Si può essere risarciti (dallo Stato) se la vaccinazione obbligatoria o raccomandata abbia causato comprovate reazioni avverse, ma nessun indennizzo per i danni prodotti dalla malattia contro la quale era stato assunto il vaccino, ossia per la sua inefficacia. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza n. 20539/22 depositata il 27 giugno 2022.
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Il caso di un bimbo vaccinato con la trivalente che però aveva ugualmente preso la parotite
La mamma di un bimbo aveva citato in giudizio l’Asur Marche e il Ministero della Salute perché fosse accertato il diritto del figlio ad ottenere i benefici di legge, con condanna delle controparti a corrispondere l’indennizzo previsto dalla legge 210/92. La genitrice si doleva del fatto che il minore aveva patito un grave danno alla salute a causa della somministrazione di una dose del vaccino Trivitaren e che la ASUR Marche prima e il Ministero della Salute poi avevano rigettato l’istanza finalizzata ad ottenere i benefici della legge n. 210 del 1992 sull’assunto che la vaccinazione in questione non fosse obbligatoria. Raggiunta la maggiore età si era poi costituito in giudizio anche il diretto interessato.
Con sentenza definitiva del 2015, il Tribunale di Macerata aveva accolto la domanda del ricorrente limitatamente alla richiesta concernente l’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 nei confronti del (solo) Ministero della Salute. Il quale però aveva appellato la decisione, sostenendo che la sentenza del Tribunale di Macerata era errata nella misura in cui aveva equiparato l’ipotesi di contagio da inefficacia del vaccino o da mancata risposta allo stesso, verificatasi nel caso concreto, a quella della reazione avversa. Nel 2016 tuttavia la Corte d’Appello di Ancona aveva rigettato anche l’appello confermando il pronunciamento di prime cure.
Il Ministero della Salute però non si è dato per vinto e ha proposto ricorso anche per Cassazione tornando a lamentare la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 1 della legge n. 210 del 1992, nonché l’omesso esame di un motivo di appello in quanto la Corte d’appello di Ancona avrebbe errato nel ritenere esistente il nesso causale tra i danni lamentati ed il vaccino quando, invece, la vaccinazione si era rivelata inefficace.
L’inefficacia del vaccino non può essere equiparata a una reazione avversa
Secondo la parte ricorrente, la mancata risposta al vaccino, legata a fattori individuali, non poteva essere equiparata ad una reazione avversa collegata causalmente allo stesso. Inoltre, non poteva ricorrere la fattispecie di cui al comma 4 del citato art. 1 della legge n. 210 del 1992, considerato che essa si riferiva a quelle situazioni in cui soggetti non vaccinati contraggono la malattia venendo in contatto con persone da poco vaccinate e, quindi, (ancora) idonee a diffondere il virus. Peraltro, osservava ancora il Ministero, nella controversia in questione, che riguardava un’ipotesi di parotite, il rischio di diffusione del virus da parte di soggetti vaccinati non sussisteva.
Per la Suprema Corte le doglianze vanno accolte. I giudici del Palazzaccio condividono l’orientamento già espresso dalla Cassazione in tema di vaccinazione contro la poliomielite, “ma estendibile alla presente controversia per identità di ratio”, secondo il quale, in tema di responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti alla vaccinazione obbligatoria contro la poliomielite appunto, “il diritto all’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 è riconosciuto solo nei casi in cui sussista un nesso causale tra la somministrazione del vaccino ed il danno patito dal soggetto passivo del trattamento sanitario obbligatorio. Pertanto, non può essere accolta la domanda del ricorrente che deduca l’inefficacia del vaccino somministrato, e non il nesso causale diretto tra quest’ultimo e la malattia successivamente contratta”.
Infatti, la legge n. 210 del 1992 ha introdotto un “indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie” spiegano i giudici del Palazzaccio, citando alla lettera l’art. 1 comma I: “Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge”.
Secondo la Suprema Corte “il fondamento di questa previsione è da ricercare essenzialmente nell’art. 32 Cost. (che tutela il diritto fondamentale alla salute), in collegamento con l’art. 2 Cost., come rilevato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 307 del 1990, la quale ha precisato che un corretto bilanciamento tra il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri implica il riconoscimento, ove si determini un danno per il singolo, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento sanitario obbligatorio. In particolare, finirebbe con l’essere sacrificato il contenuto minimale del diritto alla salute garantito all’individuo se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito”.
Indennizzo dovuto anche a chi ha assistito il danneggiato e ai danni da vaccini raccomandati
Analogo ristoro del danno da malattia trasmessa, prosegue la Cassazione, deve essere previsto anche “in favore delle persone che abbiano prestato assistenza personale diretta a chi è stato sottoposto al trattamento obbligatorio”. E ancora, sottolinea la Cassazione, “il diritto all’indennizzo in questione è stato riconosciuto anche in favore di coloro che si sono sottoposti a vaccinazioni solo raccomandate. In particolare, proprio riguardo la cosiddetta vaccinazione trivalente, che interessa il caso di specie, “la tutela de qua trova il suo fondamento nella sentenza n. 107 del 2012 della Corte costituzionale, la quale, in tema di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 nella parte in cui non prevedeva, anche per tali vaccinazioni, il diritto all’indennizzo“.
Il testo dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, pertanto, depone nel senso che “l’indennizzo è stato riconosciuto dalla legge solo ove vi sia un nesso causale tra la somministrazione del vaccino ed il danno patito dal soggetto passivo del trattamento sanitario obbligatorio. Il fatto generatore del diritto all’indennizzo è, dunque, l’inoculamento del vaccino che si sia, poi, rivelato dannoso per il soggetto”.
Ma la norma non prevede ristoro per chi si è ammalato della malattia contro cui si è vaccinato
Tuttavia, viene al dunque la sentenza, l’interpretazione letterale della norma, ma anche considerazioni di ordine sistematico che tengano cento dello scopo della disciplina in esame, “portano ad escludere che il diritto all’indennizzo spetti a coloro che contraggano la malattia dopo essersi sottoposti a vaccinazione in conseguenza dell’inefficacia della stessa sul loro organismo”
Inoltre, l’art. 1, comma 4, della legge n. 210 del 1992, richiamato dalla Corte territoriale per giustificare la sua decisione, “non supporta la tesi del paziente ma, al contrario, quella del Ministero della Salute. Infatti, esso dispone, per la parte che qui rileva, che “i benefici di cui alla presente legge spettano alle persone non vaccinate che abbiano riportato, a seguito ed in conseguenza di contatto con persona vaccinata, i danni di cui al comma 1”. Si tratta, quindi, di una disposizione applicabile esclusivamente qualora il non vaccinato sia stato contagiato da persona vaccinata, evidentemente ancora contagiosa nonostante il trattamento sanitario ricevuto. Nella specie, anche volendo equiparare la posizione del soggetto vaccinato a quella di un non vaccinato, mancherebbe la prova della provenienza del contagio da altra persona sottoposta alla vaccinazione c.d. trivalente.
Pertanto, la richiesta danni secondo la Cassazione non può che essere respinta, in applicazione del principio per cui “ai fini dell’ottenimento dell’indennizzo previsto dalla I. n. 210 del 1992, grava sull’interessato l’onere di provare l’effettuazione della somministrazione vaccinale, il verificarsi del danno alla salute e il nesso causale tra la prima e il secondo, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica”. Alla luce della “particolarità della controversia e l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale non consolidato in materia”, tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto (quanto meno) giustificata la compensazione delle spese di lite di tutti i gradi di giudizio.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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