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Nel caso di nascita di un bambino con la sindrome di Down, il medico è sempre responsabile per l’omessa prescrizione dell’amniocentesi, anche se successivamente la gestante si rifiuta di effettuarla: quest’ultima, infatti, perde la chance di conoscere lo stato di gravidanza al momento in cui deve essere prescritta l’amniocentesi e non quando la gravidanza è in stato avanzato e sopravviene il rifiuto della gestante stessa.

E’ questo, in sintesi, il contenuto della sentenza n. 243 della Corte di Cassazione, III sezione civile, del 10 gennaio 2017, su un delicatissimo caso di responsabilità medica.

Il Tribunale e la Corte di Appello avevano rigettato una domanda risarcitoria promossa nei confronti di un medico, in occasione di una gravidanza conclusasi con la nascita di un figlio affetto da sindrome di Down, in conseguenza della mancata prescrizione di amniocentesi, sebbene poi, rifiutata dalla stessa gestante due mesi dopo l’omessa prescrizione.

Qui si discuteva se il nesso causale fra il comportamento del medico (che non prescrive in un primo momento l’amniocentesi) e l’evento “dannoso” (sindrome di Down) possa considerarsi interrotto dal comportamento tenuto dalla gestante, allorquando la stessa si rifiuti, essa stessa, a sottoporsi all’amniocentesi, durante la fase successiva della gravidanza. Secondo il Supremo Collegio, deve distinguersi tra i due momenti: nel primo vi è una situazione di incertezza, per la cui soluzione ci si affida al medico; nel secondo momento (rifiuto di sottoporsi all’amniocentesi due mesi dopo, da parte della gestante) mutano condizioni e situazioni, in quanto la gravidanza giunge ad uno stato più avanzato e muta il bene coinvolto dalla scelta, atteso che il feto ha una “età” più avanzata.

Questo prolungamento del momento, secondo la Suprema Corte, non consente di attribuire alla scelta della gestante efficacia di causa esclusiva dell’effetto della sorpresa poi verificatasi all’atto della nascita, quale evento dannoso che avrebbe avuto la conseguenza di ledere la sua integrità psico-fisica. La cattiva esecuzione della prestazione da parte del medico preclude, quindi, la possibilità di conoscere lo stato del feto ed il successivo rifiuto dell’amniocentesi non può dispiegare alcuna efficacia causale esclusiva sopravvenuta per l’assorbente ragione che la perdita della chance di conoscere lo stato di gravidanza e, quindi, di abituarsi alla condizione del nascituro fin da quel primo momento, si è già verificata quando sopravviene detto rifiuto.

La Cassazione, quindi, detta il suo principio: “qualora risulti che un medico ginecologo, cui fiduciariamente una gestante si sia rivolta per accertamenti sulle condizioni della gravidanza e del feto, non abbia adempiuto correttamente la prestazione, per non avere prescritto l’amniocentesi ed all’esito della gravidanza il feto nasca con una sindrome che quell’accertamento avrebbe potuto svelare, la mera circostanza che due mesi dopo quella prestazione la gestante abbia rifiutato di sottoporsi all’amniocentesi presso una struttura ospedaliera in occasione di ulteriori controlli, non può dal giudice di merito essere considerata automaticamente come causa efficiente esclusiva, sopravvenuta all’inadempimento, riguardo al danno alla propria salute psico-fisica che la gestante lamenti per avere avuto la “sorpresa” della condizione patologica del figlio all’esito della gravidanza, occorrendo all’uopo invece accertare in concreto che sul rifiuto non abbia influito il convincimento ingenerato nella gestante dalla prestazione erroneamente eseguita”.

Scritto da:

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Dott. Nicola De Rossi

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Categoria:

Blog Malasanità

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