Quali sono i limiti delle responsabilità dei gestori dei cosiddetti impianti sportivi pericolosi? Venerdì 19 gennaio 2024, durante un’esibizione dimostrativa nella giornata inaugurale di Motor Bike Expo, il salone internazionale del motociclista, alla Fiera di Verona, uno stuntman ha perso il controllo della Bmw che stava guidando andando a schiantarsi contro le transenne di delimitazione (in foto in anteprima) e travolgendo un gruppo di spettatori, che per fortuna se la sono cavata con ferite di varia entità uscendo tutti vivi, ma poteva essere una strage.
L’ennesimo incidente sul genere ripropone, appunto, il tema delle responsabilità di chi gestisce impianti sportivi rischiosi quali piscine, piste da sci e, ovviamente, circuiti motoristici, su cui proprio di recente ha fatto il punto la Cassazione, con la sentenza n. 1425/24 depositata il 12 gennaio 2024, nella quale la IV sezione Penale della Suprema Corte, accogliendo il ricorso del gestore di una pista di moto, chiarisce che la regola generale è quella della inesigibilità di condotte non previste dalla legge o comunque dalla relative federazioni.
Indice
Tragica morte di un motociclista in una pista per motocross
Nel caso specifico (in foto la moto) la vittima, un motociclista, il 20 febbraio del 2016, dopo aver percorso il rettilineo principale di una pista da motocross, anziché impostare la curva, aveva proseguito dritto a circa 70 km/h, in tal modo la spalletta del terrapieno che delimitava a destra la curva (la cui funzione era quella di accompagnare i motociclisti nella esecuzione della curva) si era trasformata in una sorta di trampolino provocando un “volo balistico” sopra la cosiddetta “zona neutra” e il centauro si era schiantato contro il muro di delimitazione della ferrovia limitrofa perdendo la vita a causa dei gravissimi politraumi riportati.
Gestore del circuito condannato dai giudici d’appello per omicidio colposo
Per la Corte di appello di Torino, che pure aveva riconosciuto la corretta omologazione del circuito e l’assenza di responsabilità da parte del tecnico omologatore, il gestore avrebbe comunque dovuto “effettuare uno studio sulla sicurezza dell’impianto” e una “valutazione dei relativi rischi, essendo notoriamente il motocross uno sport di elevata pericolosità, e ciò anche se detto obbligo non era previsto dalla normativa di settore”, per citare la sentenza del gennaio 2023. In particolare, si sarebbero dovute individuare “tutte le probabili traiettorie di uscita dalla curva da parte dei veicoli” ed approntare “gli idonei accorgimenti di sicurezza”. Di qui la condanna del gestore a sei mesi di reclusione per il reato di omicidio colposo e al risarcimento dei danni a favore delle parti civili costituite.
L’imputato ricorre per Cassazione che gli dà ragione
L’imputato, tuttavia, ha proposto ricorso per Cassazione che, dopo un ripasso generale delle regole in materia di impianti sportivi, ha accolto le sue doglianze bocciando la lettura del caso da parte della Corte territoriale.
I giudici del Palazzaccio hanno ad esempio spiegato che nello sci l’obbligo di recintare la pista ed apporre idonee segnaletiche vige “solo in presenza di un pericolo determinato dalla conformazione dei luoghi che determini l’elevata probabilità di un’uscita di pista dello sciatore, apparendo inesigibile pretendere che tutta la pista sia recintata o che tutti i pericoli siano rimossi”.
A chi gestisce un impianto pericoloso non si può chiedere di più del rispetto delle norme previste
In generale, dunque, la giurisprudenza individua il contenuto dell’obbligo giuridico del gestore “nella vigilanza sul rispetto delle regole di utilizzo interno dell’impianto (nella specie, nessuna violazione in tal senso era venuta in considerazione) ovvero delle specifiche regole previste da normative speciali (si vedano le norme sull’attività sciistica) e dai regolamenti emanati dalle Federazioni sportive”. Nel caso di specie, secondo il regolamento della Federazione motociclismo, la “zona neutra” della curva doveva avere la misura di 100 centimetri, parametro più che rispettato considerato che la “zona ne misurava 180” e, infatti, il circuito era stato ritualmente omologato.
Vale a dire le regole di utilizzo interno e quelle specifiche delle rispettive federazioni
Il gestore dell’impianto, conclude la Cassazione, “è tenuto a vigilare sulla regolare organizzazione della attività in base alla disciplina prevista dalle Federazioni sportive, e non è sostenibile che egli sia tenuto ad intervenire con un comportamento attivo che superi le previsioni regolamentari”, in tal modo “ponendo in capo al gestore un obbligo di fatto inesigibile per ampiezza e genericità”.
In definitiva il ricorrente aveva adempiuto “a tutti gli obblighi” essendosi affidato al regolamento della Federazione Motociclistica Italiana e alle omologhe del circuito da parte dei “maggiori esperti del settore”. Non era dunque esigibile una ulteriore “ricerca di tecnici con esperienza ancora superiore a quelli del comitato impianti della Federazione”. La Suprema Corte ha pertanto annullato la sentenza impugnata “perché il fatto non sussiste” revocando anche le statuizioni civili.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
Incidenti da Circolazione StradaleCondividi
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