A meno che non vi siano motivazioni fondate, come ad esempio la lenta stabilizzazione dei postumi fisici, il danneggiato che non dimostri per l’appunto di avervi un interesse oggettivamente valutabile, non può, di fronte ad un unitario fatto illecito lesivo di cose e persone, agire separatamente per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, in quanto questa condotta agraverebbe la posizione del danneggiante-debitore e causerebbe anche un ingiustificato aggravio del sistema giudiziario.
In altri termini chi cita in giudizio la controparte e la sua assicurazione prima per ottenere il risarcimento prima dei danni materiali al veicolo e poi, in secondo tempo, quelli alla persona, o viceversa, lo fa a proprio rischio e pericolo, quello cioè di vedersi respinta per via di questa scelta una pretesa che pure sarebbe giusta. Indicativa al riguardo l’ordinanza n. 19608/22 depositata dalla Cassazione il 17 giugno 2022, con la quale la Suprema Corte ha ribadito con forza il principio della “infrazionabilità del credito”.
Indice
Automobilista tamponata cita la controparte prima per i danni materiali e poi per quelli fisici
Una donna aveva agito per il risarcimento dei danni materiali conseguiti al tamponamento della sua vettura da parte di un’altra auto nei confronti del conducente di quest’ultima e della sua compagnia di assicurazione e successivamente, dopo che era passata in giudicato la sentenza che aveva accolto la domanda, aveva agito anche per il risarcimento dei danni alla persona riportati a seguito dello stesso incidente.
Il Giudice di Pace di Lanciano aveva dichiarato l’improcedibilità di tale domanda per essere stato violato il principio giurisprudenziale dì infrazionabilità del credito, sul rilievo che integrava un abuso del diritto l’attivazione di due distinti giudizi per il risarcimento dei danni conseguenti ad un medesimo fatto generatore. Una decisione confermata nel 2018 dal Tribunale di Lanciano, che aveva rigettato l’appello proposto dalla danneggiata, la quale ha quindi presentato ricorso anche per Cassazione.
La donna ha denunciato la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’interpretazione data dal giudice di appello alle sentenze indicate in primo grado dal Giudice di Pace, alla sentenza n. 4090/2017 emessa dalle Sezione Unite della Corte di Cassazione, al principio di infrazionabilità del credito e alla sanzione che la violazione di detto divieto comporta.
La danneggiata evidenziava la necessità di distinguere fra “frazionamento del credito” e “frazionamento dei crediti” e sosteneva che il Tribunale non aveva tenuto in alcun conto il fatto che i due diritti tutelati con le rispettive azioni (danno materiale all’auto e lesioni personali) “sono completamente distinti poiché i loro elementi costitutivi sono in parte differenti” per citare il ricorso. La ricorrente contestava quindi di aver commesso un qualche abuso e sosteneva che, in ogni caso, la sanzione che sarebbe potuta scaturire da un simile comportamento doveva essere quella della condanna al pagamento delle spese di lite e mai, invece, la dichiarazione di improcedibilità della domanda, la quale doveva comportare che fosse “il creditore ad essere punito” con la perdita del proprio diritto per ragioni puramente processuali.
Tutti gli altri motivi di doglianza ruotavano attorno a questa tesi, come quello in cui la ricorrente censurava l’errata applicazione della sanzione conseguente all’ipotetica violazione del principio che impone il divieto di frazionabilità del credito e del principio di buona fede e correttezza, nonché del giusto processo: al riguardo, assumeva di non aver in alcun modo alterato o ridotto, con la propria condotta, il potere di difesa della compagnia assicurativa costituitasi la quale, anzi, aveva resistito strenuamente.
Domanda respinta per violazione del principio di infrazionabilità del credito
Per la Suprema Corte, tuttavia, tutti i motivi, compresi quelli attinenti direttamente alle questioni della applicabilità del principio di infrazionabilità del credito e delle conseguenze della sua violazione, sono infondati. La Suprema Corte ribadisce il principio secondo cui “le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata”.
A meno di un interesse oggettivamente valutabile, non si può frazionare la tutela giudiziaria
Ciò comporta, spiegano i giudici del Palazzaccio, con specifico riguardo al frazionamento di pretese creditorie scaturenti da un unico sinistro stradale, che “il danneggiato, che non dimostri di avervi un interesse oggettivamente valutabile, non può, in presenza di un unitario fatto illecito lesivo di cose e persone, frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per il risarcimento dei danni patrimoniali e di quelli non patrimoniali, poiché tale condotta aggrava la posizione del danneggiante-debitore e causa ingiustificato aggravio del sistema giudiziario”.
Con l’ulteriore precisazione che “non integrano un interesse oggettivamente valutabile ed idoneo a consentire detto frazionamento, di per sé sole considerate, né la prospettata maggiore speditezza del procedimento dinanzi ad uno anziché ad altro dei giudici aditi, in ragione della competenza per valore sulle domande risultanti dal frazionamento, né la semplice ricorrenza di presupposti processuali più gravosi per l’azione relativa ad una delle componenti del danno, soprattutto in caso di intervalli temporali modesti”.
I postumi fisici peraltro erano stabilizzati già prima della domanda per i danni materiali
Pertanto, alla luce di tali principi e a fronte di pretese risarcitorie scaturenti da un medesimo fatto generatore, ossia l’incidente stradale avvenuto il 5 febbraio 2013, e tali, quindi, “da essere inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato e da poter essere accertate separatamente solo a costo di una duplicazione di attività istruttorie e di una conseguente dispersione della conoscenza della medesima vicenda sostanziale”, secondo la Suprema Corte il ricorso alla tutela frazionata da parte dell’automobilista tamponata poteva essere giustificato “soltanto in presenza di un interesse oggettivamente valutabile della stessa e che – per quanto correttamente rilevato dal Tribunale – non ricorreva nel caso di specie, essendo emerso (dalla stessa relazione medica prodotta dall’attrice) che i postumi invalidanti conseguenti alle lesioni riportate nel sinistro si erano stabilizzati in epoca anteriore alla proposizione della domanda concernente i danni materiali”: pertanto, “non sussistevano ragioni oggettive che potessero fondare un interesse del creditore ad agire separatamente per il risarcimento dei danni alla persona”.
Di conseguenza, respinta anche la censura in cui si lamentava l’eccessività della “sanzione” della improcedibilità della domanda successiva: “sia l’esigenza di scoraggiare abusi del diritto da parte del creditore in danno del debitore che quella di evitare le ricadute in termini di aggravio dell’operatività del sistema giudiziario (che si verificherebbero in ogni caso se si intervenisse soltanto sulle spese processuali) comportano la necessità di mantenere fermo l’esito della improcedibilità, in difetto di un interesse obiettivamente apprezzabile del creditore al frazionamento” concludono gli Ermellini, rigettando il ricorso e confermando il giudizio dei giudici di merito.
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