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La mancata previsione del diritto all’indennizzo per chi ha subito danni permanenti dopo essersi sottoposto alla vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, anti-papillomavirus (anti-HPV) è anticostituzionale, violando gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con l’importante sentenza n. 181/2023 depositata il 26 settembre 2023, che peraltro conferma un orientamento ormai assodato teso a riconoscere il diritto ad essere indennizzati anche per le vaccinazioni non obbligatorie ma caldamente raccomandate dalle autorità pubbliche sanitarie a tutela della salute collettiva: è il caso dell’ anti-epatite A; dell’antinfluenzale, dell’anti-morbillo, parotite e rosolia, dell’anti-epatite B e, infine, della vaccinazione antipoliomielitica, molte delle quali, poi, nel 2017 sono anche divenute obbligatorie e gratuite per i minori fino al 16 anni di età. E non può infine essere tralasciata la legge 25/2022 che ha disposto la tutela indennitaria in caso di danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti alla vaccinazione “meramente raccomandata anti SARS-CoV-2.

 

La Corte d’appello di Roma solleva questione di legittimità sulla norma del vaccino anti HPV

Era stata la Corte d’appello di Roma, sezione quarta Lavoro, con ordinanza del 21 settembre 2022, a sollevare la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, numero 210 (“Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emo-derivati”), nella parte in cui non prevedeva che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge, alle condizioni ivi previste, spettasse anche ai soggetti che avessero subito lesioni o infermità, da cui fossero derivati danni permanenti all’integrità psico-fisica, per essersi sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, anti-papillomavirus (anti-HPV).

Il tribunale aveva respinto un’istanza di indennizzo perché la vaccinazione non era obbligatoria

La Corte territoriale si era trovata infatti a giudicare l’appello di una giovane contro la sentenza del Tribunale di Tivoli con cui era stata respinta la domanda, presentata dai genitori quando lei era ancora minorenne, vòlta a ottenere l’indennizzo previsto dalla legge succitata. Secondo l’appellante, la vaccinazione effettuata era stata raccomandata dalle autorità competenti ed era stato accertato il nesso di causalità tra lo sviluppo della patologia permanente e la somministrazione della terza dose di vaccino anti-HPV.

 

La Corte territoriale accerta il nesso di causa tra terza dose e sviluppo di patologia permanente

La Corte d’appello aveva a sua volta accertato, all’esito della consulenza tecnica d’ufficio, il nesso di causalità tra lo sviluppo della patologia e la somministrazione della terza dose di vaccino anti-HPV, che aveva “fatto acutamente emergere sul piano sintomatologico-clinico la patologia in questione (diabete)”. E dunque i giudici avevano ritenuto rilevanti le censure della danneggiata, anche perché essa si era sottoposta alla profilassi nel corso di una campagna vaccinale contro l’infezione da HPV, che mirava a raggiungere una copertura pari al 95% della categoria target, costituita da ragazze nel corso del loro dodicesimo anno di vita. 

L’anti-papilloma peraltro rientrava in una massiccia campagna vaccinale

Pertanto, la Corte d’appello, esclusa la possibilità di accedere a un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata, aveva ritenuto che solo una sentenza additiva di parziale illegittimità costituzionale potesse consentire di riconoscere il diritto all’indennizzo. E i giudici hanno poi ricordato che la tutela indennitaria, inizialmente accordata dal legislatore nell’ambito delle vaccinazioni obbligatorie, era stata di seguito estesa anche alle profilassi “sollecitate da interventi finalizzati alla protezione della salute pubblica a seguito di significativi arresti della Corte Costituzionale, fino a ricomprendere conseguenze invalidanti di vaccinazioni assunte nell’ambito della politica sanitaria anche solo promossa dallo Stato”.

Questioni giudicate tutte pienamente fondate dalla Consulta. “L’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 prevede il diritto all’indennizzo a beneficio di chi abbia subito “lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria nazionale. Il diritto all’indennizzo, diversamente dalla pretesa risarcitoria che ha fonte nel compimento di un illecito, rinviene il proprio fondamento nel dovere giuridico di solidarietà che grava sulla collettività, là dove – per il tramite delle autorità competenti – sia richiesto al singolo di attenersi a una condotta che preservi non solo la salute propria, ma anche quella degli altri” premette la Corte Costituzionale.

 

Il diritto all’indennizzo discende dalla tutela della salute generale cui è chiamato il singolo

La quale però aggiunge anche che, “a fronte della previsione legislativa di un diritto all’indennizzo correlato alle ipotesi in cui l’ordinamento impone un obbligo di vaccinarsi, questa Corte si è pronunciata più volte al fine di estendere il medesimo diritto in presenza di vaccinazioni che le autorità pubbliche sanitarie raccomandano a difesa della salute collettiva”. E ricorda altresì come “anche il legislatore è intervenuto nuovamente, rendendo obbligatorie e gratuite, per i minori di età da zero a sedici anni, molte delle vaccinazioni sopra citate, che in precedenza erano solo raccomandate”.

