Non basta l’imprudenza della vittima per assolvere l’Ente custode di un luogo pericoloso se esso non dimostra di aver adottato ogni misura possibile per metterlo in sicurezza. Con l’ordinanza n. 9172/23 depositata il 3 aprile 2023 la Cassazione ha richiamato ancora una volta con forza i soggetti gestori, in particolare la Pubblica Amministrazione, alle loro responsabilità per garantire l’incolumità dei cittadini.
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Ragazzo annega facendo il bagno all’Idroscalo di Milano
Il caso di cui si è occupata la terza sezione della Suprema Corte purtroppo è tragico e risale al maggio del 2006. Un ragazzo di appena 16 anni di origini egiziane, facendo il bagno con alcuni amici connazionali all’Idroscalo di Milano (in foto), a una distanza di circa 15 metri dalla riva era sprofondato per un improvviso affossamento delle acque all’altezza della torretta di segnalazione Sos2. Il giovane era stato ritrovato ancora vivo dai sommozzatori e trasportato già in coma, in condizioni disperate, all’ospedale San Raffaele, dove era spirato dopo sette giorni di agonia. E la sequela dei drammi non era finita qui perché un anno dopo altri due bambini erano andati incontro allo stesso destino nell’identico punto, e solo dopo questa seconda tragedia l’allora Provincia di Milano, oggi Città Metropolitana, proprietaria dell’Idroscalo, aveva deciso di vietare l’accesso a quell’area specifica.
I familiari della vittima citano in causa l’ex Provincia di Milano per essere risarciti
Dopo la morte del sedicenne, la Procura meneghina aveva aperto un’indagine penale che tuttavia si era conclusa con l’archiviazione, ma i familiari del ragazzo avevano citato in giudizio la Provincia avanti il tribunale civile per ottenere il risarcimento dei danni, assumendo una responsabilità dell’ente alternativamente ai sensi degli artt. 2050, 2051 o 2043 del codice civile, quanto alla custodia dell’area o al suo utilizzo, e comunque ai sensi dell’art. 2049 c.c. per l’inadeguatezza dei soccorsi.
La Provincia si era costituita in giudizio eccependo l‘esclusiva responsabilità della vittima dal momento che in loco era presente un cartello di pericolo in cui era specificato: “acque gelide profonde, pericoloso bagnarsi anche per nuotatori esperti“. I giudici territoriali avevano accolto questa tesi sia in primo grado che in appello, respingendo la richiesta risarcitoria, ma i congiunti del giovane hanno proseguito la loro battaglia ricorrendo anche per Cassazione, con successo.
La Cassazione dà ragione ai congiunti del ragazzo. Il sito era estremamente pericoloso
Gli Ermellini, infatti, hanno ribaltato la decisione condannando l’ex Provincia di Milano, oggi Città Metropolitana, gestore dell’Idroscalo, a risarcire la famiglia la quale, nei motivi di doglianza sviluppati dal suo legale, aveva contestato il fatto che i giudici di merito non avevano preso in considerazione “l’estrema pericolosità dell’area“, e che non avrebbero verificato nei dettagli la dinamica dell’accaduto, senza contare la grave circostanza che i ragazzi erano stati visti dai vigilanti dell’area, che dunque sarebbero dovuti intervenire.
In estrema sintesi la Corte di Cassazione, accogliendo di fatto le censure dei familiari della vittima, ha riconosciuto come in effetti il bacino dell’Idroscalo fosse “particolarmente pericoloso, costituito da vasche artificiali profonde diversi metri e che in quelle vasche si poteva sprofondare improvvisamente pur in acque basse“. Pertanto il custode del luogo, cioè appunto l’ex Provincia, non poteva “cavarsela” incolpando della tragedia esclusivamente la vittima per la sua condotta, ritenendo quindi che non si potesse individuare in quest’ultima l’unica causa determinante del tragico evento e che l’Ente proprietario e custode del luogo non avesse dato prova del caso fortuito.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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