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Il principio del “più probabile che non“, altresì detto “preponderanza dell’evidenza”, rimane lo standard probatorio in materia civile: a ribadirlo nuovamente è la Cassazione, con la sentenza n° 10978 pubblicata il 26 aprile 2023.

La causalità civile, infatti, si “accontenta” di un grado di certezza inferiore rispetto a quella penale, dove vige l’art. 533 c.p.p., che legittima la condanna solo quando l’imputato risulti colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”. 

 

Le condizioni stradali non si possono escludere dalla responsabilità: il caso

Questa sentenza prende le mosse da un tragico caso di incidente stradale mortale. Un ragazzo, in sella alla sua motocicletta, tenta un sorpasso; avvedutosi però di un autoarticolato che sopraggiunge dalla corsia opposta, decide di rientrare nella parte della carreggiata di sua competenza. La brusca frenata, però, costa una rovinosa caduta e il conseguente schianto fatale sul parafango del camion in avanzamento. Nel punto “maledetto”, però, la famiglia del giovane riscontra un’anomalia del manto stradale, assunta come concausa del sinistro.

In un primo momento il Tribunale di Novara ha riconosciuto la problematica messa in evidenza dalla famiglia, adducendo un 40% di responsabilità dell’evento proprio all’asfalto. La controparte, però, è ricorsa in appello, sostenendo invece che la colpa fosse esclusivamente del conducente della motocicletta per la sua manovra azzardata. La Corte d’Appello di Torino, a suo tempo, ha accolto quest’ultima richiesta.

 

Il ricorso a Cassazione e la mancanza di indizi “gravi, precisi e concordanti”

Ecco quindi che la famiglia opta per rivolgersi alla Cassazione con l’obiettivo di capovolgere nuovamente la decisione. Il controricorso punta a rigettare l’ultima sentenza, dimostrando la corretta percentuale di responsabilità anche alle condizioni stradali al momento del sinistro. La Suprema Corte – citando direttamente l’atto – si è espressa così: “La Corte d’Appello ha ritenuto non provato che la cosa (le condizioni del manto stradale) ha concorso a causare il danno. La ricorrente (Corte di Cassazione, ndr) ritiene che, nel compiere questo accertamento, la Corte d’Appello abbia violato il criterio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui il nesso di causa deve ritenersi accertato quando la tesi a suo favore è più probabile di quella contraria (“più probabile che non“)“. La Corte d’Appello, per contro, avrebbe preteso non già una probabilità superiore a quella contraria, ma la certezza o l’elevata probabilità“. 

Essendo di fatto “certa” che le condizioni stradali non abbiano inficiato nel sinistro, la Corte d’Appello avrebbe violato gli articoli 2727 e ss. poiché “non ha posto a base della presunzione, secondo la quale cosa non ha inciso causalmente sul danno, elementi indiziari gravi, precisi e concordanti: piuttosto ha assunto a base di tale sua conclusione elementi che erano di mero sospetto o assolutamente dubbi, come la velocità tenuta dalla vittima. Con ciò ha violato dunque la regola per la quale una conclusione può essere assunta su base presuntiva solo facendo ricorso ad indizi gravi, precisi e concordanti“.

 

Il principio del “più probabile che non”

A differenza del codice penale, che legittima la condanna solo quando l’imputato risulti colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio, la regola del “più probabile che non” implica che, rispetto ad ogni enunciato, si consideri la possibilità che esso possa essere vero o falso, ossia che sul medesimo fatto vi siano un’ipotesi positiva ed una negativa, sicché, tra queste due alternative, il giudice debba scegliere quella che, in base alle prove disponibili, ha un grado di conferma logica superiore all’altra.

Citando direttamente la sentenza degli Ermellini: “E’ nota la giurisprudenza di questa Corte sulla prova del nesso di causalità e dunque sulla regola secondo cui il nesso di causa è provato quando la tesi a favore (del fatto che un evento sia causa dell’altro) è più probabile di quella contraria (che quell’evento non sia causa dell’altro): il che si esprime con la formula del più probabile che non“. 

Inoltre, ribadisce la Suprema Corte citando la sentenza 25885 del 2022, “qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile ad una pluralità di cause si devono applicare i criteri della probabilità prevalente e del “più probabile che non”; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili, poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente“.

Nessuna prova certa: il ricorso è accolto

A conclusione della sentenza, si legge pertanto che “le probabilità numeriche di un fatto non necessariamente ammontano al 100%, ossia: data la tesi X e quella contraria Y, la loro somma non porta sempre al 100%. Ciò accade perché c’è sempre spazio per altre spiegazioni, molto meno probabili, che sono date da una percentuale minore. Così che, scartate queste ultime, può accadere che le rimanenti abbiano l’una nel 30% e l’altra il 20%: la regola del più probabile che non porta ad affermare come fondata la prima delle due, anche se non caratterizzata da un ‘elevata probabilità“.

Ritornando, infine, allo specifico caso ecco che non essendoci prove gravi, precisi e concordanti dell’esclusività di responsabilità del conducente della motocicletta, e poiché gli indizi si basano su una valutazione meramente ipotetica ricavata dalla CTU non nei termini dell’efficienza causale richiesta per poter considerare il fatto liberatorio“, il ricorso della famiglia viene accolto. La Corte, quindi “cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese“.

Scritto da:

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Dott. Andrea Biasiolo

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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