Che succede se, per svariate ragioni, non si riesce a stabilire chi degli occupanti di un veicolo convolto in un sinistro stradale era alla guida al momento dell’incidente? Ebbene, se a bordo del mezzo vi era il proprietario, o altro soggetto affidatario del veicolo, allora si presume che fosse lui il soggetto alla guida.
Ai fini assicurativi, dunque il “terzo” all’interno del mezzo deve essere considerato come terzo trasportato. Lo ha chiarito Cassazione al termine di una lunga dissertazione normativa con la sentenza n. 30723/22 depositata il 19 ottobre 2022 con la quale ha accolto il ricorso di un giovane deceduto a causa di un particolare incidente.
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Una coppia di fidanzati annega dopo essere precipitata in acqua con l’auto
Il drammatico fatto di cronaca di cui si sono occupati gli Ermellini riguarda una coppia di giovani fidanzati che il 10 aprile 2011, mentre si trovavano in prossimità del margine della banchina sul molo Ronciglio di Trapani, erano finiti in acqua con l’auto annegando tragicamente. I genitori del ragazzo avevano citato in causa Vittoria Assicurazioni, compagnia di assicurazione della vettura, chiedendo il risarcimento dei danni per la perdita del loro caro sulla base della prospettazione che questi fosse trasportato sulla vettura, che era di proprietà e sarebbe stata condotta dalla sua fidanzata, la quale avrebbe effettuato l’incauta manovra all’origine dell’evento.
Con sentenza del marzo 2014, tuttavia, il tribunale di Trapani aveva rigettato la domanda sostenendo che non fosse stata fornita la prova che il giovane fosse trasportato e che il sinistro fosse riconducibile alla circolazione stradale.
I genitori della vittima hanno quindi appellato la sentenza sulla base di tre motivi, inerenti alla disconosciuta qualità di terzo trasportato del figlio, all’essere stato il veicolo in movimento al momento del sinistro e all’essere stata l’area del sinistro aperta alla circolazione stradale, ma anche la Corte di Appello di Palermo aveva rigettato l’istanza, confermando di fatto le valutazioni del giudice di prime cure, che aveva così concluso: “i corpi dei due occupanti del veicolo al momento del rinvenimento si trovavano sollevati dai sedili quasi a toccare il tetto in quanto privi di cinture di sicurezza; il sedile lato guida si trovava spostato in avanti e quello accanto aveva lo schienale reclinato; la leva del cambio era in folle e le chiavi si trovavano inserite nel quadro di accensione; i finestrini e le portiere erano chiusi”.
Ritenuti non provati la condizione di trasportato del ragazzo e l’incidente di natura stradale
Elementi che avevano portato a ritenere che nessuno dei due ragazzi si trovasse in realtà alla guida al momento del sinistro, “ostandovi sia lo spostamento in avanti del sedile lato guida, che lo schienale reclinato dell’altro sedile anteriore, normalmente in posizione verticale durante la marcia. I medesimi elementi portano ad escludere che l’autovettura fosse in movimento subito prima di precipitare dal molo in acqua, e, d’altra parte, l’area del molo dove si trovava, del demanio portuale, era interdetta alla circolazione stradale ed adibita esclusivamente alle operazioni di ormeggio e disormeggio dei natanti”. In conclusione, quindi, secondo la ricostruzione del primo giudice avallata dalla Corte d’Appello, quando era precipitata in acqua l’autovettura si sarebbe trovata ferma e i due occupanti si sarebbero recati sul posto, notoriamente meta di coppie in cerca di intimità, per appartarsi. Quindi, il sinistro si sarebbe verificato per un utilizzo improprio incauto e negligente del veicolo.
I genitori avevano obiettato che il sedile del guidatore spostato in avanti consentiva di escludere che il figlio lo occupasse al momento del sinistro, essendo incompatibile con la sua altezza di un metro e 78 centimetri, mentre era compatibile con la bassa statura della fidanzata; che la reclinazione dello schienale del sedile del passeggero avrebbe provato che era occupato dal figlio, per consentirgli di sedersi, tenuto conto della sua altezza e delle dimensioni ridotte dell’abitacolo; che la posizione di trasportato dello stesso sarebbe emersa anche dalle lesioni (escoriazioni) che erano state riscontrate sul corpo del loro congiunto alla regione dorsale e alle nocche della mano destra, terzo e quarto dito mano sinistra e spalla destra, derivate dal tentativo di uscire dall’abitacolo da lui compiuto in quanto occupava appunto il sedile destro dell’auto, mentre se fosse stato seduto dal lato guida le stesse escoriazioni si sarebbero presentate alla mano ed alla spalla sinistra; che la macchina sarebbe stata in fase di circolazione, in quanto le chiavi erano inserite nel quadro “in accensione” e l’autovettura mancava di freno di stazionamento, mentre la posizione del cambio in folle sarebbe spiegabile ipotizzando che nelle fasi concitate della caduta si fosse disinnescato l’innesto della marcia.
