A ridosso di Natale la Cassazione ha fatto un bel regalo alle migliaia di danneggiati che si vedono rigettare dalle compagnie di assicurazione il risarcimento per le lesioni cosiddette micropermanenti, ossia fino a 9 punti di invalidità, riportate a causa di un incidente stradale con il pretesto che non sono provate da un accertamento clinico strumentale, ossia radiografie, Tac, risonanza magnetica, ecc. Con la sentenza n. 37477/22, depositata il 22 dicembre 2022, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso di un automobilista rimasto ferito in un sinistro, e con una presa di posizione estremamente energica, ha affermato in modo eloquente che quanto stabilito dal legislatore “non può essere inteso nel senso che la prova della lesione debba essere fornita, nel caso di microlesioni, sempre e comunque con l’accertamento clinico strumentale. Infatti, è sempre e soltanto l’accertamento medico legale, che sia svolto in conformità alle leges artis, a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile”.
La causa per il risarcimento dei danni patiti in un sinistro stradale
Il danneggiato era rimasto convolto in un sinistro stradale occorso il 20 dicembre 2013 nel territorio comunale di Zola Pedrosa, nel Bolognese, occorso tra il furgone della sua azienda e quello condotto da un altro automobilista e assicurato dalla Milano Assicurazioni, poi UnipolSai, che lo aveva causato.
Il malcapitato era stato trasportato in ambulanza al pronto soccorso dell’ospedale maggiore di Bologna, dove gli erano stati diagnosticati “trauma cranico non commotivo. Distrazione cervicale. Trauma policontusivo“, la cui evoluzione e i cui postumi erano stati poi valutati da un medico legale, che aveva accertato esserne derivati danni biologici, temporanei e permanenti. A cui andavano aggiunti i danni materiali al veicolo e quindi alla sua azienda. Il risarcimento ottenuto stragiudizialmente tuttavia non era risultato congruo, di qui la citazione in causa nei confronti della controparte e di UnipolSai per ottenerne la condanna alla liquidazione del residuo dei danni, patrimoniali e non, lamentati.
I giudici territoriali rigettano la domanda per ottenere la liquidazione dei danni non risarciti
Ma il giudice di Pace di Bologna, con sentenza del 2017, aveva rigettato la domanda. La causa era stata istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e mediante consulenza tecnica medico legale, dalla quale risultava che il conducente del furgone, in conseguenza del sinistro, aveva riportato “un trauma diretto policontusivo (del cranio, della spalla sinistra e del rachide lombare) ed indiretto cervicale distorsivo“, dai quali, tenuto conto di una pregressa “discopatia degenerativo-regressiva cervicale e lombare” era derivato in particolare un danno biologico permanente, accertato clinicamente ed obiettivamente, ma non accertato e neppure accertabile strumentalmente, quantificato nella misura del 2,5%.
Alla base del diniego l’indimostrabilità delle lesioni, tra cui il colpo di frusta, con le radiografie
Il Giudice di Pace, quindi, ritenendo non sussistente la prova di ulteriori danni rispetto alle somme già liquidate, aveva rigettato le domanda risarcitoria del danneggiato, che pertamto aveva proposto appello. Ma anche il Tribunale felsineo, quale giudice di seconde cure, con verdetto del 2019, respingendo il gravame, aveva respinto la sua istanza, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
Il ricorso per cassazione che lamenta la “conditio sine qua” non dell’accertamento strumentale
Il danneggiato tuttavia è andato fino in fondo e ha proposto ricorso anche per Cassazione attraverso due motivi, con il primo dei quali ha denunciato violazione o falsa applicazione dell’art. 139 comma 2 d. Igs. 209/2005, come modificato dall’art. 32 comma 3 ter legge n. 27/2012 ed innovato dall’art. 1 comma 19 della legge n. 124/2017, nella parte in cui il tribunale di aveva ritenuto il difetto di accertamento strumentale della lesione permanente di lieve entità di per sé sufficiente ad escludere la risarcibilità del danno biologico permanente accertato dalla Ctu medico legale.
Il ricorrente rilevava che, secondo la lettura della norma data dal giudice di appello felsineo, il danno biologico da lesione permanente di lieve entità sarebbe sato risarcibile solo e soltanto qualora detta lesione emergesse, direttamente ed univocamente, da un accertamento medico strumentale. E aggiungeva come, proprio sulla base dì tale lettura della norma, poiché nel caso di specie l’accertamento delle sue lesioni era stato soltanto visivo clinico (e non strumentale), la sua domanda risarcitoria fosse stata respinta.
