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Se il conducente di un veicolo, mentre è alla guida, viene colto da un malore improvviso, del tutto imprevisto e di cui non aveva avuto prima alcuna avvisaglia, e il mezzo privo di controllo causa danni a terzi, è chiaro che non si può imputargli una responsabilità penale per l’accaduto. Altro discorso, però, se ciò dovesse capitare a un soggetto ben consapevole di soffrire di patologie che possono comportare crisi e repentine perdite di coscienza, come nel caso dell’epilessia: in questo caso chi si metta al volante in queste condizioni e poi provochi un incidente deve rispondere di tutte le conseguenze.

Con la sentenza n. 28435/2022, depositata il 20 luglio 2022, la Cassazione si è occupata di una fattispecie di sinistri tutt’altro che infrequenti e peraltro dalle conseguenze anche tragiche, proprio perché determinati da “veicoli impazziti” rimasti privi di qualsiasi controllo a causa di infarti, ictus o altri gravi eventi acuti patiti da chi li stava guidando: è proprio di questi giorni la terribile strage dei ciclisti successa a Grosseto (in foto) dove un anziano, colto (si suppone) da malore mentre era alla guida della sua utilitaria, ha falciato una comitiva di cicloamatori uccidendone tre e ferendone altri sei, di cui uno in modo gravissimo.

Automobilista colto da crisi epilettica mentre guida condannato per omicidio stradale

Anche la vicenda di cui si è occupata la Suprema Corte, accaduta in Sardegna, a Orosei, nell’aprile del 2014, ha avuto un epilogo drammatico: il conducente di un’auto, a causa di un improvviso attacco epilettico, aveva perso il controllo della vettura finendo prima contro alcuni mezzi parcheggiati lungo la strada e poi, purtroppo, investendo due anziani coniugi che stavano tranquillamente camminando sul marciapiede e causando la morte di uno dei pedoni e il ferimento grave dell’altra. 

Con sentenza del 2020, peraltro confermando la decisione di primo grado, la Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, aveva condannato alla pena di giustizia per il reato di omicidio stradale il conducente della macchina, imputandogli il fatto di essersi messo alla guida della sua autovettura essendo ben consapevole del suo stato di soggetto affetto da epilessia.

L’imputato tuttavia ha proposto ricorso anche per Cassazione, sostenendo la tesi che il fatto che fosse a conoscenza della sua malattia non assurgeva ad argomentazione di per sé valida ad ascrivergli la responsabilità penale, essendo stata quella la prima volta che un attacco epilettico gli era insorto durante la guida e, inoltre, in generale, non ne aveva mai accusati di tale entità da perdere completamente conoscenza.

 

L’imputato aveva ottenuto il rinnovo della patente dalla Commissione medica

Il ricorrente ha quindi aggiunto a sua discolpa la circostanza di essere costantemente seguito da uno specialista neurologo, di essere sotto cura farmacologica e, soprattutto, che durante le visite di controllo per il rinnovo della patente di guida la Commissione medica competente, che pure aveva a disposizione la sua cartella clinica, non gli aveva mai imposto limitazioni o inibizioni al rinnovo.

Per la Suprema corte tuttavia la doglianza è inammissibile. Al di là delle solite questioni formali – “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni discusse, ritenute infondate e motivatamente respinte dal giudice del gravame” rammentano gli Ermellini -, la Cassazione entra comunque nel merito del caso di specie, ritenendo che la Corte territoriale abbia “adeguatamente risposto alla censura già proposta dall’imputato in punto di configurabilità dell’elemento soggettivo del reato (colpa), muovendo dal presupposto che l’art. 115 del Codice della Strada richiede che chi guida debba essere idoneo per requisiti psichici e psichici, al momento in cui si pone alla guida”.

Nel caso di specie, sottolineano i giudici del Palazzaccio, “è stato accertato che tali requisiti difettavano nel conducente anche alla luce della Direttiva Europea n. 112/09, pur invocata dalla difesa stessa, sulla base della quale l’imputato ricadeva nella categoria più grave per il rilascio delle patenti di guida, secondo cui un soggetto può essere autorizzato alla guida solo dopo un periodo, documentato e certificato, da parte dello specialista neurologo, di un anno senza ulteriori crisi epilettiche”.

 

L’imputato aveva già subito episodi simili ed era conscio del rischio connesso alla patologia

Il ricorrente, invece, prosegue la Cassazione, soffriva di epilessia da oltre dieci anni ed era sottoposto a terapia farmacologica, e tuttavia la sua malattia era farmaco-resistente: pertanto, “la possibilità di incorrere in crisi epilettiche non era affatto annullata dall’assunzione dei farmaci che gli erano stati prescritti”. Senza contare, di più, che il neurologo, una dottoressa, che lo seguiva, di cui ovviamente era stata assunta la testimonianza, aveva confermato come il suo paziente avesse avuto “una frequenza di crisi epilettiche pluriannuali, vale a dire più volte all’anno”.

E soprattutto come ne fosse già stato colpito un paio di volte proprio “durante la guida, anche se in forma leggera”, il che gli aveva consentito di fermarsi in tempo. E in un’occasione, pur non trovandosi allora al volante, il ricorrente aveva subito un attacco così forte che gli aveva fatto perdere conoscenza, come successo in occasione del tragico incidente.

 

L’evento non era stato né del tutto straordinario né imprevedibile

Pertanto – tirano le fila del ragionamento gli Ermellini – del tutto plausibilmente i giudici di merito hanno ritenuto che l’imputato avesse piena cognizione che la patologia da cui era affetto comportasse episodi di perdita di coscienza e che lo rendesse quindi inidoneo alla guida, escludendo che l’evento verificatosi fosse per lui del tutto straordinario e imprevedibile”. Il che, continua la Cassazione, “configura legittimante un’ipotesi di colpa cosciente, trattandosi di soggetto consapevole della sua malattia, per cui egli avrebbe dovuto prevedere in concerto la possibilità di cagionare l’evento, e ciononostante agì con l’erroneo convincimento di poterlo evitare”.

L’improvviso malore – asserisce quindi la Suprema Corte riaffermando un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità -, per configurare assenza di colpa presuppone l’imprevedibilità dell’evento da cui derivi la perdita di coscienza e la conseguente ingovernabilità della condotta; altrimenti, se il malore non costituisce una accidentalità non conoscibile e non eliminabile con l’uso della comune prudenza e diligenza, in quanto riconducibile a patologia nota dall’agente, per aver questi in precedenza già subito episodi di perdita di coscienza, non è possibile invocare l’assenza di colpa nel porsi alla guida di un autoveicolo”.

Sin qui nulla da eccepire, peccato però che la Cassazione non entri minimamente in quella che era forse la principale (e più inquietante) argomentazione addotta dall’imputato a sua discolpa, ossia che egli conduceva l’auto essendo in possesso di un valido titolo di guida senza aver nascosto la propria patologia in sede di rinnovo della patente.

Questo e altri fatti sul genere infatti sollevano con forza la questione dell’operato evidentemente non sempre scrupoloso, come dovrebbe essere, delle Commissioni mediche preposte al rinnovo delle patenti.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Incidenti da Circolazione Stradale

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