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A meno ci circostanze particolari, quando al semaforo scatta la luce gialla (o arancio) bisogna arrestarsi: se capita un sinistro si viene infatti ritenuti corresponsabili, anche se la controparte passava con il “rosso”.

A ribadire questo principio è stata la Corte di Cassazione con la sentenza 37.004/19 depositata il 4 settembre 2019 con la quale ha giudicato un incidente dalle conseguenze tragiche e dalla dinamica “al limite”.

 

Scontro mortale tra un autobus passato col giallo e una moto passata col rosso

L’incidente si verifica a Roma, in un incrocio urbano regolato da semaforo, con cielo sereno e strada asciutta, e vede convolti un autobus ed un motociclo il cui conducente ha perso la vita.

I due mezzi viaggiano sulla stessa strada e nella medesima direzione, sostanzialmente paralleli: il bus percorre la corsia centrale, riservata ai mezzi pubblici e al tram; la motocicletta quella alla destra dell’autobus.

Giunti ad una grande piazza con incrocio semaforizzato, l’autobus lo impegna mentre il relativo semaforo dà la luce arancione, alla velocità di 42 km orari, inferiore rispetto al limite massimo vigente di 50 km orari; il motociclo, che in precedenza era fermo alla linea di stop, parte quasi contemporaneamente al pesante mezzo, con il rosso, svoltando verso sinistra alla velocità di circa 22-32 chilometri orari e andando ad urtare, al centro della piazza, contro il fianco destro del pullman, che lo aggancia e lo trascina per più di venti metri cagionandogli traumi fatali.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del dicembre 2013, sottolineando i molti dubbi circa la esatta dinamica dell’incidente, ha ritenuto che il motociclista fosse partito dirigendosi a sinistra e che il conducente dell’autobus, che attraversava l’incrocio a velocità consentita, si fosse trovato imprevedibilmente sulla propria traiettoria il centauro, senza alcuna possibilità di frenare o di fare alcunché, a soli 2,36 metri dal punto d’urto, cioè due decimi di secondo prima dell’impatto.

Pertanto, lo ha assolto dal reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina sulla circolazione stradale, che gli era stato contestato.

La Corte di appello di Roma, il 18 aprile 2018, in integrale riforma della sentenza dibattimentale del Tribunale capitolino, appellata dal Procuratore generale e dalle parti civili, ha affermato, al contrario, la penale responsabilità dell’imputato, e lo ha condannato alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni a favore delle parti civili.

I giudici si secondo grado, rinnovata l’istruttoria mediante perizia, hanno reputato che l’imputato fosse da ritenersi corresponsabile dell’infortunio, in misura percentualmente pari al contributo causale della vittima (50 % ciascuno), che si è ritenuto essere passata con il rosso.

E questo perché, essendosi accesa la luce arancione per il bus quando ancora poteva fermarsi, il suo conducente aveva scelto di non frenare e di attraversare l’incrocio, in una situazione di pericolo in cui, tra l’altro, data la posizione di guida sopraelevata, avrebbe potuto avvistare il motociclista “sfilare” a destra e, appunto, optare per una decisa frenata che avrebbe permesso di fermare il mezzo prima della linea orizzontale dell’incrocio.

 

Ricorso per l’attraversamento della controparte col semaforo rosso

L’imputato, attraverso il proprio difensore, ha presentato ricorso per Cassazione contro quest’ultimo pronunciamento affidandosi a tre motivi, con i quali ha denunciato violazione di legge (il primo ed il terzo) e difetto di motivazione (il secondo). Più in dettaglio, con il primo motivo ha lamentato una erronea applicazione della legge penale in relazione all’inesistenza del concorso colposo nel reato di cui all’art. 589 c.p., con riferimento al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, artt. 141 e 145.

L’autista ha sottolineato, tra le altre cose, il fatto che, laddove avesse frenato bruscamente al segnale arancione, avrebbe potuto mettere in pericolo sia eventuali passeggeri sia altri utenti della strada, aggiungendo anche che dalle testimonianze e dalle foto in atti risultava che aveva avuto la visuale a destra impedita da un furgone e da altri veicoli in sosta, cosicché non poteva avvistare il motociclo, passato con il rosso.