Il ricorrente ha dunque sostenuto con forza come, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice territoriale, il danno biologico permanente, derivante la lesione di lieve entità, per il suo risarcimento, non richiedesse necessariamente un accertamento medico strumentale obiettivo, potendo risultare sufficiente che esso fosse stato oggettivamente percepito dal medico legale in sede di visita medica (cioè di esame obiettivo/visivo), come per l’appunto era avvenuto nel suo caso.
La Suprema Corte accoglie in pieno la doglianza e fa chiarezza
Motivo assolutamente fondato per la Suprema Corte, che ha chiarezza in materia, ricordando innanzitutto come i commi 3 -ter e 3 -quater dell’art. 32 del d.l. n. 1 del 2012, inseriti entrambi dalla legge n. 27 del 2012, di conversione del d.l. stesso, abbiano introdotto alcune modifiche nel sistema risarcitorio dell’art. 139 del d.lgs. n. 209 del 2005. In particolare, il comma 3-ter dispone che al comma 2 dell’art. 139 cit. sia aggiunto, in fine, il seguente periodo: “In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”. E il comma 3-quater aggiunge che “il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.
L’art. 1, comma 19, della legge 4 agosto 2017, n. 124, ha ulteriormente riscritto il testo dell’art. 139 cit. aggiungendo un espresso richiamo alle cicatrici ed al danno visivamente riscontrabile. Contestualmente, l’art. 1, comma 30, lettera b), della legge n. 124 del 2017 ha abrogato il comma 3-quater del d.l. n. 1 del 2012.
La norma mira ad un rigoroso accertamento delle lesioni di lieve entità per evitare simulazioni
La normativa introdotta nel 2012, spiegano gli Ermellini, ha come obiettivo quello di sollecitare tutti gli operatori del settore (magistrati, avvocati e consulenti tecnici) ad un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entità, cioè quelle che si individuano per gli esiti permanenti contenuti entro la soglia del 9 per cento. “Il legislatore, cioè, ha voluto dettare una norma che, in considerazione dei possibili margini di aggiramento della prova rigorosa dell’effettiva sussistenza della lesione, imponga viceversa una prova sicura. Ciò è del tutto ragionevole – prosegue la Suprema Corte – se si riflette sul fatto che le richieste di risarcimento per lesioni di lieve entità sono, ai fini statistici (che, come è noto, assumono grande rilevanza per la gestione del sistema assicurativo), le più numerose; ragion per cui dette richieste, nonostante il loro modesto contenuto economico, comportano comunque ingenti costi collettivi.
D’altronde, la Cassazione ricorda come anche la Corte costituzionale, tornando ad occuparsi della materia, dopo la sentenza n. 235 del 2014, con l’ordinanza n. 242 del 2015, abbia avuto modo di chiarire che il senso della normativa del 2012 è quello di “impedire che l’accertamento diagnostico ridondi in una “discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati”, anche in considerazione dell’interesse “generale e sociale degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi”. Il che conferma l’esigenza economica di un equilibrio tra i premi incassati e le prestazioni che le società di assicurazione devono erogare”.
E, ancora più di recente, peraltro, proseguono nel loro excursus gli Ermellini, la Consulta ha avuto modo di precisare che “attualmente, nell’art. 139 occorre distinguere tra lesioni micro-permanenti di incerta accertabilità, il cui danno non patrimoniale non è risarcibile (come danno assicurato) e lesioni micro-permanenti che invece sono ritenute adeguatamente comprovate e quindi tali da escludere plausibilmente il rischio che esse siano simulate”.
I giudici del Palazzaccio sottolineano anche come, in tale prospettiva, la Cassazione abbia già avuto modo di chiarire che “i criteri di accertamento del danno biologico, evocati dalla normativa vigente, stanno complessivamente a significare la necessità di condurre a una obiettività dell’accertamento medico legale che riguardi le lesioni ed i relativi postumi” (sent. n. 18773/2016). Precisando anche che le modifiche legislative del 2012 hanno assunto come obiettivo “quello di rimarcare l’imprescindibilità di un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza di dette patologie, anche quando normativamente di modesta entità, e cioè con esiti permanenti contenuti entro la soglia invalidante del 9 per cento”.
Ma il rigore non significa che la prova possa e debba essere fornita solo da radiografie e Tac
Premesso questo, però, la Cassazione rimarca anche come il rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere “e che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia, non può essere inteso nel senso che la prova della lesione debba essere fornita, nel caso di microlesioni, sempre e comunque con l’accertamento clinico strumentale (radiografie, Tac, risonanze magnetica, ecc)”.
