Chi esegue dei lavori, ossia l’appaltatore, deve rispondere se l’opera non viene eseguita a regola d’arte e presenta anomalie e difetti, ed è quindi responsabile dei vizi fino a prova contraria, a meno che non provi, appunto, di aver avvisato il committente di una problematica insita nel progetto o nelle modalità esecutive dell’intervento e questi non se ne sia dato per inteso, ordinando di proseguire ugualmente.
In questo caso quest’ultimo non potrà poi rivalersi sull’impresa a cui ha appaltato il lavoro, essendo questa “ridotta” al ruolo di “nudus minister”, ossia di mera esecutrice materiale rispetto alle direttive di chi le ha commissionato l’opera. E’ di un chiaro esempio di questa seconda casistica la vicenda di cui si è occupata la Cassazione con l’ordinanza n. 36871/22 depositata il 15 dicembre 2022.
Indice
Una causa per l’erronea posa di una guaina isolante in un nuovo complesso immobiliare
Una società immobiliare trentina aveva affidato in appalto ad un’impresa edile i lavori di impermeabilizzazione di un complesso immobiliare che aveva edificato, ma l’opera, eseguita nell’autunno-inverno degli anni 2005-06, era risultata viziata tanto che la committente, dopo aver tentato invano una prima riparazione, aveva provveduto a proprie spese alla sostituzione dell’intera guaina impermeabilizzante, completandone il rifacimento nell’ottobre del 2008.
Di qui la sua citazione in causa per danni alla ditta che aveva realizzato i lavori. Con ricorso e decreto di fissazione dell’udienza notificato nell’aprile 2019, la committente aveva chiesto di procedere ad un accertamento tecnico preventivo, all’esito del quale il consulente tecnico aveva rinvenuto la causa dei vizi nell’errata posa della guaina, in quanto eseguita in condizioni climatiche sfavorevoli (vale a dire, a basse temperature ovvero in presenza di forte umidità, che aveva impedito la corretta saldatura dei fogli della guaina nei punti di sovrapposizione), indicando, quali corresponsabili del danno, tanto l’appaltatore, per l’80 per cento, quanto il direttore dei lavori, per il 20 per cento, e stimando il costo del rifacimento nella somma di ben 241.273,82 euro .
Difetti comprovati ma viene accertata l’esimente del “nudus minister”
La Corte d’Appello di Trento, quindi, alla luce di tali conclusioni, con sentenza del 2017, aveva innanzitutto ritenuto che, che l’azione proposta dalla società committente doveva essere ricondotta al paradigma dell’art. 1669 c.c., sul rilievo che i gravi difetti di costruzione che danno dato luogo alla garanzia prevista da tale norma non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell’edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che incida sulla struttura e la funzionalità globale dell’edificio menomandone in misura apprezzabile il godimento. In secondo luogo, i giudici avevano accertato che erano infondate le eccezioni con le quali l’impresa edile aveva dedotto la prescrizione e la decadenza dell’azione di garanzia proposta dalla società immobiliare.
E tuttavia, soprattutto, la Corte territoriale aveva determinato che quest’ultima nel merito fosse infondata. I giudici, su quest’ultimo punto, dopo aver condiviso le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio e ribadito che “il vizio all’origine delle infiltrazioni è consistito nella scorretta esecuzione della guaina impermeabilizzante i cui fogli sono stati posati anche quando le condizioni climatiche impedivano che l’effetto adesivo della colla realizzasse la saldatura dei punti di sovrapposizione“, aveva tuttavia, ritenuto che, nel caso in esame operasse, per l’appunto, l’esimente, invocata dall’esecutore dell’opera, del “nudus minister”.
L’appaltatore aveva segnalato i problemi al committente che però non se n’era dato per inteso
Infatti, i giudici territoriali avevano premesso e ricordato che l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità solo nel caso in cui dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus miníster, per le insistenze del committente e a rischio di quest’ultimo e che gli errori nelle istruzioni esecutive impartite all’appaltatore hanno, quindi, effetto esimente rispetto alla responsabilità dello stesso solo nel caso in cui lo stesso abbia manifestato il proprio dissenso al committente che gliele ha date e le abbia eseguite per l’insistenza dello stesso, che si è assunto il rischio della scorretta esecuzione dell’opera.
Ebbene, la Corte aveva rilevato come l’istruttoria espletata in giudizio avesse dimostrato che il legale rappresentante dell’impresa costruttrice, nonché importatore e fornitore del materiale isolante che era stato posato, seguiva personalmente e quotidianamente “i lavori di posa”, dicendo agli operai che essa poteva essere eseguita anche in presenza di umidità o di basse temperature, avendo appreso dal produttore spagnolo del prodotto che ciò avrebbe rallentato ma non impedito la saldatura dei fogli isolanti.
