A chi spetta provare l’incidenza avuta dall’eccesso di velocità di un automobilista sull’entità delle conseguenze di un incidente verificatosi, dal punto di vista della dinamica, per colpa del conducente dell’altro veicolo coinvolto?
Questa prova non può essere messa in capo ai danneggiati (o ai loro familiari in caso di esito tragico), il cui onere probatorio circa il nesso di causa fra la condotta di entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro e il danno patito risulta assolto nel momento stesso in cui sia stato accertato che la condotta colposa anche di quello che pure non lo ha causato, nella fattispecie per l’eccessiva velocità, abbia aggravato la violenza dell’urto. Spetterà quindi al conducente in questione dimostrare che il danno, le lesioni o il decesso, si sarebbe ugualmente verificato a prescindere dalla propria condotta. A stabilire questo principio la Cassazione, con l’ordinanza n. 36519/22 depositata il 14 dicembre 2022.
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Il contenzioso per i danni di un tragico incidente
La vicenda. Il 15 febbraio 2008, in Sicilia, a causa di un terribile incidente stradale tra due auto, una Skoda e una Renault, il passeggero di quest’ultima vettura aveva perso la vita. I suoi familiari, ritenendo responsabili tutti e due i conducenti, avevano agito in giudizio nei confronti di entrambi e delle rispettive compagnie di assicurazione per ottenere il risarcimento dei danni patiti.
In primo grado il tribunale aveva effettivamente ritenuto che il sinistro si fosse verificato per la concorrente responsabilità della conducente della Skoda, che procedeva a velocità superiore a quella consentita, di 70 Km/h, e che, perdendo il controllo del proprio mezzo, aveva invaso l’opposta corsia di marcia, ma anche del guidatore della Renault in cui era trasportata la vittima, che teneva a sua volta una velocità eccessiva, stimata in 104 Km/h, nella rispettiva misura del 70 e del 30 per cento. Essendo intervenuta tra le parti una transazione con l’assicurazione della Skoda, il giudice aveva rigettato la domanda nei confronti di quest’ultima e aveva condannato il conducente del “vettore” su cui viaggiava il passeggero e la sua assicurazione al risarcimento dei danni.
Ma in secondo grado la Corte d’appello di Catania, accogliendo il gravame incidentale della compagnia assicurativa della Renault, aveva rigettato le istanze risarcitorie degli eredi del passeggero deceduto condannandoli a restituire gli importi già riscossi in in esecuzione della sentenza di primo grado.
La Corte aveva sostenuto che l’accordo intercorso fra i congiunti della vittima e la compagnia dell’altra auto, la Skoda, non costituiva una transazione, ma una “remissione del debito solidale, con effetto immediatamente liberatorio anche nei confronti dei debitori in solido, ai sensi del disposto dell’art. 1301 c.c.”, per citare la sentenza, ritenendo quindi infondata la pretesa di ottenere ulteriori somme”.
Non ritenuta provata l’incidenza dell’eccesso di velocità sul decesso del passeggero
Inoltre, aveva ritenuto fondato l’appello della compagnia del vettore, la quale aveva contestato la sentenza di primo grado laddove aveva attribuito un concorso di colpa nella determinazione dell’evento mortale al conducente della Renault appunto. Secondo la tesi difensiva, accolta dai giudici di secondo grado, era stata l’altra automobilista ad aver invaso la corsia opposta e anche laddove il proprio assicurato avesse rispettato il limite di velocità di 70Km/h non avrebbe potuto evitare l’impatto. Al riguardo, sarebbe stata “apodittica” la conclusione del primo giudice circa il fatto che la velocità dell’auto da lui condotta avrebbe certamente concorso all’aggravamento delle conseguenze dell’impatto, non essendo dato in alcun modo sapere se il rispetto del limite di velocità avrebbe impedito il decesso del passeggero.
I congiunti della vittima hanno quindi proposito ricorso per Cassazione e anche le altre parti hanno avanzato ricorsi incidentali. I motivi che qui premono sono quelli nei quali è stata contestata l’esclusione della responsabilità del conducente della Renault (e quella conseguente della sua assicuratrice) con censure inerenti alla prova dell’efficienza concausale della velocità eccessiva di quest’ultimo nel determinismo dell’evento mortale.
La Suprema Corte permette subito che è assodato come il sinistro si sarebbe verificato in ogni caso, anche laddove il conducente della Renault avesse proceduto rispettando il limite di velocità segnalato e quello consigliato dalle condizioni della strada: pioveva e l’asfalto era bagnato.
Il vero nodo del contendere, invece, riguarda il concorso della condotta del conducente dell’auto su cui era trasportata la vittima a determinare non lo scontro, ma la morte del passeggero: secondo i ricorrenti, in linea con quanto già ritenuto dal giudice di primo grado, l’eccesso di velocità avrebbe aggravato le conseguenze dell’impatto, rendendo più dirompente la forza d’urto ed assumendo un ruolo concausale rispetto al decesso.
