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L’assenza di convivenza tra la vittima e il superstite non esclude la sussistenza del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale né giustifica la sua risarcibilità al di sotto del minimo previsto dalle Tabelle Milanesi.

La convivenza, cioè, non assurge a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, essendo soltanto, al pari di altri, un elemento probatorio utile a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti: non è condivisibile limitare la “società naturale” di cui all’articolo 29 della Costituzione all’ambito ristretto della sola cosiddetta “famiglia nucleare” per arrivare così a escludere automaticamente il risarcimento del danno dinamico-relazionale a favore dei famigliari non conviventi con il defunto.

E’ un principio fondamentale quello che ha riaffermato la Cassazione, dando seguito e consolidando il proprio recente orientamento, con l’ordinanza n. 10335/23 depositata il 18 aprile 2023.

 

I giudici riconoscono un risarcimento minimo ai congiunti della vittima di un incidente

Il caso di cui si sono occupati i giudici del Palazzaccio riguarda un tragico e terribile incidente stradale: una motocicletta aveva investito una donna che attraversava la strada a piedi e a causa dello scontro avevano perso la vita sia il pedone sia il conducente e il passeggero della moto.

I familiari di quest’ultimo avevano citato in giudizio l’assicurazione e la madre del conducente nonché proprietaria della motocicletta ma i giudici del Tribunale di Reggio Calabria, pur riconoscendo a questi l’esclusiva responsabilità del sinistro, avevano rigettato la domanda risarcitoria degli eredi del terzo trasportato ritenendo che essi avessero agito iure hereditatis e non iure proprio e che non fosse possibile configurare qualsivoglia danno biologico e/o morale maturato in capo alla vittima e trasmesso per successione agli eredi essendo questi deceduto a distanza di solo un’ora dall’incidente, dopo essere stato trasportato in stato di coma all’ospedale.

La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 2019, aveva accolto parzialmente l’appello proposto dai congiunti del passeggero della moto, riconoscendo loro un risarcimento ma in misura minima e del tutto inadeguata.

Di qui dunque il loro ricorso anche per Cassazione con tre motivi di doglianza. Quello che qui preme è il terzo con il quale i ricorrenti hanno denunciato la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, I comma, n. 3, c.p.c., per avere la Corte Territoriale ritenuto insussistente il danno da perdita del rapporto parentale (sotto il profilo della diminuzione o modificazione delle attività dinamico relazionali) e per avere liquidato, in applicazione delle Tabelle di Milano liquidato, in modo irrisorio il danno morale inteso quale sofferenza soggettiva. Più precisamente, la Corte d’appello reggina aveva ritenuto non sussistente il danno da perdita del rapporto parentale perché risultava non provato che, per citare la sentenza impugnata, ‘il soggetto deceduto convivesse, al momento della morte, con alcuno dei parenti.

 

Il diritto all’integrale risarcimento del danno, morale e dinamico-relazionale

E Suprema Corte ha dato loro ragione, spiegando innanzitutto che in tema di illecito pluri-offensivo, ciascun danneggiato, in forza di quanto previsto dalla Cost., artt. 2, 29, 30 e 31, nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della cd. “Carta di Nizza”, “è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana)”.

Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, “ciascuno dei familiari superstiti ha diritto a una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare”.

 

La convivenza non è conditio sine qua non per la liquidazione del pregiudizio subito

Ma, soprattutto, la Suprema Corte ribadisce che “la convivenza non può assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, ovvero a presupposto dell’esistenza del diritto in parola”, e che essa “costituisce elemento probatorio utile, ma unitamente ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur”.

E in ogni caso, riaffermano i giudici del Palazzaccio, “non è condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento la Cost., art. 29, all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”. Quindi, i congiunti devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità”.

Ingiustificata la riduzione al di sotto dei minimi tabellari

La Cassazione, sempre nell’ambito dello stesso motivo di doglianza, ha anche accolto le censure dei ricorrenti i quali lamentavano come l’irrisoria liquidazione del danno morale (sofferenza soggettiva), riconosciuta dalla Corte territoriale sia ai genitori che ai fratelli, fosse in contrasto non soltanto con la documentazione versata in atti ma anche con le stesse Tabelle di Milano. La Corte territoriale, in violazione dei principi affermati dalla Cassazione, pur riconoscendo il danno morale, lo aveva liquidato quantificandolo in un terzo del minimo previsto dalle Tabelle di Milano sia per i genitori sia per i fratelli considerando la non convivenza e l’età dei genitori, dei fratelli e della vittima.

In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute – premette la Suprema Corte -, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del “danno biologico“, quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un’ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore (c.d. danno morale, “sub specie” di dolore dell’animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione): con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione, trattandosi di voci di danno tra loro diverse e derivanti dalla lesione di beni logicamente ed ontologicamente distinti che trovano riferimento, rispettivamente, nella Cost., art. 29 e nell’art. 32”.

 

Riduzione ammessa solo in circostanze eccezionali tra cui non rientrano né la non convivenza né l’età

Pertanto, in tema di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, “se la liquidazione avviene in base ad un criterio che prevede un importo variabile tra un minimo ed un massimo, è consentito al giudice di merito liquidare un risarcimento inferiore al minimo solo in presenza di circostanze eccezionali e peculiari al caso di specie, tra le quali non si annoverano né l’età della vittima, né quella del superstite, né l’assenza di convivenza tra l’una e l’altro, trattandosi di circostanze che possono solo giustificare la quantificazione del risarcimento entro la fascia di oscillazione della tabella” asseriscono gli Ermellini.

In conclusione, la Suprema corte ribadisce che “in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella”.

La sentenza impugnata è stata perciò cassata con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria in diversa composizione la quale “dovrà applicare questi principi sia per la valutazione del danno parentale sia per la liquidazione del danno morale con riferimento ai nuovi valori tabellari previsti dalla tabella di Milano del 9 giugno 2022, quale parametro risarcitorio già applicato nei precedenti gradi di giudizio”.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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