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Nella valutazione delle responsabilità di un incidente stradale, non basta la constatazione che uno dei due conducenti coinvolti abbia tagliato la strada alla controparte, mancando la precedenza, per ritenerlo unico responsabile del fatto: bisogna verificare anche la condotta dell’altro guidatore per verificare se non abbia concorso anch’egli al fatto commettendo a sua volta delle violazioni decisive per la sua causazione, ad esempio tenendo una velocità non adeguata.

A riaffermare con forza questo principio la Cassazione, con l’ordinanza n. 31142/22 depositata il 21 ottobre 2022, su un caso tragico e peraltro di pirateria stradale.

 

La battaglia dei familiari di un motociclista vittima di un incidente con un’auto pirata

La moglie e i figli di un motociclista avevano citato in giudizio la compagnia di assicurazione all’epoca designata per il Fondo Vittime della Strada nella regione Sicilia per essere risarciti dei danni per la perdita del loro congiunto, deceduto a causa di un incidente stradale: il 18 luglio 2005, alle 10.30 del mattino, a Misterbianco (Ct), l’uomo, che trasportava anche uno dei figli, per fortuna sopravvissuto, sarebbe stato speronato da un veicolo rimasto ignoto decedendo in seguito alle ferite riportate dopo cinque mesi di coma. Il tribunale di Catania, con sentenza del 2014, aveva tuttavia rigettato la domanda e lo stesso aveva fatto la Corte d’Appello etnea, rigettando il gravame.

I familiari della vittima tuttavia non si sono dati per vinti e hanno proposto ricorso anche per Cassazione, lamentando in primis il fatto che la Corte territoriale non avesse tenuto in debito conto tutti i fatti e gli elementi probatori decisivi e concordanti emersi dall’istruttoria, e avesse dichiarato inattendibili i testimoni utilizzando solo l’ultima delle quattro deposizioni rese da uno dei testi, effettuata nel 2010 dinanzi al secondo giudice istruttore del processo di primo grado, a quasi 5 anni dal sinistro, pur avendo egli reso dichiarazioni ai carabinieri e successivamente ai vigili urbani anche il giorno stesso del fatto, tre giorni dopo e anche nel 2009 testimoniando davanti al primo giudice istruttore del processo dinanzi al tribunale. Il testimone nelle prime tre dichiarazioni aveva affermato, quanto alla dinamica del sinistro, di non averla vista esattamente avendo davanti a sé altri mezzi, nell’ultima invece aveva detto che la moto avrebbe tagliato la strada alla vettura.

 

Contestati la “gestione” dei testimoni e il mancato accertamento della condotta di controparte

Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto di tutta una serie di altri elementi, quali la sussistenza del limite di 30 km/h nel luogo in cui si era verificato l’incidente, il fatto che uno dei testimoni avesse dichiarato spontaneamente agli agenti di aver visto “volare” il conducente della moto e che un’auto, dopo averla investita, aveva proseguito nella sua corsa: circostanze che avrebbero dovuto far supporre come la vettura, sia prima che dopo l’impatto, non potesse tenere una velocità entro il limite di 30 km/h, e come l’urto dovesse essere stato necessariamente un tamponamento, e non laterale. La circostanza del tamponamento, peraltro, sarebbe stata contenuta anche nella comunicazione di reato emessa dalla polizia municipale del comune di Misterbianco.

I ricorrenti hanno poi criticato le motivazioni addotte dal giudice d’appello in ordine all’inattendibilità degli altri due testimoni, ossia che non sarebbero mai stati generalizzati altri testimoni oltre all’unico teste che essi avevano escusso. Richiamando il rapporto della polizia locale, i ricorrenti sottolineano come vi si desse conto di un traffico intenso al momento dell’incidente e quindi del fatto che molte persone avrebbero potuto assistervi, si fosse addirittura ipotizzata la marca e il modello dell’auto pirata, una Fiat Marea, di cui era stata desunta anche la prima lettera della targa, “W”. E nella dichiarazione resa agli agenti dall’unico testimone ammesso dai giudici, che peraltro poi avrebbero sentenziato non tenendo conto delle sue affermazioni, egli aveva riferito proprio questo, ossia la presenza di diverse persone, l’arrivo dei carabinieri che avevano chiesto informazioni un po’ a tutti gli astanti, tra cui i testi esclusi, e le testimonianze che riferivano concordemente di una macchina di grosse dimensioni, station wagon, di colore chiaro che qualcuno aveva supposto essere, appunto, una Marea.

