Se e quando l’assicuratore per la Rc-Auto può esperire l’azione di rivalsa nei confronti degli assicurati in virtù delle clausole previste dal contratto? Nella sentenza n. 4756/24 depositata il 22 febbraio 2024 la Cassazione, terza sezione Civile, fornisce tutta una serie di chiarimenti determinanti per fare luce su questa questione di primaria rilevanza.
Indice
La causa civile per un tragico incidente tra due moto
La Suprema Corte si è occupata di un incidente tragico tra due moto, una Yamaha e una Ducati Monster, occorso nel comune di Pomezia nel 2007 e nel quale hanno perduto la vita entrambi i giovani conducenti.
Nel 2010 i congiunti del centauro che conduceva la Ducati avevano citato in giudizio avanti il Tribunale di Roma la comproprietaria (con la vittima) della Yamaha e l’assicurazione del motociclo, la quale si era costituita in giudizio negando che al momento del fatto la moto fosse coperta da una valida polizza contro i rischi della Rc-Auto e deducendo, in via subordinata, che il suo conducente, una delle due vittime, non era abilitato alla guida del mezzo essendo risultato in possesso della patente “B”, ma non anche della patente “A”, necessaria per condurre motociclo, ai sensi dell’art. 116, comma terzo, del Codice della Strada nel testo vigente ratione temporis, e cioè successivo al d.l. 3.8.2007 n. 117, ed anteriore alle modifiche del d.l. 31.12.2007 n. 248.
L’assicurazione chiede di rimanere indenne perché il conducente non aveva la patente A
In virtù di tale circostanza la compagnia assicurativa aveva chiesto che, in caso di accoglimento della domanda risarcitoria, i responsabili civili fossero condannati a tenerla indenne di quanto avrebbe dovuto versare ai danneggiati.
Con sentenza del 2015 il tribunale capitolino aveva accolto la domanda risarcitoria nei confronti della comproprietaria della Yamaha e dell’assicurazione, rigettando l’istanza di rivalsa formulata da quest’ultima, motivando il rigetto con il fatto che la compagnia non aveva fornito la prova di un patto contrattuale che consentisse la rivalsa.
L’impresa di assicurazione tuttavia aveva appellato la sentenza e la Corte d’Appello di Roma, con decisione del 2020, ne aveva accolto il gravame condannando la comproprietaria della moto a rivalere la compagnia delle somme che avesse dovuto pagare ai terzi danneggiati.
I giudici di seconde cure, accertato come la donna fosse effettivamente comproprietaria della Yamaha, aveva richiamato il principio per cui la clausola del contratto di assicurazione della Rc-Auto che escluda la copertura assicurativa nel caso di sinistro causato da conducente non abilitato alla guida è inopponibile al terzo danneggiato e ne aveva tratto il corollario per cui, per citare il pronunciamento, “non è la esistenza di una clausola di rivalsa prevista nel contratto di assicurazione che determina la ricorrenza o meno del diritto di manleva dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, ma la condizione essenziale ed imprescindibile della manleva è l’abilitazione la guida del conducente coinvolto nel sinistro”.
Di qui la conclusione che “gli aventi causa” della vittima alla guida della Yamaha erano tenuti a manlevare l’assicurazione delle somme da questa versate ai terzi danneggiati a titolo di risarcimento.
Comproprietaria della moto, condannata a manlevare l’assicurazione, ricorre in Cassazione
La comproprietaria della moto a questo punto ha proposto ricorso per Cassazione con tre motivi di doglianza. Nel secondo e terzo la ricorrente ha in sostanza sostenuto di non poter rientrare tra gli “aventi causa” del proprietario della moto deceduto essendo una sua “semplice conoscente” con il quale non aveva “nulla a che vedere sotto il profilo giuridico”.
Tesi che però la Cassazione ha rigettato, chiarendo che, essendo stato acclarato che la ricorrente era comproprietaria del motociclo con cui il proprietario aveva causato il danno, correttamente la sentenza impugnata l’aveva inclusa nel novero dei “responsabili”.
Ma quello che più preme è il primo e più articolato motivo di ricorso su cui la Suprema Corte fornisce chiarimenti essenziali. La ricorrente vi ha prospettato la violazione dell’art. 18 della l. 24.12.1969 n. 990, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.., sotto due profili.
Ha sostenuto innanzitutto che in tanto l’assicuratore della R.c.a. può vantare un diritto di rivalsa nei confronti dell’assicurato, in quanto sia stato costretto a risarcire il terzo danneggiato, nonostante il contratto prevedesse una clausola di esclusione della copertura assicurativa; pertanto, l’assicuratore il quale proponga l’azione di rivalsa ha l’onere di provare che, in base ai patti contrattuali, nel caso specifico avrebbe avuto diritto di rifiutare l’indennizzo.
