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La Corte d’Appello di Venezia ha mantenuto l’impianto della sentenza di primo grado per Antonio Ascione, ma ha sensibilmente aumentato le provvisionali per i familiari
Confermati i vent’anni di carcere ma (quanto meno) triplicati i risarcimenti per i familiari della vittima, tra cui i due figli minori. Oggi, 12 dicembre 2019, dopo più di tre ore di camera di consiglio, la prima corte penale della Corte d’Assise d’Appello di Venezia, presieduta dal giudice Antonio Liguori, ha pronunciato la sentenza d’appello nei confronti di Antonio Ascione, il pizzaiolo di Torre del Greco che il 23 luglio 2017 ha ammazzato l’ex moglie Maria Archetta Mennella, pure lei torrese e che aveva solo 38 anni, nella casa di Musile di Piave, nel Veneziano, dove la donna si era trasferita e si stava ricostruendo una vita con i due figli dopo la separazione da quel marito possessivo e violento: l’imputato, che sta scontando la pena presso la casa circondariale di Venezia, ha ascoltato impassibile la “lettura” senza profferire parola. In aula non c’erano, invece, i congiunti di Mariarca.
La sentenza di primo grado è stata invece completamente riformata agli effetti della responsabilità civile essendo stato accolto in toto l’appello proposto dalle parti civili rappresentate dall’Avv. del Foro di Padova prof. Alberto Berardi, con la collaborazione di Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini. La Corte d’Appello ha infatti triplicato le provvisionali immediatamente esecutive stabilite in origine, stabilendo un risarcimento di 150mila euro (contro 50mila) per i due figli della coppia, di centomila euro (contro 30mila) per la mamma di Maria Archetta Mennella e di 60mila euro (contro 20mila) per le sorelle e il fratello.
“Attendo di leggere le motivazioni prima di esprimere i miei commenti – spiega l’avv. Berardi – Da un lato, comunque, c’è la soddisfazione per l’accoglimento completo del nostro appello: il fatto che siano state più che triplicate le provvisionali è la conferma che la Corte d’Appello ha riconosciuto l’estrema gravità del fatto. Dall’altro lato, posso comprendere l’amarezza dei nostri assistiti per una pena sproporzionata all’entità del crimine, ma purtroppo questo è l’effetto di un’anomalia del sistema a cui infatti adesso il legislatore ha posto rimedio”: allusione al rito abbreviato che ha consentito all’imputato di beneficare dello sconto di un terzo della pena, che sarebbe stata di trent’anni, e che com’è noto oggi (ma troppo tardi per il processo in questione), con la nuova legge, non si può più richiedere per i casi di omicidio aggravato.
“Siamo contenti che almeno non hanno abbassato la pena all’assassino, perché avevamo timore che potesse ottenere altri sconti – commenta da parte sua Assunta Mennella, la sorella di Maria Archetta e tutrice dei suoi due figli – Certo, vent’anni sono pochi, per me chi uccide una persona dovrebbe andare in carcere a vita, senza neanche processo. Speravamo nell’ergastolo o in trent’anni, ma purtroppo la legge italiana è questa”.
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Caso seguito da:
Dott. Riccardo Vizzi
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