 

I ricorrenti sostengono la “colpa concorrente” del “pirata”

I familiari della vittima, ancora, contestavano il fatto che la sentenza impugnata non avesse affermato la colpa concorrente del veicolo rimasto ignoto ai sensi dell’art. 2054, primo e secondo comma, ritenendo esclusivo responsabile del sinistro il motociclista benché la stessa compagnia di assicurazione, nella sua comparsa in appello, avesse chiesto di affermare la responsabilità concorrente qualora si fosse accertato il coinvolgimento effettivo di un veicolo ignoto. E hanno ribadito l’insufficienza dell’accertamento della violazione da parte di uno dei due conducenti dell’obbligo di dare la precedenza, e per contro la necessità di verificare anche la condotta dell’altro guidatore per stabilire se avesse o meno rispettato le norme della circolazione stradale e la comune prudenza, citando una pregressa sentenza della stessa Cassazione, la n. 9910 del 14 maggio 2015, la quale, quanto alla presunzione di pari concorso di colpa ex articolo 2054, secondo comma, spiega che la norma “va intesa nel senso che, nel caso di scontro tra veicoli, non è sufficiente che il giudice accerti la violazione da parte di uno dei conducenti dell’obbligo di dare la precedenza, dovendo verificare anche il comportamento dell’altro al fine di stabilire se questi si sia tenuto alle norme sulla circolazione stradale e alle regole di comune prudenza, potendo darsi sia la presunzione di colpa concorrente (in caso di impossibilità di tale accertamento) sia l’affermazione di una colpa concorrente (in caso di  accertamento contrario al conducente del veicolo favorito).

La Suprema Corte ha rigettato la doglianza relativa alle testimonianze, sostenendo che la Corte d’Appello di Catania nella sentenza impugnata aveva motivato ampiamente in ordine alla loro inattendibilità, fornendo una spiegazione specifica e priva di “gravi contraddittorietà” nel suo tessuto logico, ricordando poi che il giudice di merito, sulla scelta delle fonti probatorie, ha comunque “facoltà di scelta, non essendo obbligato ad esternare il proprio ragionamento di non incidenza su quelli non adottati”.

Altro discorso invece quanto all’accertamento ex articolo 2054 secondo comma. Nella sentenza impugnata, osservano gli Ermellini, emerge chiaramente come la corte territoriale riconoscesse comunque l’avvenuto impatto tra la moto e il veicolo rimasto ignoto, salvo poi affermare che, essendo stata tagliata la strada dal motociclista all’automobilista, la responsabilità era in capo esclusivamente al primo, per cui non si sarebbe applicato, appunto, l’art. 2054.

E’ evidente, spiega la Suprema Corte, che così concludendo il giudice territoriale “si è contrapposto alla consolidata giurisprudenza in ordine alla necessità di accertare comunque, dopo che si  è accertata la colpa di uno, la sussistenza o meno di colpa (anche) dell’altro conducente coinvolto, incorrendo quindi nella violazione proprio dell’art. 2054, secondo comma, e manifestando siffatta conclusione, tanto drastica quanto erronea, mediante uno strumento motivazionale inferiore al minimo richiesto dall’art. 111 della Costituzione”.

 

Tagliare la strada a un veicolo non significa eliminare ogni colpa al suo conducente

E’ ovvio d’altronde che “tagliare la strada a un altro veicolo non significa automaticamente eliminare ogni incidenza causale ed ogni colpa di chi governa l’altro veicolo”, e ciò a maggior ragione “in uno scontro così violento con esito mortale”, prosegue la Cassazione, facendo notare anche come la Corte d’Appello non avesse neppure menzionato il “volo in aria” del motociclista riferito dall’unico testimone ammesso, “non considerando minimamente l’eventuale eccesso di velocità da parte dell’automobile”.

Questo motivo di doglianza è stato pertanto ammesso, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catania, in diversa composizione, per una rivalutazione del caso.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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