Secondo la ricorrente solo il contraente la polizza sarebbe esposto all’azione di rivalsa
E poi ha asserito che l’art. 18 della l. 24.12.1969 n. 990 sarebbe stato violato dalla Corte d’appello perché aveva accolto la domanda nei suoi confronti senza avere la prova che quest’ultima avesse stipulato il contratto di assicurazione. Secondo la ricorrente, infatti, solo il contraente sarebbe esposto all’azione di rivalsa dell’assicuratore, e non altri.
Dunque, due questioni cruciali. I giudici del Palazzaccio hanno esaminato per prima la seconda censura, anche in questo caso ai sensi dell’art. 276, comma secondo, c.p.c.. Infatti, hanno motivato gli Ermellini la scelta di partire da qui, “se si ammettesse che debitore dell’obbligazione di rivalsa sia il solo contraente della polizza e non anche il proprietario del veicolo, diverrebbe superfluo stabilire se tale obbligazione nel caso di specie sussista o meno.
Censura infondata, “assicurati” sono conducente, proprietario, utilizzatore e usufruttario
Ebbene, la Cassazione ritiene la censura infondata. “L’assicuratore che abbia pagato l’indennizzo al terzo danneggiato solo perché obbligato ex lege, sebbene avesse potuto rifiutare il pagamento a termini di contratto, ha diritto di rivalsa “verso l’assicurato” – spiega la Suprema Corte citando l’art. 144, comma secondo, del Codice delle Assicurazioni – L’assicurazione di responsabilità civile rientra nel ramo danni, e nell’assicurazione contro i danni l’“assicurato” è il titolare dell’interesse esposto al rischio (art. 1904 c.c.)”.
“Ma il rischio di impoverirsi per dover risarcire la vittima di un sinistro stradale grava in egual misura sul conducente (art. 2054, commi primo e secondo, c.c.), sul proprietario, sull’usufruttuario, sull’acquirente con patto di riservato dominio (art. 2054, comma terzo, c.c.) e infine sull’utilizzatore in leasing (art. 91 cod. strada) – prosegue la Suprema Corte – E poiché il contratto di assicurazione deve coprire necessariamente la responsabilità “di cui all’art. 2054 c.c.” (così l’art. 122 cod. ass.), deve concludersi che, in mancanza di norme che consentano patti in deroga (ad es. l’art. 15 della Sezione II dell’Allegato al d.m. 11.3.2020 n. 54, che consente la clausola c.d. “di guida esclusiva”), tutti i suddetti soggetti rientrano nella categoria degli “assicurati”, alla sola condizione che abbiano guidato il veicolo col consenso del proprietario. Di conseguenza, tutti loro potranno beneficiare della copertura assicurativa in caso di sinistro e tutti saranno esposti all’azione di rivalsa ex art. 144, comma secondo, cod. ass., quando ne ricorrano i presupposti.
Tutti questi soggetti possono beneficiare della copertura ma anche essere oggetto di rivalsa
Il collegio ha quindi ritenuto, da un lato, di dare continuità “all’orientamento ormai consolidato da molti anni in qua e, dall’altro, di ribadire l’insostenibilità del minoritario orientamento secondo cui il conducente di un veicolo a motore, che sia persona diversa tanto dal proprietario quanto dal contraente dell’assicurazione r.c.a., debba ritenersi “estraneo al rapporto assicurativo”, con la conseguenza che né potrebbe beneficiare della copertura assicurativa né sarebbe esposto all’azione di rivalsa dell’assicuratore. A questo secondo orientamento non può essere data continuità, poiché si fonda su un assunto erroneo: quello secondo cui solo il proprietario d’un veicolo a motore ha l’obbligo di stipulare l’assicurazione della R.c.a. Affermazione, quest’ultima, in contrasto con la chiara lettera dell’art. 122 cod. ass., che addossa il suddetto obbligo a carico di chiunque “metta in circolazione” un veicolo a motore”.
La necessità per l’assicurazione di provare la clausola di esclusione nel contratto
E qui la Cassazione pronuncia il primo fondamentale principio di diritto: “L’assicuratore della r.c.a. può esercitare il diritto di rivalsa di cui all’art. 144 cod. ass. nei confronti di qualsiasi soggetto che abbia la veste di “assicurato” ai sensi dell’art. 1904 c.c.: e dunque il proprietario o comproprietario, il conducente (salvo il caso della circolazione nolente domino), l’usufruttuario, l’acquirente con patto di riservato dominio o l’utilizzatore in leasing, anche se tutti costoro siano persone diverso dal contraente della polizza”.