Era altresì emerso che gli operai dell’appaltatore non volevano eseguire la posa in condizioni atmosferiche sfavorevoli ma che l’avevano ugualmente operata perché il costruttore aveva insistito avendo fretta di completare la costruzione ed essendo stato rassicurato dai tecnici spagnoli sulla buona riuscita dell’intervento. Tali emergenze, del resto, aveva aggiunto la corte, avevano trovato riscontro nell’interpello formale reso dallo stesso committente, il quale aveva, in sostanza, confermato la sua presenza in cantiere quale (anche) imprenditore edile e rappresentante/fornitore di materiale isolante impiegato nell’edilizia, nonché il fatto che egli avesse riferito dell’ininfluenza delle condizioni climatiche sulla buona riuscita della posa della guaina isolante. In definitiva, la Corte aveva concluso come nello specifico operasse effettivamente l’esimente del nudus minister e che la stessa escludesse la responsabilità dell’appaltatore, con il conseguente rigetto della domanda di garanzia proposta dalla società committente
La società committente, tuttavia, ha proposto ricorso anche per Cassazione censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’appello, dopo aver pur correttamente stabilito che i gravi difetti dell’opera accertati in sede di accertamento tecnico preventivo rientravano nella fattispecie prevista dall’art. 1669 c.c., aveva escluso la responsabilità dell’appaltatore in ordine agli stessi sul rilievo che quest’ultimo, quale nudus minister, era stato un mero esecutore delle direttive impartite dalla committente la quale, nonostante il dissenso manifestato dall’appaltatore rispetto alle istruzioni di posa, come si è detto aveva insistito per l’esecuzione dei lavori, assumendone conseguentemente il rischio. Una esimente rilevata, come già spiegato, in ragione tanto della presenza del committente/imprenditore nel cantiere, quanto dell’avvenuta fornitura del materiale utilizzato per la posa da parte del committente stesso, a sua volta importatore e rivenditore di materiale isolante impiegato nell’edilizia.
Così facendo, tuttavia, secondo la ricorrente, i giudici territoriali non avrebbero considerato che l’appaltatore è responsabile per i difetti dell’opera anche nel caso in cui l’ingerenza e le istruzioni del committente ne abbiano limitato l’autonomia e la discrezionalità, a meno che non sussista qualche indice, la cui prova spetta allo stesso appaltatore, che faccia supporre che quest’ultimo, in forza dei patti contrattuali intercorsi, sia stato sottoposto dal committente a direttive così stringenti da sottrargli qualsiasi possibilità di autodeterminazione.
La tesi difensiva consisteva quindi nella considerazione che l’esimente del nudus minister richiede che l’ingerenza e le istruzioni del committente abbiano avuto una continuità ed analiticità tali da elidere, per contratto, ogni facoltà di vaglio in capo all’appaltatore in quanto direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità d’iniziativa. Appaltatore che peraltro, rammentava il ricorso, ha l’obbligo di rendere edotto il committente degli eventuali vizi del progetto e delle istruzioni ricevute, manifestando un dissenso espresso e non semplici impressioni o perplessità, senza che possa al riguardo rilevare né la professionalità posseduta dal committente, il quale, a fronte dell’autonomia di cui dispone l’appaltatore, non ha alcun onere di vigilanza e/o di controllo, né che il committente sia stato il fornitore del materiale utilizzato dall’appaltatore.
Quest’ultimo, infatti, ribadiva la società costruttrice del complesso immobiliare, è tenuto a dare pronto avviso al committente dei difetti della materia fornita se si scoprono nel corso dell’opera e possono comprometterne la regolare esecuzione. L’appaltatore, d’altra parte, aggiungeva la ricorrente, deve valutare previamente il materiale consegnatogli e, ove non l’abbia mai impiegato prima, informarsi sulle caratteristiche intrinseche e sulle tecniche di applicazione che esso richiede, né infine, ha concluso, sarebbe rilevata la presenza in cantiere del committente che, ove eserciti la funzione direttiva riservatagli dal contratto, riduce ma non esclude la tipica autonomia dell’appaltatore, salvo il solo caso in cui questi sia tenuto per contratto a seguire il progetto e le istruzioni del committente senza alcun potere d’iniziativa e di valutazione e la sua posizione si riduca, perciò, a quella di nudus minister.
Le direttive impartite all’appaltatore non sarebbero state stringenti e vincolanti
Inoltre, il committente asseriva con forza che non poteva parlarsi di nudus minister nei casi in cui il committente non avesse impartito direttive così stringenti da sottrarre all’appaltatore qualsiasi possibilità di autodeterminazione e che, di conseguenza, l’esame di tale fatto decisivo, e cioè l’individuazione del soggetto che in cantiere aveva impartito le direttive, risultava decisivo e non poteva essere, pertanto, omesso. La sentenza di merito, al contrario, secondo la tesi difensiva, non avrebbe preso in considerazione, neppure implicitamente, tale fatto, benché fosse stato oggetto di discussione tra le parti, non avendo, in particolare, individuato il soggetto che ab origine aveva assunto la direzione dei lavori ed aveva, dunque, deciso e programmato i tempi e le modalità esecutive della posa.
