Chi detiene di fatto un cane, pur non essendone proprietario, riveste comunque una posizione di garanzia e risponde per colpa del danno arrecato a terzi dall’animale. Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza n. 33896/23 depositata il 2 agosto 2023, con la quale i giudici del Palazzaccio hanno definitivamente giudicato su una vicenda particolare.
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Detentore di un cane condannato perché l’animale ha causato un incidente stradale
Con sentenza del 24 gennaio 2023 il Tribunale di Bari, confermando la pronuncia di primo grado del giudice di Pace della stessa città del 2022, aveva ritenuto un uomo penalmente responsabile del reato di lesioni colpose e lo aveva condannato alla pena di giustizia. Infatti, questi aveva legato con una corda il cane che al momento deteneva, di proprietà della figlia, ad un albero nei pressi di una strada ma troppo vicino alla carreggiata, con la conseguenza che l’animale l’aveva attraversata all’improvviso causando un incidente stradale in cui alcune persone erano rimaste ferite.
Il cane era di proprietà della figlia
L’imputato, tuttavia, ha proposto ricorso anche per Cassazione dolendosi del fatto che i giudici territoriali fossero pervenuti alla sentenza di condanna nei suoi confronti nonostante egli non fosse il padrone del cane che, come detto, apparteneva alla figlia. A suo dire, la sua affermazione di responsabilità sarebbe avvenuta in difetto dell’esistenza, a suo carico, di una posizione di garanzia e senza che fosse accertata, per un verso, la violazione di una regola cautelare e, per altro verso, la prevedibilità ed evitabilità dell’evento.
Ma per la Suprema Corte le doglianze sono manifestamente infondate, in primis in ordine al presunto travisamento del fatto e delle prove circa la dinamica del sinistro: per i giudici del Palazzaccio la decisione del tribunale è del tutto legittima “laddove ha affermato l’esistenza di profili di colpa, essendo di palese evidenza, per un agente medio, tanto la violazione di una regola cautelare quanto la prevedibilità dell’evento, a fronte di una condotta consistita nel legare, con una corda, un cane ad un albero, nell’immediate vicinanze di una strada di regola percorsa da veicoli a motore”.
Per l’obbligo di custodia rileva non la proprietà del cane ma una relazione anche di detenzione
Ma i giudici del Palazzaccio rigettano anche e soprattutto il motivo con cui il ricorrente lamentava l’erronea applicazione della legge penale in relazione a quanto previsto dall’art. 40, comma 2, del codice penale. “Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, ciò che è necessario accertare in tali vicende non è la proprietà dell’animale, ma, piuttosto, l’esistenza di una relazione di fatto tra lo stesso e l’imputato, tale da far sorgere in capo a quest’ultimo un obbligo di custodia e di vigilanza sul primo” spiegano gli Ermellini.
Appare quindi evidente che, nel caso concreto, “i giudici del merito hanno fatto corretta applicazione del dato normativo cristallizzato nell’art. 40, comma 2, cod. pen., avendo recepito l’orientamento, formatosi relativamente alla contravvenzione di “omessa custodia e mal governo di animali” di cui all’art. 672 cod. pen., ma utilizzabile, all’evidenza, anche nella subiecta materia, secondo cui l’obbligo di custodia sorge ogni qualvolta sussista una relazione, anche di mera detenzione, tra l’animale e una data persona, posto che la norma incriminatrice di parte speciale collega il dovere di non lasciare libero l’animale e di custodirlo con le debite cautele al possesso dello stesso, da intendersi come comprensivo anche della mera detenzione di fatto, non essendo necessario un rapporto di proprietà in senso civilistico” conclude la Suprema Corte, che ha pertanto confermato la condanna già emessa dai primi due gradi di giudizio.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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