Con l’interessante sentenza n. 13540, depositata il 17 maggio 2023, la Corte di Cassazione ha affrontato e posto alcune doverose precisazioni su importanti questioni giuridiche come l’ormai “celebre” diatriba tra le Tabelle di Roma e quelle di Milano per la quantificazione del danno, e, soprattutto, il risarcimento delle vittime riflesse a seguito di un sinistro stradale.
Indice
Il caso
L’ordinanza prende le mosse da un incidente del 2010: una Harley Davidson viene violentemente urtata sul lato sinistro da una Wolkswagen Polo proveniente dall’opposta direzione di marcia, procurando gravissime lesioni personali al conducente del veicolo a due ruote. L’uomo subisce danni permanenti agli arti inferiori che gli precludono una deambulazione autonoma senza l’uso di un supporto, oltre anche a vistose cicatrici, problemi di decubito e un disturbo cronico da stress post traumatico.
Il proprietario del motoveicolo, insieme ai suoi prossimi congiunti, opta quindi per convenire in giudizio la controparte, al quale viene ascritta dal tribunale l’esclusiva responsabilità del sinistro, unitamente al riconoscimento di un’invalidità permanente del 63% al motociclista, con conseguente condanna a risarcire i danni non patrimoniali in favore del danneggiato e dei suoi familiari. Non solo, però. Viene tirato in ballo, gioco forza, anche l’Uci (Ufficio Centrale Italiano), come responsabile ex lege, poiché il veicolo investitore è assicurato con una società straniera.
La Corte d’appello ribalta la sentenza
Il conducente della vettura, tuttavia, decide di ricorrere in appello, basandosi principalmente sull’impossibilità di ricostruire l’esatta dinamica del sinistro e chiamando in causa l’art. 2054, secondo comma del codice civile, sul concorso di colpa.
La Corte d’appello, a sorpresa, ribalta completamente quanto affermato dal Tribunale: non solo viene decretata la corresponsabilità nell’incidente, ma viene anche negato il risarcimento del danno non patrimoniale in favore di alcune delle vittime riflesse – tra cui anche la figlia pur convivente – , riducendo sensibilmente anche gli importi riconosciuti al figlio minore e alla moglie del principale danneggiato, ai quali spetterebbe l’indennizzo per l’effettiva convivenza con il principale danneggiato.
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La dinamica dell’incidente
La famiglia, allora, decide immediatamente di rivolgersi alla Cassazione per fare valere i propri diritti e ottenere un po’ di giustizia. Il punto di partenza per gli Ermellini è la dinamica del sinistro in essere e la conseguente applicazione, o meno, dell’art. 2054.
Dopo aver ricordato che – per riportare quanto affermato nell’atto – “l’applicazione della presunzione di pari responsabilità di cui all’art. 2054, secondo comma c.c. è una regola sussidiaria, legittimamente applicabile per ripartire le responsabilità non solo nei casi in cui sia certo l’atto che ha causato il sinistro, ma sia incerto il grado di colpa attribuibile ai diversi conducenti, ma anche quando non sia possibile accertare il comportamento specifico che ha causato il danno“, la Suprema Corte passa al vaglio il caso specifico.
I giudici del Palazzaccio hanno “ripreso” fermamente la Corte d’appello, additandole di non essersi riferita ai fatti in causa e di aver ricostruito la dinamica senza avvalersi né di quanto affermato in primo grado, né degli atti istruttori. Si legge infatti che: “l’affermazione della Corte d’appello, secondo la quale non era certo che lo svolgimento dei fatti fosse stato in effetti quello ricostruito dal primo giudice, ed era astrattamente possibile che la dinamica dell’incidente fosse stata completamente diversa, esplicita un mero convincimento interiore che ipotizza, senza alcun riferimento ai fatti di causa, una alternativa ed ipotetica ricostruzione della dinamica di carattere meramente declamatorio, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza di primo grado né con le risultanze istruttorie acquisite agli atti“.
Essendovi però accertati sia la violazione dell’obbligo di dare la precedenza al veicolo proveniente dall’opposto senso di marcia, sia quello di usare la massima prudenza da parte dell’automobilista, non può essere consentita l’applicazione della presunzione di pari responsabilità, a meno che essa non si fondi su una motivata e precisa ricostruzione della dinamica, la quale deve però essere ancorata alle risultanze istruttorie.
