Non è adeguato il tetto massimo, stabilito in 15 anni per tutti, per calcolare il lucro cessante da liquidare ai figli di un genitore deceduto in seguito a un incidente stradale: l’obbligo di mantenimento della prole, infatti, non cessa necessariamente (anzi quasi mai) con il raggiungimento della maggiore età.
A chiarire questo fondamentale principio la Cassazione, con la rilevante sentenza n. 6731/19 depositata l’8 marzo 2019.
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Il lucro cessante
Per inquadrare la vicenda bisogna innanzitutto chiarire cosa si intende per “lucro cessante”. Si tratta di una delle componenti del cosiddetto danno patrimoniale che va a quantificare il mancato guadagno che il danneggiato avrebbe conseguito se non si fosse verificato il sinistro o l’inadempimento in questione: una voce che va risarcita al danneggiato stesso o ai suoi familiari nel caso di decesso.
Un immigrato serbo nel 2004 aveva perso la vita in un tragico incidente stradale nel suo Paese d’origine: l’auto su cui viaggiava, condotta dal fratello, si era schiantata per l’eccessiva velocità e l’impatto non gli aveva lasciato scampo.
La compagnia di assicurazione del veicolo aveva risarcito la moglie e ciascuno dei tre figli minori della vittima, ma con una cifra ritenuta inadeguata. Di qui l’avvio di una causa. Uno dei motivi del contendere era, appunto, la quantificazione (sottostimata) del lucro cessante.
La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza del 2016, pur rideterminando in aumento gli importi del risarcimento complessivo stabilito in primo grado dal Tribunale di Rimini, aveva ritenuto che il motivo volto a ottenere una maggiore liquidazione sotto il profilo del lucro cessante, a fronte delle potenzialità socio-economiche della vittima per un’attività piccolo imprenditoriale, non fosse stato sorretto da ragionevole riscontro probatorio.
Il ricorso in Cassazione
I familiari hanno quindi presentato ulteriore ricorso in Cassazione adducendo vari motivi di censura rispetto alla sentenza d’appello tra cui quello, che qui preme, di non essersi pronunciata in ordine “all’errore compiuto dal giudice di primo grado di calcolare le date di nascita dei figli e di ritenere provato un danno complessivo in una media di 15 anni, senza differenziare con riguardo a ciascuno dei figli, nonostante le date della loro nascita fossero versate in atti e risultassero pertanto provate, tanto in spregio al diritto dei figli di ottenere il mantenimento, non limitato dalla legge al compimento della maggiore età, fino al momento in cui ciascuno non avesse raggiunto la piena indipendenza economica”.
Un motivo che la Suprema Corte reputa assolutamente fondato e meritevole di accoglimento.
“In effetti – sentenziano gli Ermellini – la valutazione operata dal giudice di merito di fissare nella misura di 15 anni la soglia ultima per il calcolo del lucro cessante da risarcire ai figli del danneggiato defunto, appare del tutto inadeguata anche in una prospettiva equitativa.
La giurisprudenza consolidata di questa Corte per stimare il momento di cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli, ritiene che neppure il compimento della maggiore età possa determinare la cessazione di tale obbligo, ove i figli non abbiano incolpevolmente possibilità di lavorare, e che pertanto tal mantenimento possa protrarsi ben oltre”.
Ergo, la sentenza impugnata, nella parte (e non solo) in cui fissava la soglia dei 15 anni quale età ultima per ottenere il mantenimento, non conformandosi alle statuizioni della Cassazione, è stata cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in altra composizione.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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