“Ai tempi degli smartphone, ma anche dei più tradizionali telefonini cellulari, desta inquietante perplessità il fatto che non sia stata fatta alcuna foto del sinistro, della posizione statica degli autoveicoli dopo il sinistro, degli stessi autoveicoli e dei danni subiti”.
“Stante l’attuale tecnologia a disposizione delle parti in ogni momento, il tempo delle cause risarcitorie per sinistri stradali fatte solo con testimonianze è finito. Ben più adeguato deve essere l’impegno delle parti attrici nell’adempiere all’onere della prova”. Hanno fatto notizia questi “apprezzamenti” dei giudici di Benevento nel rigettare la richiesta risarcitoria di un’automobilista, decisione confermata dalla Cassazione con l’ordinanza 28924/22 depositata il 5 ottobre 2022, ma al di là delle considerazioni specifiche, la vicenda è indicativa e utile per comprendere ciò che un danneggiato deve e invece non deve fare per fare valere le proprie ragioni di fronte alle compagnie di assicurazione che, com’è ben noto, si aggrappano a qualsiasi cavillo o lacuna per non risarcire il dovuto.
Indice
Un’automobilista cita in causa l’assicurazione di controparte per i danni di un sinistro
Una donna aveva agito in giudizio il proprietario e la conducente di una Fiat Idea e la (allora) compagnia assicurativa del veicolo, La Previdente, chiedendone la condanna al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma di 5.330,49 euro, al netto di rivalutazione ed interessi, per le spese di recupero e per i danni riportati dalla propria auto, rimasta coinvolta in un incidente stradale causato dal mezzo di controparte, nonché della somma, da quantificare nel corso del giudizio, per il danno biologico, temporaneo e permanente, subito. Tua Assicurazioni, costituitasi in giudizio in sostituzione della Milano Assicurazioni div. La Previdente, aveva eccepito, in via preliminare, l’improponibilità della domanda per violazione degli artt. 145 e 148 cod. ass. contestando, nel merito, l’an ed il quantum della pretesa.
I giudici territoriali respingono la domanda per una serie di lacune procedurali e probatorie
Il Giudice di Pace di Benevento, con sentenza n. 133/2018, aveva ritenuto fondata l’eccezione di improcedibilità della richiesta, ai sensi ed agli effetti dell’art. 147 del Codice delle Assicurazioni, che subordina l’esercizio dell’azione alla preventiva richiesta, conforme alle prescrizioni di cui all’art. 148 cod. ass., del danno all’assicuratore ed al decorso del termine di sessanta giorni, novanta nel caso di lesioni personali, dallo stesso, avendo accertato che la richiesta di risarcimento, inviata con lettera raccomandata alla Milano Assicurazioni – div. La Previdente, non rispettava tali prescrizioni: essa infatti difettava, secondo la compagnia, delle indicazioni relative all’attività ed al reddito della danneggiata, dell’attestazione medica di avvenuta guarigione, della dichiarazione di cui all’art. 142, comma 2, d.lgs., n. 209/2005. Inoltre, l’assicurazione eccepiva sul fatto che la documentazione medica versata in atti non proveniva da una struttura pubblica e per di più indicava una data, quella del 21 giugno 2013, diversa da quella, il 18 giugno 2013, in cui era avvenuto il sinistro. Tutto questo impediva, secondo il Giudice di pace, l’accoglimento della richiesta di risarcimento del danno alla persona, mancando la prova che il pregiudizio lamentato fosse causalmente riconducibile all’incidente stradale oggetto di causa. Conseguentemente, era stata rigettata pure la richiesta dei danni all’auto, anche perché non era stata efficacemente provata la dinamica del sinistro né la ricorrenza dei danni alla carrozzeria denunciati.
L’automobilista danneggiata a questo punto aveva proposto appello presso il Tribunale di Benevento quale giudice di secondo grado, denunciando l’erroneità della pronuncia di prime cure per non aver rilevato che la lettera raccomandata inviata alla Milano Assicurazioni aveva in realtà raggiunto il suo scopo, perché l’assicuratrice era stata messa nelle condizioni di accertare la responsabilità, di stimare il danno e di formulare l’offerta, e per non aver esaminato i motivi posti a fondamento del rigetto della richiesta risarcitoria dalla Tua Assicurazioni. La quale, infatti, aveva evidenziato l’appellante, in realtà non avrebbe mai chiesto alcun supplemento di prova documentale comunicando, con le lettere dell’11 e del 15 luglio 2013, di non poter formulare alcuna offerta di risarcimento in quanto i danni riscontrati sui veicoli non risultavano compatibili con la dinamica del sinistro.
La danneggiata aveva anche lamentato il fatto che il giudice aveva privato di rilievo la certificazione medica rilasciata dal medico curante, e per aver tratto la conclusione che non era stata dimostrata la derivazione dei danni lamentati dal sinistro solo dalla discordanza della data di verificazione del fatto denunciata all’impresa di assicurazioni rispetto a quella indicata nella certificazione medica, la quale solo per errore materiale indicava l’incidente come avvenuto in data 21 giugno 2013. E infine aveva censurato il fatto che non si fossero ritenuti provati il danno alla carrozzeria dell’auto e le spese sopportate per la sua rimozione.
La danneggiata ricorre anche per Cassazione, che però conferma il giudizio di merito
Ma il Tribunale di Benevento, con sentenza del 2020, aveva rigettato l’appello, ritenendo il percorso logico-giuridico seguito dal Giudice di pace immune da censure, di qui l’ulteriore ricorso della donna per Cassazione, la quale tuttavia le ha dato nuovamente e definitivamente torto.