Fatte queste premesse, la Consulta passa quindi a richiamare le ragioni e le condizioni, che – secondo la Corte stessa – “determinano la necessità costituzionale di riconoscere un diritto all’indennizzo a chi subisca una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica per essersi sottoposto a un trattamento vaccinale non obbligatorio” 

E a giustificarlo bastano le campagne di informazione e sollecitazione alla vaccinazione

Il dovere della collettività di riconoscere una simile tutela sussiste se il singolo si è attenuto a un comportamento che oggettivamente persegue la finalità di proteggere la salute generale: ciò che rileva è l’esistenza di un interesse pubblico alla promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario – spiega la Corte Costituzionale – Affinché, dunque, si instauri una corrispondenza fra il comportamento individuale e l’obiettivo della tutela della salute collettiva è necessario e sufficiente, da un lato, che l’autorità pubblica promuova campagne di informazione e di sollecitazione dirette a raccomandare la somministrazione del vaccino non solo a tutela della salute individuale, ma con la precipua funzione di assicurare la più ampia immunizzazione possibile a difesa della salute collettiva e, da un altro lato, che la condotta del singolo si attenga alla profilassi suggerita dall’autorità pubblica nell’interesse generale”.

 

Tra obbligo e raccomandazione del vaccino non si apprezza una “diversità qualitativa”

Pertanto, la ragione determinante del diritto all’indennizzo risiede “nel perseguimento con la propria condotta dell’interesse collettivo alla salute e non nella obbligatorietà in quanto tale del trattamento, la quale è semplicemente strumento per il perseguimento di tale interesse. Ferma, restando la diversità fra le “due tecniche”, di cui l’autorità pubblica può ritenere di avvalersi, nondimeno tra obbligo e raccomandazione non si apprezza una diversità qualitativa”

Perciò, tira le fila del discorso la Cassazione, nel caso della vaccinazione anti-HPV,la mancata previsione del diritto all’indennizzo vìola gli artt. 2, 3 e 32 Cost., in considerazione della ampia e diffusa campagna vaccinale concernente tale profilassie peraltro “l’attitudine di tale campagna a ingenerare un affidamento nella popolazione non viene scalfita dalla circostanza che essa sia stata inizialmente demandata alle Regioni”, essendosi sempre svolta “sotto l’ègida dell’intesa del 20 dicembre 2007 e dietro diretto coordinamento del Ministero della Salute, che aveva il compito di individuare le azioni di arruolamento attivo, comprendenti interventi di informazione e comunicazione rivolti ai soggetti target e alle loro famiglie”.

 

I principi costituzionali violati dalla norma dichiarata illegittima

In conclusione, anche e proprio in conformità ai criteri individuati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, “si ravvisa il presupposto della prolungata e diffusa campagna di informazione e di raccomandazione da parte delle autorità sanitarie pubbliche circa l’opportunità di sottoporsi alla vaccinazione contro il virus HPV “a presidio della salute di ciascun singolo, dei soggetti a rischio, dei più fragili, e in definitiva della collettività intera” e di conseguenza  “l’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nel non prevedere il diritto all’indennizzo per il vaccino anti-HPV, si pone in contrasto con i plurimi parametri costituzionali evocati nell’ordinanza di rimessione”.

Nel dettaglio, lede l’art. 2 Cost., poiché “vìola il principio di solidarietà che impone alla collettività di essere, per l’appunto, “solidale” con il singolo che subisce un danno per essersi attenuto alla condotta raccomandata dalle pubbliche autorità a tutela dell’interesse collettivo”; vìola l’art. 3 Cost., “in quanto irragionevolmente pregiudica chi spontaneamente si attiene alla condotta richiesta dagli organi preposti alla difesa del diritto alla salute della collettività, rispetto a coloro il cui comportamento è adesivo a un obbligo giuridico presidiato da rimedi deterrenti. In particolare, una differenziazione che negasse il diritto all’indennizzo nel primo caso si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge, poiché riserverebbe a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione”; infine, la norma censurata contravviene all’art. 32 Cost., “poiché  priva di ogni tutela il diritto alla salute di chi si è sottoposto al vaccino (anche) nell’interesse della collettività.

Ergo, la Corte Costituzionale dichiara “l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 nella parte in cui non prevede il diritto a un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, a favore di chiunque abbia riportato lesioni o infermità, da cui sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione contro il contagio da papillomavirus umano (HPV)”.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Malasanità

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