Il conducente del mezzo pubblico ha asserito di aver tenuto una condotta rispettosa dell’art. 41 C.d.S., comma 10, secondo cui “Durante il periodo di accensione della luce gialla, i veicoli non possono oltrepassare gli stessi punti stabiliti per l’arresto, di cui al comma 11, a meno che vi si trovino così prossimi, al momento dell’accensione della luce gialla, che non possano più arrestarsi in condizioni di sufficiente sicurezza; in tal caso essi devono sgombrare sollecitamente l’area di intersezione con opportuna prudenza”.

E ha battuto anche sulla imprevedibilità e la inevitabilità dell’accaduto, da attribuirsi alla esclusiva condotta del motociclista passato con il rosso.

Con il secondo motivo, poi, l’autista ha lamentato mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla prova emersa sulla avvistabilità in concreto del motociclo e sulla prevedibilità del comportamento del suo conducente che aveva oltrepassato l’incrocio, nonostante il semaforo indicasse il rosso. Infine, con il terzo motivo il ricorrente si è lamentato per l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla misura del concorso colposo nel reato di cui all’art. 589 c.p., comma 2, con riferimento al D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 141 e 145.

Sottolineata, ancora, la gravità della colpa del motociclista, a fronte della condotta dell’imputato, che sarebbe stato impossibilitato ad arrestarsi in condizioni di sicurezza, egli ha ritenuto comunque eccessivamente gravosa l’attribuzione di una percentuale nel concorso nella misura del 50 %.

Per la Cassazione, tuttavia, il ricorso è infondato e l’ha quindi rigettato.

“La Corte di appello, rinnovata correttamente l’istruzione dibattimentale, ha accertato che il bus si sarebbe potuto fermare ma che invece, nel concreto, pericoloso, contesto (incrocio urbano con plurime immissioni regolato semaforicamente ed accensione della luce arancione), ha scelto di non frenare e di attraversare l’incrocio, in una situazione prefigurata come pericolosa dal legislatore (art. 145 C.d.S.) ed in cui, data la posizione di guida sopraelevata, avrebbe potuto avvistare il motociclista “sfilare” a destra e, appunto, optare per decisa frenata che avrebbe sicuramente permesso di fermare il mezzo prima della linea orizzontale dell’incrocio, evitando l’impatto” spiegano gli Ermellini, sostenendo che la decisione della Corte di merito, in realtà, fa corretta applicazione dei principi di diritto puntualizzati dalla stessa Cassazione.

 

I doveri di prudenza e diligenza nella circolazione stradale

In tema di reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale – sottolineano i giudici del Palazzaccio -, costituisce di per sé condotta negligente l’aver riposto fiducia nel fatto che gli altri utenti della strada si attengano alla prescrizioni del legislatore, poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per far fronte a situazioni di pericolo, determinate anche da comportamenti irresponsabili altrui, se prevedibili”.

In applicazione di tale principio, la Cassazione ha ritenuto che il conducente avente diritto di precedenza, nonostante ciò, conservi, nell’approssimarsi a intersezioni ove possano sopraggiungere altri veicoli, l’obbligo di tenere una condotta adeguatamente prudente, e non può, pertanto, limitarsi ad invocare il comportamento imprudente del conducente sfavorito dal diritto di precedenza, se ordinariamente prevedibile.

“L’utente della strada non è responsabile dell’infortunio patito da un terzo anche per colpa di quest’ultimo, soltanto quando la sua condotta risulti immune da qualsiasi addebito, sia sotto il profilo della colpa specifica, che della colpa generica, ponendosi in tal caso come mera occasione dell’evento, e non sua concausa”.

Dunque, per la Suprema Corte sono infondati i primi due motivi di ricorso, non tenendo conto in punto di diritto, dei richiamati principi di affidamento e di prevedibilità ragionevole dell’altrui condotta, anche eventualmente irregolare, e, in punto di fatto, che non è emersa la dimostrazione che quel giorno quell’autobus trasportasse passeggeri, per cui risulterebbe esclusa la impraticabilità da parte dell’imputato della manovra alternativa consistente nella frenata brusca.

Ma per la Cassazione è infondato anche il terzo motivo, in quanto “non ha idoneità al giudicato la ripartizione percentuale di responsabilità tra imputato e vittima che sarà definitivamente stabilita dal giudice civile”.

In conclusione, dunque, ricorso rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.

 

 

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Incidenti da Circolazione Stradale

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