Ormai l’orientamento è ampiamente assodato, e non si torna indietro: è la Regione a dover rispondere dei danni causati dagli animali selvatici agli utenti della strada e a doverli risarcire. Lo ha confermato la Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 19332/23 depositata il 7 luglio 2023.
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Un automobilista cita Regione e Provincia per i danni all’auto subiti investendo un cinghiale
Nel dicembre del 2015 un automobilista aveva citato in giudizio la Regione Abruzzo e la Provincia di Teramo chiedendo i danni materiali riportati alla sua auto, e quantificati in poco meno di duemila euro, in seguito all’investimento di un cinghiale di grosse dimensioni, fatto occorso nel maggio di quello stesso anno lungo la Statale 80 in prossimità di Montorio al Vomano.
Sul luogo del sinistro erano intervenuti anche gli agenti del Corpo Forestale, che avevano rilevato le tracce dell’urto con l’animale selvatico, avevano rinvenuto l’ungulato morto a bordo della strada e redatto apposito verbale, con documentazione fotografica, evidenziando, nella descrizione della dinamica, che la versione resa dal danneggiato era concordante con gli accertamenti svolti.
Di qui la citazione in causa dei due Enti Pubblici dei quali il malcapitato lamentava la condotta colposa e chiedeva l’accertamento della responsabilità, in via solidale, concorrente e/o alternativa. L’automobilista deduceva infatti che la responsabilità per danni in capo alla Regione fosse riconducibile alla mala gestio della fauna selvatica – con particolare riferimento, per quel che riguarda l’utilizzo del territorio, all’immissione ed incremento delle specie più pericolose per grandezza e violenza -, per la carenza di controllo e per l’assenza di qualsiasi cautela circa la relativa presenza in luoghi troppo vicini a paesi e centri abitati, attraversati da strade pubbliche con elevata probabilità di intralcio alla circolazione stradale e conseguente pericolo per l’incolumità degli utenti.
Quanto invece alla Provincia di Teramo, deduceva che la responsabilità risarcitoria trovasse fondamento, oltre che nella funzione di gestione del territorio, anche nella titolarità della strada, teatro del sinistro, per l’omissione di ogni cautela e, in particolare, per la mancata recinzione dell’arteria, già oggetto in passato di diversi incidenti della stessa specie.
Il giudice di Pace condanna la Regione
La Regione Abruzzo, da parte sua, si era costituita e, dopo aver sostenuto che la legittimazione passiva fosse da attribuire alla Provincia di Teramo, in quanto destinataria di funzioni amministrative di interesse provinciale, aveva eccepito che la dimostrazione della materialità della collisione tra l’animale e l’autoveicolo e la semplice deduzione di doveri di vigilanza e di controllo sulla fauna selvatica incombenti sull’ente, e del conseguente obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare danni a persone o cose, non fosse sufficiente ad integrare l’imputazione della responsabilità a suo carico, essendo necessario accertare la sua condotta colposa.
Si era costituita anche la Provincia di Teramo, eccependo a sua volta la carenza della propria legittimazione passiva e, a sostegno di detta eccezione, l’Ente provinciale aveva osservato che la normativa regionale non conteneva disposizioni ovvero deleghe nei confronti delle Province in ordine all’individuazione di responsabilità per danni causati da animali selvatici, giacché le sole funzioni risarcitorie delegate dalla regione alle province avevano ad oggetto i danni provocati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, mentre nulla era previsto per i danni arrecati alla circolazione.
Il Giudice di Pace di Teramo, con sentenza del 2016, aveva disposto l’estromissione dal giudizio della Provincia e, con separata ordinanza, disposto la prosecuzione del giudizio nei confronti della sola Regione Abruzzo, che aveva successivamente condannato a risarcire all’automobilista la somma spesa per riparare i danni, 1.947 euro, oltre accessori di legge, spese e competenze di lite.
La Regione tuttavia aveva appellato la sentenza, chiedendone la riforma. In particolare, l’Ente aveva dedotto il suo difetto di legittimazione passiva e l’errata declaratoria di sua responsabilità, tornando ad asserire che “solo l’ente che eserciti in concreto le funzioni di cura e protezione della fauna selvatica, nella specie la Provincia, è in grado di individuare e di prevenire le cause dei danni”; inoltre, aveva lamentato l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie – non essendo stato provato, secondo la sua tesi difensiva, né il nesso eziologico tra la condotta e l’evento lamentato e tra l’evento ed il danno né dimostrata la colpa dell’amministrazione – e l’erronea individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità, non essendo la fattispecie risarcibile ai sensi dell’art. 2052 del codice civile ma alla stregua del criterio generale di cui all’art. 2043 c.c. E il tribunale di L’Aquila, quale giudice d’appello, in totale riforma della sentenza di prime cure, aveva dato ragione alla Regione rigettando la domanda risarcitoria.
