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Riscontrato l’esposto dei genitori, una coppia di bangladesi, residenti a Mestre: la gravidanza, a termine, era stata regolare. Anche la mamma è finita in Rianimazione
Riscontrando l’esposto presentato dai genitori, rivoltisi a Studio3A, il Pubblico Ministero della Procura di Venezia, dott. Giovanni Gasparini, ha aperto un procedimento penale per l’ipotesi di reato di omicidio colposo, al momento contro ignoti, sulla morte del piccolo Shayan, nato morto il 12 maggio 2023 all’ospedale dell’Angelo di Mestre, nel reparto di Ostetricia e Ginecologia. Il Pm, da una prima disamina della cartella clinica acquisita dal nosocomio, ha constatato come il decesso sia stato causato da “rottura dell’utero e morte endouterina fetale. Parto cesareo emergente. Emorragia del post partum. Sepsi. Versamento pleurico. Insufficienza respiratoria” quale “verosimile conseguenza delle modalità del parto a cui è stata sottoposta la madre”, a sua volta finita in Rianimazione. Il magistrato ha ritenuto pertanto necessari opportuni approfondimenti medici specialistici “in relazione al nesso di causalità tra la morte del bambino avvenuta al momento del parto e alla tipologia e alla tempistica dell’assistenza medica prestata dai sanitari del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale dell’Angelo” e disposto una consulenza tecnica, che sarà affidata il 20 luglio, in Procura, al dott. Pantaleo Greco, ordinario di Ostetricia e Ginecologia dell’Università di Ferrara, e al medico legale dott. Lorenzo Marinelli. Alle operazioni peritali parteciperà, come consulente tecnico per la parte offesa, anche il medico legale dott. El Mazloum Rafi, messo a disposizione da Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e tutela dei diritti dei cittadini a cui si sono affidati i genitori del bimbo per fare luce sui fatti e ottenere giustizia, i quali hanno accolto con estremo favore i provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria per dare loro delle risposte: la giovane coppia, di origine bangladese, si era da poco trasferita dalla Sicilia a Mestre.
La mamma, 26 anni, nel 2021 aveva già dato alla luce un bambino con parto cesareo che però le aveva causato la formazione di una sacca ematica che le procurava emorragie: si era poi dovuta sottoporre a un intervento chirurgico. Ma la seconda gravidanza – era rimasta nuovamente incinta nell’agosto 2022 – procedeva regolarmente: era stata seguita prima al consultorio di Giarre (Catania) e poi, dopo il trasferimento a Mestre, all’ospedale San Giovanni e Paolo, in Villa Salus – dove la visita di controllo sostenuta a marzo era andata bene, mamma e piccolo in perfetta salute –, infine all’Angelo. Qui la partoriente, che quasi non parla l’italiano, era stata visitata il 14 aprile per un controllo più approfondito e per valutare se potesse dare alla luce il bimbo con un parto naturale, ma la ginecologa che l’aveva visitata non aveva dato modo al marito di illustrare i precedenti problemi della consorte: anche l’esito di questo accertamento era risultato positivo, per la dottoressa la donna poteva partorire naturalmente. Ma nel giorno fissato per il successivo controllo, l’11 maggio, nel reparto di Ginecologia e Ostetricia, dopo un primo tracciato in tarda mattinata, i medici hanno deciso di ricoverare la ventiseienne e indurle il parto introducendole due ovuli con del medicinale, salvo però non effettuare altri monitoraggi fino a tarda sera. E qui è iniziato il calvario. Alle 23 le contrazioni hanno cominciato a farsi sempre più frequenti, una ogni due secondi, la donna accusava dolori sempre più forti e capogiri, tanto che le ostetriche hanno chiamato al telefono il marito, che era a casa ed è rimasto a lungo collegato in viva voce, per capire i sintomi della moglie, che comprende poco l’italiano. Alla fine le hanno rimosso gli ovuli e la partoriente ha iniziato a sanguinare copiosamente, ma le ostetriche insistevano che andava tutto bene.
L’emorragia però è divenuta irrefrenabile e la mamma non sentiva più il bambino muoversi. A quel punto finalmente i sanitari hanno deciso di effettuare un’ecografia, che purtroppo ha confermato l’assenza di battito del piccolo: la donna è stata sottoposta a un cesareo d’urgenza, ma troppo tardi, alle 3.34 del 12 maggio il piccolo Shayan è nato morto. Ma anche la mamma versava in pericolo di vita: i medici spiegheranno poi al marito, e nella circostanza avrebbero ammesso un errore di valutazione, che la moglie aveva subìto in prossimità della cicatrice del primo cesareo la rottura dell’utero e della placenta, staccatasi con il feto, con relative conseguenze. La donna è stata ricoverata in Rianimazione, è rimasta in coma farmacologico due giorni ed è sopravvissuta per miracolo: è stata dimessa il 31 maggio. Sono riusciti a salvarle l’utero, ma difficilmente potrà avere altri figli.
Il marito ha chiesto subito spiegazioni ai medici e al primario del reparto, ha lamentato come fosse stato trascurato il problema collegato al parto precedente, ha domandato perché, dopo l’introduzione degli ovuli, la moglie non fosse stata sottoposta per ore ad altri tracciati né ecografie, e perché di fronte ad un’emorragia di tale entità non fosse stato allertato o non fosse intervenuto prima un dottore: per il papà del piccolo vi erano tutte le avvisaglie e le possibilità per accorgersi prima della sofferenza del feto che si sarebbe potuto salvare con un cesareo tempestivo, evitando, oltre alla tragedia per la morte di un bimbo sano, anche le gravi conseguenze subite dalla mamma. Di fronte alle giustificazioni ritenute evasive dei sanitari, tuttavia, l’uomo, una volta che la consorte è uscita dall’ospedale, ha deciso di andare fino in fondo e chiesto il supporto di Studio3A-Valore S.p.A., che ha raccolto tutta la documentazione medica disponibile sottoponendola a un proprio medico legale per capire cosa fosse accaduto e valutare eventuali profili di responsabilità del personale dell’ospedale. E, da prassi, è stata presentata una denuncia querela alla magistratura, con l’accorata istanza che fosse fatta piena luce sul tragico caso, tramite l‘acquisizione delle cartelle cliniche integrali, di tutti gli esami strumentali effettuati dalla partoriente e dell’esito del riscontro diagnostico interno effettuato dall’Azienda sanitaria sul corpicino del bimbo, e con una loro valutazione da parte di un consulente tecnico medico legale nominato dalla Procura e dunque di una perizia giudiziale. Una richiesta, quella dei genitori e Studio3A, che ora è stata pienamente accolta.
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Caso seguito da:
Dott. Riccardo Vizzi
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Categoria:
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