La Corte territoriale aveva ammesso che tali considerazioni potevano anche essere condivisibili, a patto però che fosse stato sufficientemente certo che l’auto fosse in movimento al momento della sua caduta in acqua: in tale ipotesi, dovendo presumere che uno dei due occupanti fosse alla guida, “sarebbe plausibile ritenere che si trattasse della ragazza” ammettevano i giudici. Secondo i quali, tuttavia, gli elementi acquisiti non consentivano di affermare che uno dei due occupanti stesse conducendo il veicolo. Al contrario, la posizione dei sedili avrebbe consentito di presumere, con un grado di probabilità superiore o quanto meno uguale, che nessuno dei due ragazzi fosse alla guida. Infatti, la ridottissima distanza fra sedile del guidatore e pedaliera, di soli 30 centimetri, avrebbe escluso che anche la pur minuta ragazza stesse guidando. I giudici hanno poi ritenuto “neutrali” rispetto alle diverse ricostruzioni il fatto che le chiavi erano state trovate inserite nel quadro “di accensione” e non “in accensione”, così come la mancanza di freno di stazionamento, valorizzando il resto del contesto, le caratteristiche del luogo del sinistro (senza via di uscita, isolato, privo di illuminazione e a circolazione parzialmente interdetta) e la relazione sentimentale tra i due occupanti, in procinto di sposarsi, che avvalorano ulteriormente l’ipotesi formulata dal primo giudice. Ossia, che non vi fosse prova della qualità di trasportato del giovane e della circolazione stradale al momento del sinistro.
I genitori del ragazzo però non si sono dati per vinti e hanno proposto ricorso anche per Cassazione e la terza sezione civile ha dato loro ragione su tutta la linea, ribaltando completamente il verdetto. Per prima cosa, spiegano gli Ermelini, i giudici hanno commesso un errore evidente, laddove hanno ritenuto che il veicolo “una volta fermatosi in sosta e senza che alcuno degli occupanti fosse più alla guida (intesa come guida funzionale all’effettivo movimento), non potesse ritenersi in circolazione“.
Il concetto di circolazione stradale, articolo 2054 cod. civ., infatti, hanno ribadito i giudici del Palazzaccio anche sulla base dei recenti chiarimenti della stessa Suprema Corte, include anche la posizione di arresto del veicolo. Per l’operatività della garanzia per Rca è necessario che il veicolo si trovi su strada di uso pubblico o su area ad essa parificata, e in questo senso, la manovra compiuta da chi si trovava alla guida per arrestare l’autovettura nella posizione di quiete, poi rivelatasi instabile, si sarebbe dovuta comprendere nella nozione di circolazione del veicolo. Allo stesso modo in quella nozione andava ricompreso lo stato del veicolo prima del suo tragico movimento.
E neppure rileva, secondo la Cassazione, che il sinistro sia avvenuto in un’area identificata come facente parte del demanio portuale, interdetta alla circolazione stradale ed adibita esclusivamente alle operazioni di ormeggio e disormeggio dei natanti. “La copertura assicurativa – afferma infatti la Suprema Corte – comprende, a condizione che se ne dimostri l’operatività a favore di chi la invoca, anche la circolazione che sia avvenuta con una manovra di circolazione vietata e dunque su un’area su cui vi erano limitazioni di circolazione“.
La questione del terzo trasportato nel caso sia impossibile definire le posizioni nell’abitacolo
Accertata quindi la piena operatività della copertura assicurativa della Rca, la Cassazione entra poi nella seconda questione, precisando che il trasportato è considerato “terzo” rispetto all’assicurazione del veicolo su cui viaggiava “solo se il suo trasporto non avvenga come conducente e ciò perché il conducente del veicolo è il soggetto la cui condotta è coperta dall’assicurazione, sicché, dovendo valere l’assicurazione per un comportamento a lui ascrivibile, egli non può essere considerato “trasportato“. E dunque il terzo, o i suoi eredi, dovranno provare che egli si trovava in diversa posizione rispetto al posto di guida.