E qui, spiega la Suprema Corte, il punto nodale della controversia riguarda l’affermazione della Corte secondo cui, accogliendo il gravame dell’assicurazione, sarebbe stata “apodittica”l’affermazione del primo giudice circa il fatto che la velocità dell’auto in questione avesse di sicuro concorso nell’aggravare le conseguenze dell’impatto, non essendo stato provato in alcun modo se il rispetto del limite avrebbe impedito il decesso.
Non si può far ricadere sui danneggiati il dubbio sulla efficienza causale dell’eccessiva velocità
La Cassazione pone quindi due quesiti a cui va data risposta, “se tale affermazione sia sindacabile in sede di legittimità e, in caso affermativo, se sia corretta la scelta della Corte territoriale di far ricadere sui danneggiati il “dubbio” sull’efficienza causale della velocità eccessiva del (omissis), nel senso di ritenere non provata la loro pretesa risarcitoria nei confronti suoi e della sua assicurazione”.
Ebbene, per gli Ermellini la risposta è affermativa con conseguente accoglimento del ricorso, perché, spiegano, “la censura non concerne propriamente un apprezzamento di merito circa la ricorrenza o meno del nesso causale fra la velocità eccessiva e imprudente del (omissis) e la morte del passeggero, ma investe piuttosto la scelta della Corte di far conseguire un esito “assolutorio” (in favore del conducente del vettore e della sua assicuratrice) alla difficoltà di accertare l’incidenza causale dell’anzidetta velocità irregolare sulla gravità delle lesioni riportate dal deceduto”.
La doglianza dei congiunti della vittima, proseguono i giudici del Palazzaccio, ritenendola fondata, prospetta quindi un errore di diritto che viene imputato alla Corte per aver fatto ricadere su di loro le conseguenze del dubbio sul fatto che neppure una velocità inferiore potesse evitare il decesso.
L’andatura troppo sostenuta ha indubbiamente aggravato la violenza dell’urto
La Cassazione evidenzia come non sia revocabile in dubbio che la velocità del conducente della Renault, “doppiamente irregolare per il fatto di superare di ben 34 Km/h il limite previsto e di non essere stata ridotta, rispetto a tale limite, in considerazione delle condizioni del manto stradale bagnato, abbia aggravato la violenza dell’impatto fra le due vetture”: tanto basta quindi per affermare, sottolinea la Suprema Corte, “l‘incidenza causale della condotta colposa del (omissis) sulle conseguenze dello scontro (salvo, ovviamente, accertarne la misura percentuale), ivi compresa quella più grave, ossia le lesioni mortali subite dalla vittima trattandosi di danno che deve evidentemente ritenersi “prodotto” (ai sensi dell’art. 2054 c.c.) anche da tale condotta”.
Con questo, vanno a concludere gli Ermellini, “deve considerarsi assolto l’onere dei ricorrenti di provare il nesso causale fra la condotta colposa del conducente del settore e il danno di cui hanno richiesto il risarcimento”, salvo, come detto, quantificarne l’incidenza. In questa situazione, chiarisce ancora la Cassazione, incombeva al conducente della Renault e alla sua compagnia di assicurazione, in conformità al criterio generale sotteso alle previsioni dei commi 1° e 2° dell’art. 2054 c.c., “l’onere di fornire la prova liberatoria della propria responsabilità risarcitoria, dimostrando che l’eccesso di velocità era stato ininfluente rispetto al decesso”. Con la conseguenza che il mancato assolvimento di tale onere e il dubbio evidenziato dalla Corte di merito “non possono ricadere sui ricorrenti (che, per parte loro, hanno fornito la prova del nesso di causa), ma sui convenuti”.
In conclusione, la Cassazione afferma il seguente principio di diritto, che dovrà guidare il giudice del rinvio nella rivalutazione della causa: “laddove si accerti che la condotta colposa di un conducente (nel caso, per eccesso di velocità) ha aggravato le conseguenze del sinistro che si sarebbe in ogni caso verificato a seguito della manovra colposa del conducente del veicolo antagonista (nel caso, per avere invaso l’opposta corsia di marcia), risulta con ciò stesso assolto l’onere dei danneggiati (nel caso, i congiunti del trasportato deceduto nel sinistro) di provare il nesso di causa fra la condotta di entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro e il danno patito (fatta salva la quantificazione, da parte del giudice, della misura dei distinti contributi causali), mentre incombe sul conducente che affermi che il danno si sarebbe egualmente verificato, a prescindere dalla propria condotta, l’onere di fornirne la prova”.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
Incidenti da Circolazione StradaleCondividi
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