adesso quindi bisognerà pure procedere con un’istanza di fallimento e con l’insinuazione nel passivo, ma con buone speranze di poter finalmente recuperare quanto dovuto considerato che la famosa discoteca è gestita sempre dalle stesse persone e dalla stessa famiglia, sia pur attraverso assetti societari diversi.
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Dott. Riccardo Vizzi
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