L’automobilista ha contestato avanti la Suprema corte la statuizione con cui il Tribunale aveva confermato l’improcedibilità della domanda, ritenendo generica la sua lettera di messa in mora quanto alla ricostruzione della dinamica del sinistro e alla domanda risarcitoria, anche dopo che l’assicurazione aveva preso specifica e motivata posizione sull’incompatibilità tra i danni riportati dalle due vetture coinvolte nel sinistro stradale e l’accadimento come descritto. La ricorrente ha insistito nel sostenere invece la completezza e la rispondenza ai requisiti di legge della lettera stragiudiziale contente la richiesta risarcitoria all’impresa di assicurazioni, che riportava le sue generalità, il codice fiscale, la descrizione delle circostanze di tempo e di luogo del sinistro stradale, le copie dei preventivi dei danni subiti dall’auto, la copia della fattura di 100 euro per il suo recupero, la certificazione medica attestante le lesioni subite, la certificazione di avvenuta guarigione, la disponibilità a far visionare l’auto e ad essere sottoposta a visita medica. E per quanto riguarda il rispetto del termine di cui all’art. 145 cod. ass., ha ribadito che Tua Assicurazioni, con le lettere del luglio 2013, aveva comunicato di non poter formulare un’offerta per l’incompatibilità tra i danni riscontrati e quelli denunciati, dimostrando in questo modo di aver concluso l’istruttoria della pratica, senza ritenere necessario un supplemento documentale quanto alla ricorrenza ed alla consistenza dei danni, concludendo quindi che la lettera di messa in mora aveva raggiunto il suo scopo, perché l’impossibilità di formulare un’offerta risarcitoria non era stata messa in relazione con i dati asseritamente omessi.
L’automobilista non ha prodotto nel ricorso la lettera di messa in mora all’assicurazione
Per la Suprema corte, tuttavia, il motivo di doglianza è inammissibile a partire dalla sua stessa radice, “pecca innanzitutto di difetto di autosufficienza”, dal momento che risultava interamente incentrato sul contenuto della lettera di messa in mora che avrebbe dovuto dimostrare il rispetto degli artt. 145 e 148 del cod. ass., ma che la ricorrente – altro errore da non commettere – non ha neppure reso materialmente disponibile alla Cassazione, rendendole quindi impossibile l’assolvimento del compito istituzionale demandatole.
Con un ulteriore motivo di ricorso, poi, l’automobilista censurava la sentenza impugnata per motivazione meramente apparente e comunque al di sotto del minimo costituzionale, per avere rigettato nel merito la richiesta risarcitoria, senza far riferimento agli elementi probatori acquisiti, per non aver posto alcuna domanda ai testi a chiarimento, per non averli riconvocati e per aver attribuito rilievo ad un fatto – il mancato intervento sul luogo teatro dell’incidente della forza pubblica – non imputabile a lei.
L’importanza della prova “fotografica” per corroborare le testimonianze
Ed è appunto qui che gli Ermellini rilevano come nella sentenza d’appello il Tribunale, dando atto che il Giudice di pace già in primo grado aveva lamentato la mancata produzione di qualsiasi rilievo fotografico del luogo del sinistro, della posizione delle due autovetture, dei danni riportati dall’auto, aveva osservato: “ai tempi degli smartphone, ma anche dei più tradizionali telefonini cellulari, desta inquietante perplessità il fatto che non sia stata fatta alcuna foto del sinistro, della posizione statica degli autoveicoli dopo il sinistro, degli stessi autoveicoli e dei danni subiti. Nemmeno i meccanici e i carrozzieri, che usano fare foto agli autoveicoli quando sono coinvolti in incidenti stradali, prima di ripararli, risulta che abbiano fornito all’attrice rilievi fotografici, o comunque, questa, pur avendoli, non li ha prodotti in giudizio”.
Ma al di là di questa grave carenza probatoria, i giudici di merito, nella loro statuizione confermativa della decisione del Giudice di pace, si erano basati anche sul rilievo che l’atto di citazione non specificasse come l’autovettura investitrice avesse invaso la corsia di marcia della danneggiata e quali parti delle auto fossero venute a collidere, e che tale genericità non fosse stata superata durante l’istruttoria, non ritenendo sufficienti a tal fine le prove testimoniali non accompagnate “dalla descrizione della precisa dinamica del sinistro e quindi dall’indicazione di circostanze fattuali concrete idonee a porre il giudicante di valutare autonomamente se il fatto si è effettivamente verificato, in che modo e di chi sia la colpa”, e pertanto “generiche e prive di valore ai fini ricostruttivi” per citare la sentenza del tribunale, che aveva così concluso andando addirittura (e forse troppo) oltre: “stante l’attuale tecnologia a disposizione delle parti in ogni momento, il tempo delle cause risarcitorie per sinistri stradali fatte solo con testimonianze è finito. Ben più adeguato deve essere l’impegno delle parti attrici nell’adempiere all’onere della prova”.
Ebbene, “giusta o sbagliata che sia, la motivazione c’è” afferma la Cassazione, “e dunque non può fondatamente affermarsi che la sentenza impugnata difetti di una motivazione a supporto della decisione confermativa, e che quindi sia incorsa nel vizio di omessa motivazione imputatole dalla ricorrente”. In realtà, proseguono gli Ermellini, “ciò che la ricorrente sottende con la censura formulata è un diverso accertamento dei fatti di causa, attraverso la valorizzazione del contenuto delle deposizioni testimoniali che peraltro, come si evince dallo stesso ricorso, non contenevano alcuna indicazione utile alla esatta ricostruzione della dinamica dell’incidente”. Dunque, ricorso definitivamente rigettato.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
Incidenti da Circolazione StradaleCondividi
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