Infatti, affermano con forza i giudici del Palazzazzio, “è sempre e soltanto l’accertamento medico legale, che sia svolto in conformità alle leges artis, a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile. E l’accertamento medico legale non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza, anche nei casi di danni anatomici non accertabili strumentalmente (quali fratture, lussazioni, lesioni legamentose, ecc.)”.
L’essenziale è che vi sia un accertamento medico legale scrupoloso
Pertanto, il rigore, che il legislatore ha dimostrato di esigere, va inteso nel senso che, “fermo restando un accertamento rigoroso in rapporto ad ogni singola patologia e ferma restando l’irrilevanza della mera sintomatologia soggettiva riferita dal danneggiato, accanto a situazioni nelle quali, data la natura della patologia e la modestia della lesione, l’accertamento strumentale risulta, in concreto, l’unico in grado di fornire la prova rigorosa che la legge richiede, ve ne possano essere altre nelle quali, al contrario, sempre data la natura della patologia e la modestia della lesioni, è possibile pervenire ad una diagnosi attendibile anche senza ricorrere a tali accertamenti, tenuto conto del ruolo insostituibile della visita medico legale e dell’esperienza clinica dello specialista, sulla cui base dovranno essere rassegnate al giudice conclusioni scientificamente documentate e giuridicamente ineccepibili.
Oltre al criterio strumentale vi è anche quello visivo e clinico
In definitiva, asserisce la Cassazione, “l’accertamento del danno alla persona deve essere sì condotto secondo una rigorosa criteriologia medico-legale, ma nell’ambito di detta criteriologia, anche nel caso di micro-permanenti, sono ammissibili anche fonti di prova diverse dai referti di esami strumentali. Gli esami strumentali, infatti, non sono l’unico mezzo utilizzabile, ma si pongono in una posizione di fungibilità ed alternatività rispetto all’esame obiettivo (criterio visivo) e all’esame clinico, demandato al medico legale. I criteri scientifici di accertamento e di valutazione del danno biologico tipici della medicina legale (e cioè il criterio visivo, il criterio clinico ed il criterio strumentale), invero, non sono tra di loro gerarchicamente ordinati e neppure vanno unitariamente intesi, ma vanno utilizzati dal medico legale, secondo le legis artis, nella prospettiva di una “obiettività” dell’accertamento, che riguardi sia le lesioni che i relativi eventuali postumi.
Ad impedire il risarcimento del danno alla salute con esiti micropermanenti, dunque, non è (e non deve essere) di per sé “l’assenza di riscontri diagnostici strumentali, ma piuttosto l’assenza di una ragionevole inferenza logica della sua esistenza stessa, che ben può essere compiuta sulla base di qualsivoglia elemento probatorio od anche indiziario, purché in quest’ultimo caso munito dei requisiti di cui all’art.2729 c.c”.
Il ruolo centrale del medico legale, non tutte le lesioni sono accertabili strumentalmente
La nuova normativa, dunque, fa notare la Suprema Corte, “valorizza (e, al contempo, grava di maggiore responsabilità) il ruolo del medico legale, imponendo a quest’ultimo la corretta e rigorosa applicazione di tutti i criteri medico legali di valutazione e stima del danno alla persona. Pertanto, sarà risarcibile anche il danno i cui postumi non siano “visibili”, ovvero non siano suscettibili di accertamenti strumentali, a condizione che l’esistenza di essa possa affermarsi sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico legale”.
Una conclusione che peraltro, evidenzia la Cassazione, si pone in perfetta linea con la constatazione, di recente formulata dalle Sezioni Unite (sent. n. 3086/2022, p. 20 e ss.), “che nel passaggio dal codice di procedura civile del 1865 al codice vigente l’istituto peritale è fatto oggetto, nel rinnovato assetto valoriale che ha posto il giudice al centro dell’ordinamento processuale, di un profondo ripensamento che, ben più di quanto non rendano percepibile l’assunzione di una nuova denominazione e la nuova collocazione nella topografia del codice, ne ha mutato alla radice la natura in nome di una diversa concezione del ruolo che – già in allora, ma tanto più oggi di fronte alla preponderante lievitazione del contenzioso ad alto tasso di specialità – l’apporto del sapere tecnico gioca nella risoluzione delle controversie civilistiche“.