Il danneggiato ha quindi proposto ricorso per Cassazione denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2052 e 2043 c.c. nonché violazione della legge n. 157/1992 nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto che, per citare la sentenza, “la gestione della fauna incombente sulla Regione non comporta ex se che qualunque danno a vetture circolanti cagionato da essa sia addebitabile alla Regione, occorrendo la allegazione o quanto meno la specifica indicazione di una condotta omissiva efficiente sul piano della presumibile ricollegabilità del danno”.
Il ricorrente ha osservato come il giudice d’appello, così sentenziando, si fosse conformato all’orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale il danno cagionato dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione sarebbe risarcibile alla stregua dell’art. 2043 c.c., con conseguente onere per il danneggiato di dimostrare un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico evocato in giudizio: orientamento alla base del quale sta la considerazione che lo stato di “libertà naturale” in cui vive e si muove la fauna selvatica sia incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della Pubblica Amministrazione, un concetto, quello di libertà naturale, destinato però a entrare in crisi laddove, come nella specie, la controversia riguardi danni provocati da specie animali reintrodotte dall’uomo in un determinato ambiente.
La fattispecie va fatta rientrare nell’alveo dell’articolo 2052 del codice civile
L’automobilista ha altresì asserito che, a seguito dell’entrata in vigore della legge quadro sulla caccia (la legge n. 968 del 1977), la dottrina maggioritaria aveva sostenuto l’applicabilità della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. in capo alla Pubblica Amministrazione per gli incidenti stradali causati da animali selvatici, e che a fondamento di tale affermazione è stato posto il cosiddetto principio del cuius commoda eius et incommoda, al fine di assicurare la corretta composizione degli interessi confliggenti e la realizzazione del criteri di gestione economicamente razionale del rischio.
Ma, soprattutto, il ricorrente ha fatto notare come la Cassazione, partendo da tale ordine di considerazioni, abbia di recente “rimeditato” il fondamento giuridico della responsabilità per i danni causati da animali appartenenti a specie protette di proprietà pubblica e che il nostro ordinamento, agli artt. 2050 e ss c.c., prevede una serie di ipotesi caratterizzate dall’inversione dell’onere della prova; in particolare, con la sentenza n. 7969 del 20 aprile 2020, la Suprema Corte ha osservato che il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. non si fonda sulla custodia, ma sulla stessa proprietà dell’animale e/o comunque sulla sua utilizzazione da parte dell’uomo. E dunque l’automobilista ha infine auspicato ce la Cassazione volesse dare continuità a tale ultimo orientamento, riconducendo la materia dei danni provocati dalla fauna selvatica nell’alveo dell’art. 2052 c.c. 2.
E la Suprema corte lo ha puntualmente fatto, ritenendo fondato il motivo e confermando come la stessa terza sezione civile, “consapevolmente e argomentatamente rimeditando e superando il precedente orientamento”, sia pervenuta ad affermare il principio per cui “i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema”.
Gli Ermellini aggiungono anche che al riguardo si è ulteriormente precisato che “nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte -per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari– da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio delle funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno”.
E che, “in materia di danni da fauna selvatica a norma dell’art. 2052 c.c. grava sul danneggiato l’onere di dimostrare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell’animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure – concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema – di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi”.
Recenti principi disattesi dal giudice di appello nell’impugnata sentenza, in particolare nel punto in cui, come aveva lamentato il ricorrente, il Tribunale aveva affermato che “la gestione della fauna incombente sulla Regione non comporta ex se che qualunque danno a vetture circolanti cagionato da essa sia addebitabile alla Regione occorrendo la allegazione o quanto meno la specifica indicazione di una condotta omissiva efficiente sul piano della presumibile ricollegabilità del danno”, La sentenza impugnata è stata pertanto cassata, con rinvio al Tribunale di L’Aquila, in diversa composizione, per un riesame della casa alla luce degli riaffermati principio.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
Responsabilità della Pubblica AmministrazioneCondividi
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