Colpire con una testata un avversario a gioco fermo non può essere giustificato dall’attività sportiva né dalla foga agonistica: il responsabile del gesto è passibile di condanna penale per lesioni personali. Con la sentenza n, 11225/23 depositata il 16 marzo 2023 la Cassazione è tornata ad occuparsi di un caso di condotta violenta sui campi di gioco, nello specifico da calcio.
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Calciatore condannato per lesioni personali per una testata a gioco fermo a un avversario
A ricorrere alla Suprema Corte è stato un giocatore che era stato condannato nel 2020 dal Giudice di Pace di Macerata per il reato, appunto, di lesione personale per aver colpito, con una violenta testata, un avversario durante una partita: gli era stato contestato di aver violato volontariamente le regole del calcio e di essere venuto meno ai doveri di lealtà verso l’avversario.
L’imputato, nel suo ricorso, ha denunciato erronea applicazione della legge penale e correlati vizi di motivazione in riferimento al mancato riconoscimento della causa di giustificazione dell’esercizio dell’attività sportiva. Il calciatore ha censurato in particolare la ricostruzione dell’episodio come effettuata dal giudice alla luce delle emergenze probatorie, che avrebbero fornito una versione ben diversa del fatto contestato, che sarebbe avvenuto, secondo la tesi difensiva, durante lo svolgimento della gara e non a gioco fermo, ragion per cui non si sarebbe potuto trattare di antagonismo sportivo in quanto, come riferito dalla stessa persona offesa, non vi era stato (prima) alcuno scontro verbale o litigio con l’imputato nel corso del gioco.
Insomma, per il giocatore condannato la sua condotta doveva ritenersi penalmente irrilevante, in quanto non contraria alle regole sportive, anche a fronte del fatto che l’arbitro nella circostanza non gli aveva comminato alcuna sanzione, neppure il “semplice” cartellino giallo.
Il fatto ha ben travalicato l’agonismo sportivo
Ma per la Suprema Corte il ricorso è inammissibile. Gli Ermellini ribattono che il giudice di pace ha chiarito, “con motivazione congrua ed esente da vizi logici”, che l’imputato aveva colpito il suo avversario “durante una fase di gioco fermo stante il recupero del pallone fuoriuscito dal rettangolo di gioco“, per citare la sentenza, tanto che “gli altri compagni di squadra della parte offesa invitavano l’arbitro a sanzionare l’accaduto, ma questi non prendeva alcun provvedimento poiché non aveva visto direttamente l’aggressione“.
È stata pertanto ritenuta “la volontarietà delle lesioni in ragione della fase di gioco fermo“, con esclusione che il colpo sia stato “frutto del solo agonismo sportivo“. Per arrivare a tale ricostruzione dell’episodio, sottolinea la Cassazione, il giudice di merito ha utilizzato, “previo consenso delle parti”, il referto del pronto soccorso, la querela della persona offesa e le dichiarazioni rese da due soggetti in sede di sommarie informazioni testimoniali.
“Dalla motivazione della sentenza non sono evincibili vizi di travisamento delle prove analizzate, peraltro non denunziati dal ricorrente” asserisce la Suprema Corte, definendo la decisione impugnata dal ricorrente “conforme ai principi affermati da questa Corte in materia di lesioni personali cagionate durante una competizione sportiva”, che nella circostanza i giudici del Palazzaccio ribadiscono.
La “scriminante sportiva” è esclusa quanto la violenza è spropositata e avulsa rispetto al gioco
“Non sussistono i presupposti di applicabilità della scriminante sportiva quando si constati assenza di collegamento funzionale tra l’evento lesivo e la competizione sportiva; quando la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso; quando la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all’azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell’attività” spiega la Cassazione, aggiungendo anche che, sempre in tema di competizioni sportive, “non è applicabile la cosiddetta scriminante del rischio consentito, qualora nel corso di un incontro di calcio, l’imputato colpisca l’avversario con un pugno al di fuori di un’azione ordinaria di gioco, trattandosi di dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva, considerato che nella disciplina calcistica l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palla, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area ecc.) e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avvenga in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell’incontro”.
Ergo, condanna confermata.
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