Gli errori dei giudici per i quali non bastava la pur scrupolosa consulenza tecnica medico legale
A questi criteri invece non si è affatto attenuto nello specifico il Tribunale di Bologna. Come detto, infatti, la Ctu medico legale, incaricata nel corso del giudizio di primo grado, a seguito di esame dell’acquisita documentazione medica (comprensiva di referti medici attestanti una, pur aspecifica, rettilineizzazione del rachide cervicale e lombare) e di sottoposizione dell’infortunato a visita medico legale, aveva ritenuto che questi avesse riportato un trauma indiretto distorsivo del rachide cervicale ed un trauma diretto contusivo del rachide lombo-sacrale. Aveva poi constatato che da tali traumi erano originati effetti lesivi e menomativi, che, “pur non dimostrati con diagnostica strumentale radio e tomografica, lo sono stati incontestabilmente sull’obiettivo piano clinico con referto di persistente contrattura mialgica evoluta in cervicalgia cronica, anche per la situazione discopatica cervico-lombare quale concausa di lesione e di menomazione“, per citare la consulenza tecnica.
Ancora, la Ctu aveva specificato che detti effetti, pur essendo “stati accertati solo clinicamente, in quanto derivanti da una lesione iniziale non accertata né accertabile strumentalmente ex art. 32 comma ter e quater della legge 27/12” sono “non di meno obiettivamente rilevanti ai fini del danno valutabile medico-legalmente“. Concludendo che “gli attesi reliquati permanenti invalidanti di natura meramente soggettiva disfuzionale cervico-lombalgica, come tali clinicamente documentati, ma non strumentalmente accertati, né accertabili integrano un danno biologico permanente, quantificato secondo i vigenti parametri valutativi nella misura del 2,5%”.
Peraltro, il danno era stato rilevato clinicamente da specialisti ospedalieri
La Cassazione evidenzia proprio come nel caso di specie la lesione psico-fisica permanente ed il correlato danno biologico permanente siano stati accertati come prescritto dal medico legale incaricato secondo lege artis desumendolo non soltanto dal fatto che quest’accertamento non aveva formato oggetto di contestazione da parte dei consulenti tecnici di parte e neppure richiesta di chiarimento da parte dei due giudici di merito, ma anche dal fatto che lo stesso tribunale, nella impugnata sentenza, aveva avuto modo di rilevare che la “Ctu medico legale ha prospettato una argomentazione esaustiva, dalla quale non vi è motivo di discostarsi”, e ancora che “nell’elaborato peritale è precisato in particolare che la lesività è stata rilevata clinicamente, da specialisti ospedalieri ed ambulatori privati“.
In conclusione, la sentenza impugnata va (ed è stata) cassata nel punto in cui, “richiamando il consolidato orientamento di quell’Ufficio giudiziario” specifica la Cassazione, censurando dunque le modalità di giudizio del tribunale di Bologna, “ha affermato che le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non possano dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente, e che il danno alla persona per lieve entità sia risarcito soltanto a seguito di riscontro medico legale, da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione”.
Un valutazione che, ripete una volta di più la Suprema Corte, ha violato l’art. 139 c.d.a., “perché il giudice di appello ha escluso la risarcibilità del danno biologico permanente, nonostante il Ctu, con argomentazione esaustiva, dalla quale non vi è motivo di discostarsi, sulla base dell’esame dei certificati/referti medici in atti, di quanto emerso in sede di esame obiettivo/visivo, aveva precisato che la lesività conseguente al trauma di cui si discute (trauma diretto policontusivo del cranio, della spalla sinistra e del rachide lombare ed indiretto cervicale distorsivo) era stata rilevata clinicamente (da Specialisti Ospedalieri ed ambulatori privati) ed aveva quantificato il danno biologico permanente nella percentuale del 2,5%”. Ha quindi errato il Tribunale “nel subordinare la risarcibilità del danno di lieve entità al suo accertamento tramite criteri di tipo strumentale, svilendo in tal modo l’accertamento svolto dalla Ctu e ponendo a carico dell’infortunato un onere probatorio non necessario”.
Accolta anche la doglianza per il mancato risarcimento delle spese di assistenza stragiudiziale
Per la cronaca, altro aspetto spesso (ingiustamente) controverso in tema di risarcimento per lesioni stradali, la Cassazione ha accolto anche il secondo motivo del ricorso nel quale il danneggiato ha censurato la sentenza del tribunale per aver ritenuto che la spesa da lui sostenuta per avvalersi dell’assistenza professionale di una società di infortunistica nella trattativa risarcitoria stragiudiziale con la compagnia assicurativa non fosse risarcibile.
“L‘assistenza stragiudiziale – ribadisce la Suprema Corte –, e, quindi, la corrispondente spesa, può ritenersi necessaria/giustificata/utile in funzione dell’esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento secondo una valutazione ex ante (rapportata alla presumibile esperienza e/o conoscenza tecnica e legale del danneggiato e non a quella qualificata del professionista), che tenga conto della particolarità del caso concreto”.
