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Oggi in Tribunale l’udienza preliminare del procedimento penale per il decesso del 58enne operaio di Casoria caduto da un’impalcatura: sei gli imputati, tra cui un funzionario di Rfi
Familiari della vittima, ma anche Cgil Campania e Anmil parte civile nel processo per la tragica morte bianca, a soli 58 anni, di Tommaso De Luca. Quest’oggi, lunedì 31 ottobre 2022, in Tribunale a Benevento, avanti il Gup dott.ssa Gelsomina Palmieri, si è svolta l’udienza preliminare relativa al procedimento penale per il decesso dell’operaio di Casoria (Napoli) caduto da un’impalcatura dopo essere stato mandato a lavorare a quattro metri di altezza senza casco protettivo, senza dispositivi e imbracature di sicurezza, senza parapetti e nonostante fosse inidoneo a svolgere lavori in quota: una tragedia aggravata dal fatto di essere accaduta in un contesto “pubblico”, un cantiere di Rfi, Rete Ferroviaria Italiana. Il Pubblico Ministero titolare del fascicolo, la dott.ssa Maria Colucci, al temine delle indagini preliminari e in forza delle innumerevoli e gravi violazioni alle più elementari norme antinfortunistiche portate alla luce dall’inchiesta, ha chiesto il rinvio a giudizio per sei persone tra cui il datore di lavoro e un funzionario di Rfi. Nel corso dell’udienza sono state ammesse tutte le costituzioni di parte civile richieste, in primis quella della moglie e dei figli di De Luca, affidatisi a Studio3A-Valore S.p.A., ma anche quelle, altrettanto significative, della Cgil Campania e dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi sul Lavoro, che ha chiesto anche la citazione del responsabile civile, ragion per cui il giudice ha stabilito una nuova udienza ad hoc la cui data sarà comunicata nei prossimi giorni: gli imputati per ora non hanno richiesto riti alternativi.
De Luca, dipendente dell’impresa edile R.e.m. Srl di Benevento, il 3 febbraio 2020 era impegnato con dei colleghi in un cantiere nella stazione di Benevento per realizzare un fabbricato destinato ad “Apparato computerizzato centrale”, quand’è precipitato dal solaio dell’edificio in costrizione da un’altezza di 3,73 metri: caduta che non gli ha lasciato scampo, è deceduto sul colpo. Il Pm della Procura beneventana, dott.ssa Maria Colucci, ha aperto un procedimento penale, prima contro cogniti e poi spiccando i primi avvisi di garanzia, sette, e ha disposto l’autopsia, incaricando il medico legale dott. Massimiliano dell’Aquila: alle operazioni peritali ha partecipato anche la dott.ssa Natascha Pascale come consulente di parte messa a disposizione da Studio3A-Valore S.p.A, società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini a cui i congiunti del lavoratore, attraverso l’Area manager Luigi Cisonna, si sono rivolti per fare piena luce sui fatti e tutte le responsabilità e per ottenere giustizia. Le conclusioni del Ctu hanno fugato ogni dubbio sulla causa del decesso, dovuto “in tutto e per tutto” al grave trauma cranico riportato in seguito alla perdita d’equilibrio e alla caduta a testa all’ingiù dall’impalcatura: le indagini istologiche hanno escluso che la morte possa essere stata causata da un precedente malore. Per inciso, le analisi tossicologiche hanno altresì evidenziato la totale assenza di alcool e sostanze stupefacenti nel sangue della vittima, nulla che potesse comprometterne lo stato di attenzione: l’operaio era “pulito”, in condizioni psicofisiche perfette.
Dunque, la sua tragica fine è stata dovuta unicamente al volo di sotto che però si sarebbe potuto e dovuto evitare se solo fossero state rispettate le normative. L’inchiesta, condotta con l’ausilio in primis degli ispettori del servizio di Igiene e Medicina del Lavoro dell’Asl beneventana, ha rilevato in quel cantiere le più svariate lacune e omissioni, per le quali sono già state sanzionate con provvedimenti amministrativi e ammende pecuniarie le imprese coinvolte, Rfi compresa, e in forza delle quali il Sostituto Procuratore ha chiesto il processo per sei persone, tutte accusate del reato omicidio colposo in concorso, aggravato dal fatto di essere stato commesso, appunto, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, per aver causato “la morte di Tommaso De Luca il quale, privo del casco e dei sistemi di sicurezza previsti per i lavoratori in quota, cadeva dal solaio del fabbricato” per citare l’atto del magistrato. Al suo datore di lavoro, E. R, 65 anni, di Villaricca (Na), legale rappresentate della R.e.m., si imputa di aver omesso “di dotare il fabbricato, e in particolare il costruendo solaio di piano, su tutti i lati verso il vuoto, di normali e robusti parapetti e cioè di protezioni contro le cadute dall’alto, alte almeno un metro”; di dotare i lavoratori che eseguivano lavori in quota di “dispositivi e imbracature di sicurezza” e di allestire “linee vita da collegarsi alle stesse”; di “impiegare sistemi di accesso e posizionamento mediante funi alle quali il lavoratore fosse direttamente sostenuto”; di fornire agli addetti “necessari e idonei dispositivi di protezione individuale e dunque casco protettivo e imbracature di sicurezza”; di non aver tenuto conto, nell’affidare i compiti ai dipendenti, “delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza”: De Luca eseguiva lavori in quota pur avendo “una limitazione sul giudizio d’idoneità fisica alla mansione a non eseguire lavori in altezza” da parte del medico dell’azienda. Oltre a lui, è stato chiesto il rinvio a giudizio anche per un altro dipendente dell’impresa, P. M., 59 anni di Cardito (Na), per non aver vigilato, nella sua funzione di “preposto”, sull’osservanza degli obblighi di legge nel cantiere e non aver segnalato al titolare queste gravi lacune.
Ma R.e.m. era solo l’ultima ruota, la ditta subappaltatrice dei lavori: responsabilità altrettanto gravi sono state riscontrate ai “livelli superiori” circa il doveroso controllo e la verifica dell’applicazione del piano generale di sicurezza e coordinamento e relative procedure, della congruità del piano di sicurezza dell’impresa esecutrice, della realizzazione delle protezioni collettive come i parapetti o della consegna ai dipendenti dei dispositivi di protezione individuale, dai caschi alle imbracature. E’ stato quindi chiesto il processo anche per M. C., 61 anni, di Latina, funzionario di Rfi, quale responsabile del procedimento e dei lavori in questione, e, a cascata, per L. T., 46 anni, di Casoria, libero professionista incaricato da Rfi nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione; per V. T., 56 anni, di Casoria, come legale rappresentante della società “Centro Meridionale Costruzioni srl” affidataria nonché mandataria e firmataria dell’accordo quadro di appalto tra Rfi e il Rti, il Raggruppamento Temporaneo di Imprese che se l’era aggiudicato; infine per M. F., 71 anni, di Itri (Latina), quale legale rappresentante della Macfer srl mandante del Rti ed esecutrice dei lavori, poi subappaltati alla R.e.m.
Dopo vari rinvii si è così giunti all’udienza preliminare di oggi, primo atto di un processo da cui i familiari della vittima e Studio3A si aspettano che vengano chiarite e adeguatamente punite tutte le responsabilità, nella speranza che questo punto fermo dell’inchiesta porti anche le imprese coinvolte ad assumersi le proprie, di responsabilità, sul piano risarcitorio.
Caso seguito da:
Luigi Cisonna
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