Cosa si intende per danno biologico terminale? E per danno catastrofale?
Preziosa in tal senso è l’ordinanza n. 26841/22 depositata il 15 dicembre 2022 dalla Cassazione – Sezione Lavoro con la quale la Suprema Corte, trattando il contenzioso intentato dai familiari di un lavoratore deceduto per mesiotelioma, e accogliendo il loro ricorso, non solo chiarisce nel dettaglio in cosa consistano questi due pregiudizi ma ribadisce anche il principio della loro distinzione e separata liquidazione.
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Decurtato in appello il risarcimento ai familiari di un operaio deceduto per mesiotelioma
La vicenda. La Corte d’Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale cittadino, aveva condannato Ansaldo Energia S.p.A. al pagamento in favore degli eredi di un suo operaio, che aveva lavorato alle dipendenze dell’azienda dal 6 agosto 1943 al 30 novembre 1982 presso lo stabilimento di Sampierdarena (in foto), e deceduto nel 2006 per mesotelioma pleurico diagnosticatogli all’inizio del 2005 e riconosciuto dall’Inail come malattia professionale, della somma complessiva di 79.213,44 euro a titolo di risarcimento del danno iure hereditatis, decurtando sensibilmente la somma complessiva di 634.299,05 euro liquidata a tale titolo dai giudici di prime cure, e confermando invece la condanna della società al pagamento delle rispettive somme di 200mila euro in favore della vedova e di 163.990 euro in favore di ciascuno dei tre figli a titolo di risarcimento del danno iure proprio.
I congiunti della vittima hanno a questo punto proposto ricorso per Cassazione lamentando, in particolare, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. in relazione all’art. 2059 c.c., ossia del principio di integralità ed adeguatezza del risarcimento del danno non patrimoniale, errata e falsa applicazione delle Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale terminale e temporaneo, inidoneità ed irrazionalità del criterio liquidatorio adottato dalla sentenza impugnata. E la Suprema Corte ha accolto la doglianza, ricordando come il danno subito dalla vittima, nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo, “è configurabile e trasmissibile agli eredi nella duplice componente di danno biologico “terminale”, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, e di danno morale consistente nella sofferenza patita dal danneggiato che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita”.
Danno biologico terminale e catastrofale componenti distinte di danno trasmissibili agli eredi
La liquidazione equitativa del danno in questione va effettuata, proseguono gli Ermellini, “commisurando la componente del danno biologico all’indennizzo da invalidità temporanea assoluta e valutando la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che tenga conto dell’entità e dell’intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile “exitus”. Inoltre la Cassazione sottolinea come sia stata confermata la correttezza di tecniche di liquidazione del danno terminale “commisurate alle tabelle che stimano l’inabilità temporanea assoluta con opportuni “fattori di personalizzazione“, i quali tengano conto “dell’entità e dell’intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus”.
I giudici del Palazzaccio ricordano a questo punto i criteri stabiliti a suo tempo dalla giurisprudenza di legittimità, in primis: in caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro con esito mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, “al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della “enormità” del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte”.
Il danno biologico terminale va liquidato come danno da invalidità temporanea totale
La Suprema Corte ribadisce poi che si tratta di danni “che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi”: per il danno biologico da invalidità temporanea totale, la Cassazione ripete che “la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea e deve essere effettuata in relazione alla menomazione dell’integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso”.
E, soprattutto, chiarisce che tale danno, qualificabile come danno “biologico terminale”, “dà luogo ad una pretesa risarcitoria, trasmissibile “iure hereditatis” da commisurare soltanto all’inabilità temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte”.
Il danno catastrofale riguarda la sofferenza psichica per il consapevole avvicinarsi della morte
Il danno catastrofale, invece, che integra “un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita, comporta la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo denominato “puro” − ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tenere conto della sofferenza interiore psichica di massimo livello, correlata alla consapevolezza dell’approssimarsi della fine della vita, la quale deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità adeguati alla sua particolare rilevanza ed entità, e all’enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza”.
E ai fini della sussistenza del danno catastrofale, la durata di tale consapevolezza “non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma per la sua quantificazione secondo i suindicati criteri di proporzionalità e di equità”.
Vanno applicate le tabelle di Milano per l’integrale “riparazione” del pregiudizio
Infine, per ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale, “per questa ultima voce di danno si reputa comunemente necessario fare riferimento al criterio di liquidazione adottato dal Tribunale di Milano, per l’ampia diffusione sul territorio, appunto, nazionale e per il riconoscimento attribuito dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua, in linea generale e in applicazione dell’art. 3 Cost., del parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico a norma degli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono”. E qui la Cassazione osserva che la disparità di trattamento in materia “risulta tanto più irragionevole, perché destinata a consumarsi nella sfera protetta dal riconoscimento costituzionale del diritto alla salute quale diritto fondamentale ed inviolabile della persona umana; proprio dal nucleo irriducibile di tale diritto discende il principio dell’integrale riparazione del pregiudizio quale aspetto essenziale della tutela risarcitoria dei valori non patrimoniali dell’individuo.
Venendo al caso di specie, quindi, la Suprema Corte evidenzia come, al contrario, la Corte d’Appello di Genova abbia ricondotto a “nozione unitaria” il pregiudizio dei congiunti della vittima, “quale danno biologico terminale ricomprendente sia il danno da lucida agonia o morale catastrofale, che quello biologico ordinario”, con una sentenza che pertanto contrasta con i principi di diritto ricordati, “perché non tiene conto del criterio di liquidazione individuato da questa Corte di legittimità nelle tabelle che stimano l’inabilità temporanea assoluta con opportuni “fattori di personalizzazione“, quale parametro di conformità della valutazione equitativa del danno alle disposizioni degli artt. 1226 e 2056 c.c., e perché non considera la duplice componente fenomenologica del danno sottoposto al presente giudizio, avuto riguardo sia agli effetti che la lesione del diritto della salute ha comportato nella dimensione dinamico-relazionale del soggetto danneggiato, sia alle conseguenze subite dallo stesso nella sua sfera interiore, subspecie di sofferenza, di paura, di angoscia, di disperazione, anche in considerazione del prevedibile esito letale”.
La sentenze impugnata è stata pertanto cassata con rinvio alla corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, che dovrà procedere a una rinnovata liquidazione del danno non patrimoniale iure hereditatis, uniformandosi ai suddetti principi.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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