Ciò posto, nel caso di specie, il giudice di primo grado aveva ritenuto le asserite spese di assistenza stragiudiziale, quantificate in fattura in 350 euro, non compatibili con i tempi ridotti dell’avvenuto risarcimento da parte della compagnia, affermazione, questa, che aveva formato oggetto di doglianza nel secondo motivo dell’atto di appello. Il ricorrente, in sede appunto di appello, aveva lamentato l’irrilevanza “ex se” dei tempi ridotti dall’avvenuto risarcimento da parte della compagnia ai fini della risarcibilità del danno patrimoniale integrato dalla spesa sopportata dal danneggiato per avvalersi di assistenza professionale stragiudiziale nella procedura ex art. 148 c.d.a., ma il Tribunale di Bologna, nella impugnata sentenza, pur correttamente qualificando la relativa voce come danno emergente, aveva ritenuto non dovute “le spese per avvalersi dell’assistenza stragiudiziale nella trattativa risarcitoria con la compagnia assicuratrice“, sostenute dal danneggiato, “tenuto conto dei tempi ridotti dell’avvenuto risarcimento da parte di Unipolsai Assicurazioni spa, dell’importo già da questa corrisposto a titolo di patrocinio e dell’infondatezza delle pretese azionate in giudizio“, e cioè, spiega la Suprema Corte, “argomentando su circostanze che non costituiscono criteri rilevanti ai fini della valutazione della concreta evitabilità dell’assistenza professionale stragiudiziale e della corrispondente spesa”.
Motivazione che dunque, contrasta “sia con l’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., essendo nulla la motivazione della sentenza di appello, che riproponga l’argomentazione svolta dal giudice di primo grado, senza alcun esame critico della stessa in base ai motivi di gravame”, sia con l’art. 1227 comma secondo, c.c. “essendo risarcibile la spesa sostenuta dal danneggiato per avvalersi di assistenza professionale nella trattativa risarcitoria stragiudiziale con la compagnia assicuratrice ogni qualvolta il ricorso ad essa possa ritenersi inevitabile, necessario o anche semplicemente utile in funzione dell’esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento. Il tutto secondo una valutazione ex ante avuto riguardo a quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’esito del futuro giudizio”.
I principi di diritto
La sentenza è stata quindi cassata e la causa rinviata al Tribunale di Bologna, in persona di diverso magistrato, il quale in particolare dovrà decidere attenendosi ai principi di diritto pronunciati con l’occasione dalla Cassazione.
“In materia di risarcimento del danno da c.d. micro-permanente, l’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, nel testo modificato dall’art. 32, comma 3 – ter, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, inserito dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, va interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali; tuttavia l’accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale.
L’art. 139 del d. Igs. n. 209 del 2005, come modificato dalla legge n. 27 del 2012 e dalla legge n. 124 del 2017, valorizza (e, al contempo, grava di maggiore responsabilità) il ruolo del medico legale, imponendo a quest’ultimo la corretta e rigorosa applicazione di tutti i criteri medico legali di valutazione e stima del danno alla persona (e cioè il criterio visivo, il criterio clinico ed il criterio strumentale): tali criteri non sono tra di loro gerarchicamente ordinati e neppure vanno unitariamente intesi, ma vanno tutti prudentemente utilizzati dal 14 (medico legale, secondo le legis artis, nella prospettiva dell’ “obiettività” del complessivo accertamento, che riguardi sia le lesioni che i relativi eventuali postumi. Pertanto, sarà risarcibile anche il danno da micro-permanente, i cui postumi non siano suscettibili di accertamenti strumentali, a condizione che l’esistenza di detti postumi possa affermarsi sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico legale.
In tema di responsabilità civile da circolazione, le spese sostenute dal danneggiato per l’attività stragiudiziale svolta in suo favore da una società infortunistica, diretta sia a prevenire il processo sia ad assicurarne un esito favorevole, ancorché detta attività possa essere svolta personalmente, costituiscono un danno emergente, che, se allegato e provato, deve essere risarcito ai sensi dell’articolo 1223 c. c. L’utilità di dette spese, in funzione della possibilità di porle a carico del danneggiante, anche in caso di danno da micro-permanente, dev’essere valutata ex ante, con specifico riferimento alle circostanze del singolo caso concreto (tra esse compresa il grado di esperienza e di conoscenza tecnico legale dell’interessato), avuto riguardo a quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l’esito del futuro giudizio”.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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