Ma cosa succede se il terzo alleghi che nel veicolo vi era il proprietario o l’affidatario della vettura? Il terzo deve comunque provare se questi era anche lui trasportato o conducesse il veicolo. Ma se invece, per varie possibili ragioni, non è possibile accertare che era di fatto al volante, cosa accade?
Ebbene, afferma la Corte, in questi casi, va considerato che, “secondo l’id quod plerumque accidit, l’esistenza di una situazione di certezza sulla presenza a bordo del soggetto che aveva la disponibilità del veicolo e, naturalmente, di una uguale certezza, sia circa il fatto che egli si trovasse nella condizione di idoneità legale a condurre il veicolo (cioè avesse la “patente di guida” in corso di validità), sia circa il fatto che non si trovasse in condizioni fisiche tali da non poter guidare il veicolo, ovvero di un soggetto che da quello titolare della disponibilità del veicolo l’aveva di fatto ricevuta (trovandosi nelle condizioni legali e di fatto necessarie per poter guidare), si presta senza dubbio a giustificare un’inferenza necessaria“. E l’inferenza è nel senso che è da presumere che chi conduceva il veicolo dovesse essere proprio il soggetto proprietario o affidatario.
Nel dubbio, è da presumere che al volante vi fosse il proprietario del veicolo
Per la Suprema corte si può dunque, affermare che, “allorquando un’azione risarcitoria venga esercitata contro l’assicuratore per la r.c.a. deducendo la morte di un soggetto che risulti essere stato a bordo di un veicolo in una situazione nella quale sia certo che a bordo di esso vi era anche il soggetto che aveva la disponibilità giuridica del veicolo stesso e che era idoneo sul piano legale e di fatto alla guida oppure un soggetto parimenti idoneo in questi due sensi, cui chi aveva quella disponibilità l’abbia affidata, qualora, all’esito dell’istruzione, risulti impossibile accertare positivamente chi conduceva il veicolo al momento del sinistro o comunque nell’ultima manovra inerente alla sua circolazione, si deve ritenere che conducente alla stregua dell’art. 2729, primo comma, c.c., fosse il titolare della disponibilità giuridica del veicolo o colui ai quale egli l’aveva affidata in fatto“.
“Ne consegue – prosegue il ragionamento – che a favore di chi abbia agito per il risarcimento del danno deducendo di essere stato a bordo del veicolo come terzo trasportato o a favore degli eredi che agiscano per il caso che egli sia venuto a mancare nel sinistro e abbiano dedotto la sua presenza come terzo trasportato, qualora risulti accertata la dedotta presenza a bordo del titolare o dell’affidatario (provvisti di idoneità legale d di fatto alla guida), si deve ritenere raggiunta la prova dell’essere stato quel soggetto un terzo trasportato“.
Analogo principio, prosegue la Cassazione, va affermato nel caso in cui già il fatto storico ab origine, cioè come deducibile e dedotto da chi agisce, non riveli chi era alla guida del veicolo al momento della verificazione del sinistro o nell’ultima manovra circolatoria causalmente rilevante, ed all’esito dell’istruzione risulti confermata l’impossibilità di accertare positivamente chi conducesse il veicolo in quel momento.
Del primo principio può avvalersi anche il trasportato sopravvissuto al sinistro: egli può invocare la suddetta presunzione e se essa, all’esito dell’istruzione, non venga smentita, dovrà ritenersi che conducente fosse il titolare della disponibilità del veicolo o colui cui il veicolo da detto titolare fosse stato affidato.
Tornando quindi al caso specifico, di fronte all’accertata impossibilità di individuare positivamente se, al momento del parcheggio in sosta del veicolo, ultima manovra inerente alla circolazione, guidasse il giovane o la fidanzata e proprietaria del veicolo, la Corte d’Appello di Palermo avrebbe dovuto considerare come terzo trasportato il primo, dovendosi presumere che la presenza a bordo della proprietaria inducesse la conclusione che la stessa fosse stata conducente del veicolo in quella manovra.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
Incidenti da Circolazione StradaleCondividi
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