Il danno riflesso
Esclusa la corresponsabilità, la Suprema Corte si è quindi concentrata sull’applicazione degli artt. 2043, 2059, 1223 e 1226 e 2729 del codice civile circa il mancato risarcimento in favore di alcuni congiunti della vittima principale, oltre che dell’insufficiente stima fatta per il figlio e la moglie conviventi.
La fondamentale premessa esplicitata riguarda i criteri per il riconoscimento di un indennizzo e la quantificazione del danno per le vittime riflesse che, seppure diversi da quanto concerne la tragicità della morte di un congiunto, devono tenere conto non solo degli stravolgimenti complessivi nella quotidianità della famiglia, ma anche dei tormenti personali per il dolore provato dal congiunto, a maggior ragione per la gravità delle lesioni nel caso in essere.
La Cassazione, in merito, si è espressa asseverando inizialmente che “i criteri da adottare per il riconoscimento e per la quantificazione del danno non patrimoniale alle vittime riflesse riguardano il danno che subiscono i congiunti in conseguenza delle lesioni – in questo caso gravissime – subite dalla vittima principale, tali da recare dolore e pena ai parenti, e da incidere pesantemente sullo svolgimento della vita quotidiana della intera famiglia”.
Indi per cui, – continuano in seguito gli Ermellini – “il danno “iure proprio” subito dai congiunti della vittima non è limitato al solo totale sconvolgimento delle loro abitudini di vita, potendo anche consistere in un patimento d’animo o in una perdita vera e propria di salute“.
La convivenza non è l’unica discriminante per valutare il legame affettivo
Affermato ciò, sono stati passati in rassegna uno per uno tutti i singoli casi delle vittime riflesse. La Cassazione non si è di certo limitata a “bacchettare” la Corte d’appello sia su quanto detto in materia di convivenza sia, più in particolare, per l’analisi specifica su una delle figlie, arrivando ad etichettare la sentenza precedente come “superficiale” e “noncurante“.
Ai genitori della vittima principale, inizialmente, era stato infatti negato il risarcimento esclusivamente in quanto non essendo conviventi della vittima non avrebbero risentito per la sua invalidità, poiché il legame parentale non era così forte come nel caso di una coabitazione. La visione della dinamica relazionale – secondo la Suprema Corte – è totalmente parziale ed esclude aprioristicamente e ingiustamente ogni qualsivoglia presunzione di un nesso affettivo tra congiunti. Nell’atto viene infatti riportato l’erroneità della sentenza precedente che “ha negato, tout court, la risarcibilità del danno non patrimoniale in capo ai genitori in quanto non conviventi, là dove da questa mera circostanza di fatto, comunissima nella vita delle persone adulte che formano propri nuclei familiari autonomi, e tuttavia non direttamente incidente sulla permanenza dei legami affettivi, ha tratto la conclusione che essi, in quanto non conviventi, non potessero ritenersi significativamente colpiti dai gravi danni alla persona e dalle sofferenze patiti dal figlio, invece di presumere, sulla base dello stretto legame parentale, l’esistenza di un danno non patrimoniale apprezzabile in termini di sofferenza per il dolore altrui, salvo prova contraria sulla inesistenza di un reale rapporto affettivo. La mancata convivenza, per i genitori non può, di per sé, eliminarne la sofferenza morale pura“.
Ancora più dell’incredibile ha quanto attribuito alla figlia, incinta all’epoca del sinistro. In appello “con ancor più censurabile superficialità e noncuranza” – per citare la Cassazione -, alla donna era stato addirittura negato il risarcimento, nonostante la convivenza, con la motivazione che essendo “proiettata verso la sua futura esperienza di madre, non avrebbe sofferto più di tanto per il fatto dannoso“. Questo, però, riprende la sentenza, era “destinato invece necessariamente a proiettare la sua ombra sia sull’evento della nascita che sulla successiva organizzazione della vita familiare, cambiando il modo di vita, la distribuzione dei compiti, le attività della sua famiglia d’origine, e da offuscare la gioia e la condivisione familiare per il bambino in arrivo”.
