La morte di un familiare, oltre al dolore, comporta per gli eredi anche tutta una serie di pratiche burocratiche da effettuare, tra cui quelle legate all’eredità. Alla quale, com’è noto, si può anche rinunciare, come capita nei casi in cui il proprio caro venuto a mancare, più che beni, lasci ingenti debiti.
Ma come fa fatta questa rinuncia? Non può essere né “tacita” ne avvenire attraverso una semplice scrittura privata, per quanto autenticata, ma deve avere “forma solenne” con dichiarazione resa davanti a un notaio o al cancelliere e la successiva iscrizione nel registro delle successioni. A ricordare questa prerogativa la Cassazione, con l’ordinanza n. 37926/22 depositata il 28 dicembre 2022.
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Familiari condannati a pagare la loro quota di oneri edilizi al parente che li aveva anticipati
Il complesso contenzioso in questione riguarda un’operazione immobiliare culminata con la realizzazione di alcune abitazioni civili nel comune di Casalnuovo (Na). Il soggetto che l’aveva curata, anche per conto di alcuni familiari, nell’interesse di tutti i comproprietari, si era opposto alla richiesta del Comune di pagare gli oneri di urbanizzazione dei costi di costruzione relativi alle concessioni edilizie e, anche per evitare gli oneri della riscossione coattiva, aveva corrisposto l’importo di allora 101 milioni di vecchie lire. Questi aveva quindi chiesto ai congiunti che gli rimborsassero pro quota le somme anticipate al Comune, pari a poco meno di 12 milioni di vecchie lire ciascuno, ma non avendo ottenuto risposta li ha citati in causa.
Il Tribunale, preso atto che nelle more del giudizio era intervenuta una transazione con uno dei familiari, con conseguente cessazione della materia del contendere relativamente a tale rapporto processuale, aveva accertato che, con una serie di scritture private del 1993 e del 2002, le persone chiamate in causa avevano effettivamente stabilito che, in merito alle costruzioni da edificare, il loro parente, operando nell’interesse e con il pieno consenso di tutti, avrebbe assolto ogni onere anche fiscale per imposte dirette e indirette. Pertanto, essi e i loro eredi si erano obbligati a rimborsargli tutto quanto anticipato per la complessiva operazione di edificazione, salvo una di loro che non aveva sottoscritto alcun analogo impegno. Di qui l’accoglimento della domanda ritenuta fondata, con l’eccezione suddetta.
Gli eredi di due dei familiari, mancati, appellano il verdetto opponendo la rinuncia all’eredità
Gli eredi di due dei familiari chiamati a pagare la loro quota, che nel frattempo erano deceduti, avevano appellato la decisione presso la Corte d’Appello di Napoli la quale però, con sentenza alle 2017, aveva dichiarato inammissibile l’appello, rigettandolo. In particolare, i giudici di secondo grado avevano rilevato che gli appellanti nel primo giudizio si erano affermati chiaramente eredi dei loro due familiari mancati e avevano posto in discussione la mancanza di prova di tale qualità solo in appello.
Ma per la Corte d’Appello lo loro condotta configurava una tacita accettazione dell’eredità
Esaminando gli atti di primo grado emergeva infatti che essi avrebbero tenuto sul punto un comportamento contraddittorio dato che, che dopo essersi affermati eredi, pur avendo evidenziato di aver rinunciato all’eredità, si erano espressamente riportati alle argomentazioni sviluppate dai rispettivi congiunti deceduti, difendendosi dalla pretesa di pagamento della somma richiesta dal parente anche nel merito, tanto da concludere in via principale per il rigetto della domanda in considerazione della sua infondatezza e, solo in via gradata, per aver rinunciato all’eredità. Tale condotta sarebbe stata palesemente incompatibile con la dichiarazione di voler rinunciare all’eredità configurandosi, sempre in considerazione della revocabilità della rinuncia, come un “comportamento concludente” chiaramente “integrante accettazione tacita dell’eredità”.
In altri termini, la Corte d’ Appello aveva riscontrato un comportamento inconciliabile con la volontà di rinuncia all’eredità e, richiamata la disciplina di cui all’articolo 342 c.p.c. e la giurisprudenza sul punto, aveva evidenziato che il motivo principale in virtù del quale il Tribunale aveva accolto la domanda avanzata dal parente era fondato sul contenuto della scrittura del 7 marzo 2002, confermando quindi la condanna a rifondere la propria quota al parente.
