Anche se sul tragico incidente non si ha colpa alcuna, non è un addebito di “particolare tenuità”, e va punito, il fatto di essersi messo al volante o “sul manubrio” dopo aver bevuto. E’ un messaggio forte contro la guida in stato di ebbrezza quello lanciato dalla Cassazione con la sentenza n. 14609/21 depositata il 20 aprile 2021.
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Motociclista condannato per guida in stato di ebbrezza dopo un incidente mortale
La Corte d’appello di Cagliari, peraltro confermando la decisione di primo grado del Tribunale di Oristano del 2019, aveva condannato un motociclista alla pena, condizionalmente sospesa, di un mese di reclusione e di euro mille di ammenda in relazione al reato per l’appunto di cui all’art. 186, comma 2, del Codice della Strada, per essersi posto alla guida, in stato di ebbrezza alcolica (con un valore di 0,94 g/l, contro il limite di 0,5), della sua moto Yamaha che poi era stata coinvolta in un terribile incidente occorso il 2 giugno 2014.
Un automobilista con una Dacia Duster aveva improvvisamente invaso la corsia opposta dove sopraggiungeva la motocicletta dell’imputato che trasportata un giovane amico, e l’inevitabile scontro era costato la vita al passeggero a causa del fatale trauma cranico subito con la caduta.
La Corte territoriale aveva escluso la possibilità di considerare il fatto di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., come invece chiesto dal legale del centauro, il quale tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione. Nell’atto il ricorrente ha evidenziato il fatto che era stato assolto dall’accusa di omicidio colposo dell’amico e che era stata riconosciuta la responsabilità esclusiva del conducente dell’auto nella causazione del sinistro. Ha quindi aggiunto che procedeva ad una velocità persino inferiore al limite consentito in quel tratto, 40 km/h, che aveva posto in essere una manovra di emergenza per scongiurare l’impatto e che quindi era verosimile che, anche laddove non avesse assunto sostanze alcoliche, non sarebbe comunque riuscito ad evitare la macchina paratasi all’improvviso davanti a lui.
Infine, il suo legale aveva insistito sul fatto che l’alcol viene eliminato a una velocità di 0,015 BAC (concentrazione di alcol nel sangue) per ora e che quindi una persona con un BAC di 0,05% impiega tre ore e mezzo per eliminare l’alcol dal corpo. Pertanto, stante la lentezza nell’eliminazione del sangue dal corpo dell’assuntore, verosimilmente il tasso alcolico presente nel sangue del motociclista doveva essere molto simile a quello del suo arrivo all’ospedale.
Per la Suprema Corte, tuttavia, il ricorso è manifestamente infondato. “Ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., – spiegano gli Ermellini -, il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non occorre la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti”.
La norma, prosegue la Cassazione, correla l’esiguità del disvalore a una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, “da apprezzare in relazione ai soli profili di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., e non invece con riguardo a quelli, indicativi di capacità a delinquere, di cui al secondo comma, includenti la condotta susseguente al reato”.
L’imputato ha consapevolmente esposto a rischi elevati il passeggero che trasportava
Fatte queste precisazioni in merito ai principi di diritto in materia, secondo i giudici del Palazzaccio la Corte d’appello “ha logicamente evidenziato plurime circostanze, tutte distoniche con la causa di non punibilità invocata”, evidenziando che l’imputato si era posto alla guida dì una potente motocicletta, “cioè di un veicolo per la cui conduzione servono una speciale abilità ed un’attenzione assai vigile”, avendo assunto bevande alcoliche “in misura tale che, ancora a diverso tempo dall’incidente, nel sangue v’era una concentrazione alcolica di ben 0,94 gli e che, in detta circostanza, aveva fatto salire come passeggero l’amico poi deceduto nel successivo incidente, esponendolo ai rischi elevati derivanti dall’assunzione di alcolici in quantità non modesta”.
In conclusione, secondo la Suprema Corte il ricorrente ha affrontato il tema del tasso alcolemico formulando censure non deducibili in sede di legittimità, “a fronte di un ampio ed articolato apparato motivazionale della sentenza impugnata, che ha svolto un adeguato approfondimento del contesto dell’intera vicenda”. Dunque, ricorso rigettato e condanna confermata.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
Blog Incidenti da Circolazione StradaleCondividi
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