La soluzione è tutt’altro che equa, ma la Cassazione, con l’ordinanza n. 2982/23 depositata il primo febbraio 2023, ha ribadito l’orientamento di liquidare al danneggiato “solo” il valore commerciale del veicolo incidentato laddove il costo di riparazione dei danni sia si gran lunga superiore ad esso.
Il caso esaminato dagli Ermellini è simile ad altri migliaia sul genere.
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Automobilista chiede al Comune i danni dell’auto in seguito all’allagamento della strada
Un automobilista beneventano aveva citato in giudizio il Comune di Benevento chiedendo il risarcimento, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., dei danni subiti alla propria auto a seguito dell’allagamento della strada che egli stava percorrendo, verificatosi in occasione di una pioggia violenta: evento causato, secondo il danneggiato, da omessa manutenzione da parte dell’ente comunale delle caditoie, delle fognature e della regimentazione dell’acqua piovana.
Il tribunale cittadino gli aveva dato ragione, ritenendo effettivamente che il sistema fognario fosse inadeguato e che il Comune non avesse fornito la prova del caso fortuito, accogliendo quindi la domanda risarcitoria e condannando il Comune al pagamento della somma di 14.962,69 euro, corrispondente al preventivo di riparazione del veicolo, oltre interessi, nonché delle spese processuali.
L’Amministrazione comunale aveva appellato la sentenza e la Corte d’appello di Napoli, nel 2018, aveva parzialmente riformato la decisione di prime cure, confermando la responsabilità del Comune nell’evento dannoso ma riducendo sensibilmente il risarcimento dovuto a soli 2.500 euro, pari al valore commerciale dell’auto, in accoglimento delle doglianze del Comune che aveva per l’appunto contestato l’importo richiesto, rilevando la notevole sproporzione tra i costi ripartivi ed il valore di mercato dell’autovettura.
Il proprietario del mezzo a questo punto ha proposto ricorso per Cassazione lamentando, tra gli altri, il fatto che il giudice avrebbe omesso di pronunciarsi sulle eccezioni sollevate relative al “valore dinamico” e alle condizioni effettive della macchina, aderendo acriticamente alla quantificazione del valore commerciale dell’auto in 2.500 euro come fornita dal Comune, che è un po’ il nocciolo del problema in questi casi, nei quali il danneggiato prima del sinistro aveva un mezzo magari vecchiotto ma funzionante e che avrebbe percorso ancora svariate migliaia di chilometri, e d’improvviso si ritrova invece a doverlo rottamare e ad acquistarne un altro che costa molto di più del valore commerciale di quello incidentato.
Ma la Cassazione ha condiviso la decisione della Corte territoriale, ritenendo che questa abbia proceduto alla valutazione di tutte le prove relative al valore dell’auto e sia pervenuta ad una corretta quantificazione del danno, ritenendo attendibili la relazione della polizia municipale e la perizia tecnica del consulente del Comune addotte per contestare il valore commerciale della vettura precedentemente al danno e per quantificarne l’entità.
La Suprema Corte ricorda poi che, “alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali, grava sul danneggiato la prova relativa al quantum del danno subìto, e specificamente, trattandosi di danni subiti da un’autovettura, i preventivi e la fattura della riparazione non costituiscono di per sé prova del danno stesso, tanto più se non sono accompagnati da una quietanza o da un’accettazione, e provengono dalla stessa parte che intende utilizzarli”.
Corretto il risarcimento “per equivalente” laddove i costi di riparazione siano troppo salati
Gli Ermellini affrontano poi i motivo centrale del ricorso, nel quale il danneggiato lamentava la violazione dell’art. 2058 cod. civ., in quanto la Corte territoriale avrebbe disposto il risarcimento per equivalente in assenza della prova che la reintegrazione in forma specifica risultasse eccessivamente onerosa. In realtà, spiegano i giudici del Palazzaccio, la Corte d’Appello “non ha ritenuto provato il danno subìto dall’autovettura nella misura di 2.500 euro, ma, piuttosto, ha ritenuto provato il valore commerciale di tale autovettura nella misura non superiore ad euro 2.500. Infatti, a fronte di un preventivo per la riparazione di oltre cinque volte superiore al valore dell’auto, la Corte ha correttamente ritenuto che vi fossero i presupposti per disporre risarcimento per equivalente”.
La liquidazione in forma specifica costituirebbe “ingiustificato arricchimento”
La giurisprudenza in materia, osserva ancora la Suprema Corte, “ha sottolineato che in caso di domanda di risarcimento del danno subìto da un veicolo per un incidente stradale, costituito dalla somma di denaro necessaria per effettuare la riparazione dei danni, si propone in realtà una domanda di risarcimento in forma specifica. Pertanto, se detta somma supera notevolmente il valore di mercato della vettura, da una parte risulta essere eccessivamente onerosa per il danneggiante, e dall’altra finisce per costituire un ingiustificato arricchimento per il danneggiato, sicché il giudice potrà condannare il pianeggiante risarcimento del danno per equivalente”
Nella fattispecie, come detto, la vettura del danneggiato all’epoca dell’evento aveva un valore commerciale di mercato pari a 2.500 euro, somma di gran lunga inferiore a quella necessaria per la riparazione, che ammontava a quasi 15mila euro secondo il preventivo allegato dal proprietario, addirittura a 17.116 euro secondo la relazione del tecnico incaricato dal Comune, che nella sua relazione aveva considerato il veicolo sfasciato come un “relitto”. Di qui la decisione di ridurre il risarcimento dovuto al proprietario nella minor somma di 2.500 euro.
La Corte territoriale, va a concludere la Cassazione, ha pertanto “dapprima accertato il valore dell’auto, ritenendo, a fronte della perizia del tecnico comunale in ordine al valore commerciale della stessa, non sufficiente la prova dell’odierno ricorrente circa il maggior valore; accertato tale valore, lo ha poi comparato sia con il preventivo presentato dal ricorrente, sia con quello emergente dalla relazione tecnico comunale, pervenendo, sulla base di una mera evidenza matematica, al giudizio di eccessiva onerosità del risarcimento in forma specifica”. E la valutazione del giudice ai fini dell’applicazione dell’art. 2058 cod. civ., ed in particolare sulla scelta di attribuire al danneggiato il risarcimento per equivalente anziché quello in forma specifica, “rientra nella discrezionalità del giudice del merito, e in quanto tale non è sindacabile in sede di legittimità” conclude la Suprema Corte, che ha pertanto respinto il ricorso confermando il risarcimento stabilito in 2.500 euro.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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