La Corte d’appello, in buona sostanza, secondo la società ricorrente, avrebbe dovuto verificare se il committente avesse o meno impartito direttive e le avesse ribadite all’appaltatore, non potendo diversamente sostenersi che vi fosse stato dissenso da parte di quest’ultimo e insistenza da parte del committente, con la conseguente assunzione di responsabilità, perché solo in caso di diretto e totale condizionamento dell’appaltatore alle direttive precise, stringenti e vincolanti del committente, egli è effettivamente degradato a nudus minister, non essendo, per contro, sufficiente che il committente esprima opinioni o valutazioni, che l’appaltatore non può assecondare senza verificare la loro fondatezza e apprestare le misure necessarie per la corretta esecuzione dell’opera.
Il fatto, poi, che il titolare della società committente seguisse i lavori e dicesse agli operai dell’appaltatore di proseguire, nonostante le condizioni atmosferiche fossero inadatte, non avrebbe pertanto legittimato l’affermazione secondo cui la committente avrebbe diretto la posa impartendo direttive stringenti e vincolanti, né che l’imprenditore in questione avesse dato sin da subito ai posatori dell’appaltatore istruzioni e dunque prima che fossero manifestate le perplessità sui lavori.
In definitiva, la Corte d’appello, laddove aveva ritenuto la sussistenza dell’esimente del nudus minister, avrebbe omesso di esaminare il fatto, controverso tra le parti e decisivo ai fini di un diverso esito del giudizio, che la direzione dei lavori era stata assunta non dalla committente ma dall’appaltatore, decidendo tempi e modalità della posa presso il cantiere. E l’appaltatore, concludeva il ricorso, può dirsi mero esecutore della volontà del committente solo nel caso in cui sia dimostrato che il primo abbia dato attuazione alle direttive impartite e ribadite dal secondo, sicché, nel caso, come quello di specie, in cui il committente non avrebbe mai impartito istruzioni o direttive, tanto meno stringenti, limitandosi a riferire in cantiere quanto appreso dai produttori del prodotto utilizzato per la posa e insistendo affinché i posatori dessero seguito ai lavori nonostante le perplessità manifestategli, sarebbe stato onere dell’appaltatore, che non sarebbe stato privato o limitato nella sua autonomia, di sospendere i lavori per verificare la fondatezza delle valutazioni tecniche manifestate dal committente, e non proseguirli, come è invece avvenuto, perché il committente avrebbe insistito, facendo affidamento sulle nozioni tecniche di quest’ultimo.
Ma per la Suprema Corte i motivi di doglianza sono infondati. La Cassazione rammenta e ribadisce che l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, “è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo”, e che “l’appaltatore, in mancanza di tale prova, è, pertanto, tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori”.
Secondo gli Ermellini la Corte d’appello, nel decidere sulla domanda proposta dalla committente, si è senz’altro adeguata a tali principi, “se non altro perché, dopo aver rilevato che il vizio all’origine delle infiltrazioni è consistito nella scorretta esecuzione della guaina impermeabilizzante, i cui fogli sono stati posati anche quando le condizioni climatiche impedivano che l’effetto adesivo della colla realizzasse la saldatura dei punti di sovrapposizione, ha accertato innanzitutto, che l’appaltatore (osservando, evidentemente, i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli), si era avveduto del vizio predetto”.
Ribadito il dissenso dell’appaltatore alla posa della guaina e l’insistenza del committente
Inoltre, come si è visto, la Cassazione evidenzia come i giudici territoriali abbiano altresì accertato come, a fronte del dissenso conseguentemente manifestato dall’appaltatore, il legale rappresentante della società committente, il quale seguiva personalmente e quotidianamente i lavori di posa, avesse detto agli operai che essa poteva essere eseguita anche in presenza di umidità o di basse temperature avendo appreso dal produttore spagnolo che ciò avrebbe rallentato ma non impedito la saldatura dei fogli isolanti. Al punto che gli stessi operai, che pure non volevano eseguire la posa in condizioni atmosferiche sfavorevoli, l’avevano alla fine ugualmente eseguita perché il committente aveva insistito avendo fretta di completare la costruzione ed essendo stato rassicurato dai tecnici spagnoli sulla buona riuscita della stessa.
Alla fine quindi, secondo i giudici del Palazzaccio, la Corte territoriale aveva tratto la “corretta conclusione per cui, a fronte degli errori nelle istruzioni esecutive impartite dal committente all’appaltatore, quest’ultimo non era responsabile dei vizi dell’opera avendo manifestato il proprio dissenso al committente che gliele aveva date e le aveva nondimeno eseguite solo per l’insistenza dello stesso, che si è, quindi, assunto il rischio della scorretta esecuzione dell’opera”
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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