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Con l’ordinanza n. 36507/23 depositata il 30 dicembre 2023, la Cassazione, terza sezione Civile, ha affrontato una dei più frequenti nodi del contendere tra cittadini e pubblica amministrazione, quello dei danni e delle conseguenze causati dai lavori pubblici agli edifici, apportando un distinguo importante: una cosa sono le lesioni lamentate, un’altra il deprezzamento del bene.

I proprietari di un edificio citano Anas e impresa per i danni causati da lavori di scavo

I proprietari di un immobile ubicato a Follonica, in provincia di Grosseto, avevano citato in giudizio l’Anas per ottenere il risarcimento dei danni a loro dire subiti dall’edificio a causa dei lavori di scavo appaltati da quest’ultima alla società consortile Tirrena Scavi (oggi Bambusa S.r.l.), per realizzare una galleria della strada statale Aurelia, nonché l’indennizzo previsto dall’art. 46 della legge n. 2359 del 1865 e il risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alle immissioni sonore intollerabili derivanti dall’opera pubblica realizzata.

Anas, nel contestare il fondamento delle domande, aveva chiesto di essere eventualmente manlevata, in caso di accoglimento delle stesse, dalla società appaltatrice, che a sua volta aveva chiamato in causa, per essere manlevata, la propria impresa di assicurazione per la responsabilità civile, Cattolica.

Il Tribunale di Grosseto tuttavia aveva rigettato le domande dei danneggiati e la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 2022, aveva confermato la decisone, di qui il ricorso per Cassazione dei proprietari del fabbricato, secondo i quali i giudici territoriali avrebbero omesso di esaminare la consulenza tecnica d’ufficio svolta in primo grado che stabiliva il nesso causale tra i lavori e le lesioni all’immobile, ritenuto invece non provato in giudizio.

Queste censure sono state tuttavia rigettate anche dalla Suprema Corte, che le ha ritenute formulate senza la “necessaria specificità” e come tali inammissibili.

Altro discorso invece per il terzo motivo di ricorso con cui i proprietari dell’edificio in questione lamentavano il fatto che la Corte d’appello avesse respinto anche il loro motivo di appello relativo alla richiesta di indennità ex art. 46 L. 2359/1865, ritenendolo “illogicamente” assorbito in quello fondato sulla richiesta di risarcimento del danno ex art. 2051 c.c. per le lesioni procurate all’immobile a causa dei lavori di realizzazione della galleria, senza peraltro fornire alcuna motivazione al riguardo e omettendo qualsiasi esame circa la diminuzione di valore dell’immobile.

Per la Suprema Corte, in questo caso il motivo è fondato. “Esso infatti – spiegano i giudici del Palazzaccio – ha ad oggetto la domanda di indennizzo da attività lecita proposta dai ricorrenti ai sensi dell’art. 46 della legge n. 2359 del 1865, non l’azione risarcitoria per le lesioni prodotte sull’edificio. In ordine a tale domanda (anch’essa rigettata in primo grado), la Corte d’appello si è limitata ad affermare che il relativo motivo di gravame sarebbe rimasto assorbito, in conseguenza del rigetto del primo relativo alla domanda risarcitoria”.

 

La questione delle lesioni strutturali prodotte dalle opere è altra dalla perdita di valore

La questione del nesso di causa tra l’attività di scavo posta in essere dall’impresa appaltatrice dei lavori e le lesioni strutturali riscontrabili nel fabbricato, infatti, prosegue la Cassazione, “non può avere alcun rilievo con riguardo alla diversa e autonoma domanda di indennizzo da attività lecita oggetto delle censure di cui al motivo di ricorso in esame, la quale presupporrebbe solo l’accertamento di un nesso di causa la avvenuta realizzazione dell’opera pubblica e l’eventuale deprezzamento dell’immobile contiguo alla stessa. Del resto, la motivazione della decisione impugnata, sul punto, limitandosi all’apodittica affermazione dell’assorbimento del relativo motivo di gravame, senza alcuna spiegazione sulle ragioni per cui si sarebbe determinato tale assorbimento, tra domande aventi presupposti radicalmente diversi, deve ritenersi, nella sostanza, se non del tutto assente, quanto meno meramente apparente”.

Di qui dunque la decisione da parte della Suprema Corte di cassare sul punto la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello, in diversa composizione, che dovrà procedere ad una valutazione dell’eventuale fondatezza del motivo di appello relativo alla perdita di valore del bene.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Contenzioso con Pubblica Amministrazione

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