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Il certificato di idoneità sportiva richiesto per praticare sport a livello agonistico non è e non deve essere un “pro-forma” e va rilasciato non “alla leggera” ma con estremo scrupolo, dopo aver sottoposto il richiedente a tutti gli accertamenti prescritti.

 

Medico condannato per aver rilasciato l’idoneità sportiva a un ciclista deceduto in allenamento

Lo ha ribadito con forza la Corte di Cassazione, quarta sezione penale, che, con la sentenza n. 20943/23, depositata il 17 maggio 2023, ha confermato la condanna per omicidio colposo di un medico che aveva attestato l’idoneità alla pratica sportiva agonistica di un atleta, in seguito deceduto nel corso di un allenamento a causa di una patologia cardiologica non diagnosticata dal sanitario per l’omessa effettuazione di esami strumentali più approfonditi, laddove invece, in presenza di tracciati elettrocardiografici sospetti, il medico avrebbe dovuto doverosamente potenziare la verifica dell’integrità psico-fisica del paziente per prevenire gli eventi nefasti previsti dai protocolli.

Gli Ermellini hanno dunque rigettato, ritenendolo inammissibile, il ricorso proposto da un medico specializzato in medicina dello sport, che era stato condannato sia in primo grado sia in appello a otto mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, in quanto, con una “condotta imprudente, imperita e negligente, e non conforme ai canoni della migliore scienza medica”, per citare la richiesta di rinvio a giudizio, aveva rilasciato per l’appunto il certificato di idoneità alla pratica agonistica del ciclismo con durata annuale a un ciclista, nonostante i tracciati di ben due Ecg al massimo sforzo, cui era stato sottoposto il paziente nel febbraio del 2012 e nel marzo del 2013, evidenziassero segni ampiamente significativi di “ischemia miocardica infero-laterale”. E il secondo esame mostrava, addirittura, segni di peggioramento.

 

Il dottore non avrebbe dovuto rilasciare il certificato a fronte degli Ecg “patologici e sospetti”

Pertanto, sottolineano i Giudici del Palazzaccio, il medico avrebbe dovuto astenersi, sia nel 2012 che nel 2013, dal rilasciare il certificato di idoneità alla pratica agonistica del ciclismo, sulla base dei “protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità allo sport agonistico”. Una condotta, quella del medico, fatale.

Nesso di causa tra la condotta omissiva e il decesso per infarto

Infatti, quanto alla sussistenza del nesso di causalità, contestato dal ricorrente, tra la condotta omissiva colposa e il decesso del paziente, avvenuto il primo agosto 2013, nel corso di un allenamento ciclistico per “arresto cardiaco acuto da verosimile recidiva di infarto, in soggetto con esiti di pregresso infarto del miocardio”, la Suprema Corte conferma e conclude che  “a fronte di un tracciato Ecg patologico, se il medico non avesse rilasciato il certificato di idoneità alla pratica agonistica del ciclismo ed avesse indirizzato il paziente ad una completa valutazione cardiologica, in modo da prevenire future aritmie, l’omesso riconoscimento dell’idoneità alla pratica sportiva agonistica lo avrebbe indotto a non proseguire gli allenamenti intensi in bicicletta, idonei a provocare una discrepanza ossigenativa su una parte del muscolo scheletrico”.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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