La Corte d’appello appare quindi “totalmente inconsapevole delle ripercussioni della mancanza del supporto di un genitore attivo (e probabilmente, della mancanza del supporto di entrambi i genitori, atteso che la madre sarà stata in gran parte assorbita dalla necessità di prestare assistenza al marito), sul quale la ragazza sapeva di poter contare proprio in ragione della convivenza, nel difficile momento della nascita, così giovane, del primo figlio“. Motivazioni che risultano evidentemente prive di logica, oltre che in palese contraddizione con quanto invece affermato per i genitori.
L’interpretazione delle Tabelle di Roma e di Milano
Vanno presi in disamina poi i risarcimenti ipotizzati dalla Corte d’appello per la moglie e il figlio convivente. Se in primo grado erano state utilizzate le tabelle del Tribunale di Roma in fase di liquidazione, in appello sono state applicate, invece, quelle di Milano, ma – spiega la Cassazione – “senza altra precisazione che consenta di ricostruire il ragionamento seguito per arrivare all’importo, e, quanto meno in motivazione, senza neppure precisare quanta parte dell’importo indicato spetti alla moglie e quanta al figlio“. Ecco quindi che “la liquidazione risulta effettuata, contrariamente alle premesse, in forma equitativa “pura”, ammessa solo quando la particolarità delle circostanze la giustifichi e solo se supportata da idonea motivazione (Cass. n. 36297 del 2022).
Secondo il Palazzaccio, quindi, “il giudice del rinvio dovrà far riferimento a tabelle che prevedano specificamente idonee modalità di quantificazione del danno, come le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma, che fin dal 2019 contengono un quadro dedicato alla liquidazione dei danni cd. riflessi subiti dai congiunti della vittima primaria in caso di lesioni”.
“Bocciate”, di conseguenza, le tabelle del Tribunale di Milano, che pur essendosi adeguate alla Cassazione per quanto riguarda la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale, “non altrettanto hanno fatto – si legge – in riferimento alla liquidazione del danno dei congiunti del macroleso “in quanto per ora non è stato raccolto un campione significativo di sentenze utile a costruire una tabella fondata sul monitoraggio”, come si afferma nella illustrazione delle tabelle dell’Osservatorio milanese, lasciando in questo caso al giudice “…valutare se ritiene di avvalersi della tabella sul danno da perdita del rapporto parentale corrispondente al tipo di rapporto parentale gravemente leso, opportunamente adattando e calibrando la liquidazione al caso concreto, per quanto dedotto e provato» (punto 17 delle “domande e risposte”, all.2 delle tabelle milanesi ed. 2022).
Il ricorso incidentale dell’UCI
Anche l’Uci, però, si è mosso con la Corte d’appello: viene recriminato infatti che i criteri di liquidazione che andrebbero utilizzati sono quelli riportati nelle tabelle del Tribunale di Milano, e non quelle del Tribunale di Roma – adoperate in fase di primo grado – poiché queste ultime porterebbero ad un risultato ben più oneroso per la compagnia di assicurazioni.
Il motivo, però, viene rigettato fermamente e ritenuto inammissibile dagli Ermellini, poiché “non costituisce violazione di legge l’utilizzazione di un sistema che produca in ipotesi un risultato economico più favorevole per il danneggiato e più sfavorevole per il danneggiante. L’interesse preso in considerazione nel privilegiare la liquidazione sulla base di un sistema tabellare è quello di evitare significative disparità di trattamento, a parità di conseguenze dannose, tra danneggiati che si trovino in situazioni analoghe, e non quello di garantire al danneggiante, o per esso alla compagnia di assicurazioni che delle conseguenze dannose è chiamata a rispondere, la soluzione più economica”.
In conclusione, la Cassazione ha decretato che la Corte d’Appello di Roma, alla quale rinvia la causa, dovrà nel caso specifico fare affidamento sulle tabelle meneghine in sede di risarcimento per il danno riflesso di tutti i congiunti della vittima principale e nello stabilire la liquidazione riguardante l’Uci. Sarà totalmente rivista inoltre la dinamica iniziale del sinistro e, di conseguenza, anche il risarcimento del motociclista.
Scritto da:
Dott. Andrea Biasiolo
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Categoria:
Incidenti da Circolazione StradaleCondividi
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