Il ricorso per Cassazione che accoglie in pieno la doglianza circa la rinuncia dell’eredità
Gli eredi a questo punto hanno proposto ricorso anche per Cassazione censurando la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che essi avessero posto in essere comportamenti concludenti chiaramente integranti una revoca della rinuncia all’eredità e di accettazione tacita della stessa. A parere dei ricorrenti la Corte d’Appello avrebbe invertito l’onere della prova ritenendo che la legittimazione passiva dovesse essere provata dai ricorrenti nonostante la loro rinuncia alle eredità violando in questo modo l’articolo 229 c.p.c., che attribuisce valore ai soli atti sottoscritti personalmente e direttamente dai ricorrenti e anche gli articoli 519 521, 525 in combinato disposto con l’art. 476 c.c. e 110 c.p.c., avendo ritenuto sussistente un comportamento da parte dei ricorrenti inconciliabile con la volontà di rinunciare all’eredità.
Infatti, gli atti processuali dai quali desumere la suddetta volontà di revoca della rinuncia erano stati depositati unicamente nell’interesse delle altre parti costituite a mezzo dello stesso difensore mentre per i ricorrenti l’unico atto a loro riconducibile era la comparsa di costituzione del 12 gennaio 2006 a seguito del decesso del genitore con la quale si rappresentava la rinuncia all’eredità con atto rilasciato dinanzi al funzionario della volontaria giurisdizione.
La rinuncia era avvenuta con atto formale presso il Tribunale di Nola
Ebbene per la suprema Corte motivo è fondato. I ricorrenti, osserva la Cassazione, avevano effettivamente rinunciato all’eredità con atto rilasciato dinanzi al funzionario della volontaria giurisdizione del Tribunale di Nola nel 2005. Pertanto, spiegano, “la Corte d’Appello di Napoli ha erroneamente ritenuto che la loro costituzione in giudizio e la richiesta di rigetto nel merito della domanda attorea comportasse una revoca tacita alla rinuncia all’eredità mediante comportamenti concludenti espressione di tale volontà”.
Intatti, sottolineano i giudici del Palazzaccio, “la rinuncia all’eredità consiste in un atto giuridico unilaterale, mediante il quale il chiamato all’eredità dismette il suo diritto di accettarla. Il compimento dell’atto determina la perdita del diritto all’eredità ed il rinunciante è considerato come se non fosse stato mai chiamato (cosiddetto effetto retroattivo della rinuncia): tanto discende dalla lettera dell’istituto disciplinato dall’art. 519 del codice civile” Tale effetto, tuttavia non discende dalla sola rinuncia, “ma dall’avvenuto acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati: fino a quando ciò non si verifichi, il rinunziante può sempre esercitare il diritto di accettazione, come è specificato dall’art. 525 dello stesso codice”.
Tale atto è “solenne”, davanti a notaio o cancelliere, e una sua revoca tacita è inammissibile
Proprio in considerazione di queste rilevanti conseguenze, l’art. 519, proseguono i giudici del Palazzaccio, “richiede che l’atto di rinuncia sia rivestito da una forma solenne. La legge indica che essa deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere (…..) e inserita nel registro delle successioni”. La dichiarazione di rinunzia all’eredità, sottolinea ancora la Cassazione, sempre a sensi dell’art.519 cod. civ., non può essere sostituita “neanche da una scrittura privata autenticata. Quest’ultima forma è a pena di nullità, in quanto l’indicazione dell’art. 519 cod. civ. rientra tra le previsioni legali di forma “ad substantiam”, di cui all’art. 1350, n. 13, cod. civ. (Sez. 2, Sent. n.4274 del 2013).
La Cassazione dà quindi continuità al principio di diritto secondo il quale, “nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 cod. civ. in tema di rinunzia all’eredità – la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati -, l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne”, cioè con dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni. Con la conseguenza che “una revoca tacita della rinunzia è inammissibile»
Pertanto, la Corte di merito non si è adeguata a tale principio e ha erroneamente ritenuto che, con la loro condotta processuale, i ricorrenti avessero implicitamente revocato la rinuncia all’eredità e, conseguentemente, accolto la domanda avanzata nei loro confronti. Di qui la cassazione della sentenza con rinvio alla corte d’appello partenopea, in diversa composizione.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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