Fondata invece la doglianza sulla necessità di provare la clausola di esclusione nel contratto
Fondata invece, secondo i giudici del Palazzaccio, la prima censura del primo motivo di ricorso, con la quale, come si è detto, la ricorrente sosteneva che in tanto l’assicuratore della r.c.a. può vantare un diritto di rivalsa nei confronti dell’assicurato, in quanto dimostri che il contratto prevedesse una clausola di esclusione della copertura) è invece fondata.
“L’art. 144, secondo comma, secondo periodo, cod. ass. stabilisce, rammentano gli Ermellini, che “l’impresa di assicurazione ha (…) diritto di rivalsa verso l’assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o ridurre la propria prestazione”. Questa norma, continua la Cassazione, attribuisce all’assicuratore un diritto e ne fissa il presupposto. “Il diritto è quello di recuperare dall’assicurato le somme pagate al danneggiato. Tale diritto scaturisce dalla legge e sussiste a prescindere da qualsiasi previsione in tal senso del contratto di assicurazione. Il presupposto di tale diritto di rivalsa scaturente dalla legge è l’esistenza d’un altro e ben diverso diritto, questa volta scaturente dal contratto: e cioè il diritto di rifiutare, nel caso specifico, il pagamento dell’indennità in virtù d’una clausola di delimitazione del rischio. In presenza dunque d’una clausola siffatta, la legge attribuisce all’assicuratore il diritto di rivalsa e bisogno non v’è che la rivalsa sia prevista dal contratto. Se, però, nel contratto mancasse una clausola di delimitazione del rischio, rivalsa non potrà esservi, perché ne mancherebbe il presupposto”.
L’onere di provare che il contratto di assicurazione della R.c.a. conteneva una clausola di delimitazione del rischio, inopponibile al terzo ma idonea a giustificare il pagamento dell’indennizzo nel rapporto tra assicurato ed assicuratore, spetta naturalmente quest’ultimo. “Per quanto detto, infatti, il fondamento della rivalsa è un patto contrattuale; l’azione di rivalsa è quindi un’azione contrattuale: ed in tutti i giudizi scaturenti dal contratto è onere dell’attore provare l’esistenza del patto su cui la domanda si fonda” precisa la Suprema corte, che dunque, venendo al caso di specie, evidenzia come la sentenza impugnata non abbia fatto corretta applicazione di tali princìpi.
Non provata l’esistenza di una clausola di esclusione in caso di conducente non abilitato
“Essa, infatti, dopo avere giustamente rilevato che il diritto di rivalsa nasce dalla legge e non dal contratto, conclude che per ciò solo l’assicurazione aveva diritto di rivalersi nei confronti della comproprietaria osservando che “condizione essenziale ed imprescindibile della manleva è la mancanza di abilitazione alla guida del conducente”. Questa affermazione, viene al dunque la Cassazione, “sarebbe stata esatta se la Corte d’appello avesse previamente accertato in facto che il contratto di assicurazione, stipulato a copertura della responsabilità derivante dalla circolazione del motociclo in questione, escludesse la copertura nel caso il mezzo fosse condotto da soggetto non abilitato. Accertamento che invece non si rinviene nella sentenza impugnata. Né ovviamente la presenza d’una tal clausola poteva ritenersi sussistente in via presuntiva, ove tanto potesse opinarsi aver concluso la gravata sentenza: vuoi perché nulla vieta all’assicuratore di stipulare un contratto che copra anche la responsabilità nel caso di guida senza patente; vuoi perché in materia di contratti non è consentito il ricorso alle presunzioni semplici (art. 2729, secondo comma c.c.); vuoi, soprattutto, perché il contratto di assicurazione richiede la forma scritta ad probationem”.
Questa censura è stata pertanto accolta e la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello capitolina, la quale nel riesaminare l’appello della comproprietaria della moto, dovrà applicare l’altro principio di diritto pronunciato con l’occasione dalla Cassazione: “l’assicuratore della r.c.a. che agisca in rivalsa nei confronti dell’assicurato, ai sensi dell’art. 144, comma secondo, cod. ass., ha l’onere di provare che il contratto conteneva una clausola di delimitazione del rischio, tale da consentirgli nel caso concreto il rifiuto o la riduzione del pagamento dell’indennizzo”.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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Categoria:
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