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“Lo Stato italiano ci ha gettato nella disperazione un’altra volta. La Giustizia è un sogno lontano”.
E’ profondamente delusa, amareggiata e ferita Carmela Caruso dopo aver visto svanire anche l’ultima speranza di una condanna un po’ più consona per l’assassino di suo marito, Maurizio Gugliotta. Oggi, venerdì 13 dicembre 2019, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal Pubblico Ministero della Procura di Torino, dott. Gianfranco Colace, titolare del procedimento penale per l’omicidio del Suk avvenuto il 15 ottobre 2017, contro la sentenza di primo grado emessa il 20 marzo 2019 dal giudice del Tribunale torinese, dott. Stefano Vitelli, confermando la condanna a soli 12 anni per il profugo nigeriano di 27 anni Khalid De Greata, colui che ha accoltellato a morte il 51enne operaio di settimo Torinese e ferito l’amico che lo aveva accompagnato quel giorno al mercato del libero scambio.
Una pena lieve su cui ha pesato la seminfermità mentale riconosciuta all’imputato da due perizie psichiatriche e sulla base della quale è stata esclusa l’aggravante dei futili motivi:
Ma anche il Pm è rimasto molto perplesso e in aprile ha depositato ricorso per Cassazione contestando alcuni vizi della sentenza, in particolare laddove si escludeva l’aggravante dei futili motivi, e chiedendo pertanto alla Suprema Corte di annullarla nelle parti censurate con rinvio al Gup di Torino per un nuovo giudizio.
La vedova Gugliotta in fondo ci sperava, tanto che oggi, data in cui è stata fissata l’udienza, si è voluta recare a Roma per assistervi di persona. Ma nel pomeriggio è arrivata la notizia del non accoglimento del ricorso e la donna è comprensibilmente ripiombata nello sconforto. “Ho sentito il Pm che ripeteva che l’essere malati di mente non è una giustificazione per uccidere una persona e il difensore dell’assassino di mio marito che invece insisteva sulla seminfermità mentale e sulle due perizie, come nel processo di primo grado. Speravo davvero che qualcosa potesse cambiare, invece resterà tutto come prima – commenta amaro la signora Caruso che è stata assistita da Studio3A, società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini – Sono profondamente amareggiata, delusa dallo Stato italiano, pensavo che avrebbe fatto di più per noi. Qualche anno in più di reclusione non ci avrebbero restituito mio marito, ma sarebbe stato un segnale importante per me e per i miei figli. E invece questo Stato ci ha rigettato nella disperazione: l’assassino se la caverà con 12 anni, niente. Io mio marito l’ho perso per sempre. Non è giusto, non lo accetteremo mai”.
Ancora più duro il commento del maggiore del tre figli della vittima, Daniele: “Orgoglioso di essere italiano? Mi dispiace ma con oggi il mio orgoglio è morto. Sono sempre più disgustato da questo Paese, da questo sistema. La giustizia in Italia è un sogno lontano”.
Caso seguito da:
Dott. Giancarlo Bertolone
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