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Se si verifica un infortunio in un parco giochi che presenta delle strutture non a norma anche il Comune può essere corresponsabile dell’evento. A sancire il principio è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11943 del 5 maggio 2023, che ha rivisto completamente quanto avevano deciso a suo tempo il Tribunale di Pesaro e la Corte d’Appello di Ancona.

Infortunio al parco giochi, ma Tribunale e Corte rigettano la domanda

La pronuncia prende le mosse dall’incidente occorso ad un bambino, all’epoca del fatto di soli tre anni, che si era procurato un infortunio cadendo da una struttura ginnica collocata in un parco giochi comunale. La madre aveva segnalato le problematiche prima al Tribunale di Pesaro, giungendo poi alla Corte d’Appello di Ancona, non riuscendo mai a vedere accolte le proprie ragioni e la conseguente richiesta danni . In entrambi i gradi di giudizio era stato ritenuto che la giostra in causa rispettasse gli standard di sicurezza, e che – citando l’atto – “l’infortunio non era dipeso da cedimenti e/o difetti di fabbricazione, bensì dal fatto che il minore aveva lasciato la presa delle corde sulle quali poggiavano mani e piedi“.

A ciò si aggiungeva, sempre a scapito delle istanze della madre e e del bambino, che “eventuali violazioni relative al mancato rispetto dell’altezza della struttura e all’assenza di una superficie di assorbimento dell’impatto a terra non possono essere state concause nell’evento occorso, perché l’utilizzo delle strutture esistenti in un parco giochi non si connota, di per sé, per una particolare pericolosità se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature, le quali presuppongono comunque una qualche vigilanza da parte degli adulti“. Insomma, per i giudici l’evento sarebbe stato determinato anche da un omesso controllo da parte della mamma.

Caso fortuito e responsabilità del comune: la spiegazione

Prima di entrare sul caso specifico, la Cassazione, con una lunga ma fondamentale premessa, ha passato in rassegna a livello oggettivo tutte le circostanze che gravavano attorno al sinistro avvenuto, riepilogando i principi codicistici e giurisprudenziali che regolano la responsabilità del “custode” – ossia il Comune di competenza – e l’evento fortuito (con le conseguenti peculiarità che lo rendono tale).

Al primo punto viene ribadito che “la responsabilità, di cui l’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno“. Un primo caposaldo volto a ricordare come si deve agire quando si entra nel merito di questi contenziosi. Spetta quindi al danneggiato provare il rapporto causale tra danno e “cosa”, così come spetta al “custode” provare il contrario.

Ecco quindi che entra in gioco il “caso fortuito”: esso dev’essere rigorosamente – per citare la sentenza 20943/2022 – “connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale“.

Il ricorso per Cassazione e il ribaltamento della sentenza

La Suprema Corte è quindi entrata nel caso specifico analizzando l’unico motivo del ricorso nel quale la mamma ha denunciato, per l’appunto, “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art 115 c.p.c., art. 116 c.p.c., in relazione all’art 360 c.p.c. n. 3 e 5, per avere la Corte di Appello, anche con insufficiente e contraddittoria motivazione su circostanze decisive della controversia, escluso il nesso causale tra il sinistro e la struttura ludica e/o in ogni caso esclusa l’applicazione dell’articolo 2051 c.c. ed escluso la responsabilità del custode di detta struttura (il comune, ndr). Il tutto nonostante la genitrice avesse dimostrato, continua il ricorso, proprio in ottemperanza agli oneri anche probatori sottesi dall’art. 2051 c.c.), che “l’evento dannoso si era prodotto come conseguenza “normale” della particolare condizione lesiva (superiore e standard) assunta dalla cosa, ed in cui versava la struttura al momento del fatto (potenziale lesivo superiore a quello ordinario della struttura, a causa del cattivo stato di manutenzione della struttura, e/o comunque delle comprovate violazioni di essa struttura normative UNI EN 1176 ed UNI EN 1177, laddove la struttura si presentava, in quanto non montata né installata conformemente alle prescrizione del produttore, più alta del consentito, e laddove la struttura si presentava priva di una sua componente strutturale essenziale, il tappetino di centimetri tre di materiale plastico spugnoso idonea ed attenuare agli effetti di una caduta della struttura quale conseguenza normale dell’utilizzo del “gioco” polifunzionale con elementi di arrampicata)“.

La contestazione della Cassazione a Tribunale e Corte d’Appello

E gli Ermellini le hanno dato ragione. Le sentenze precedenti, secondo la Cassazione, hanno applicato una massima “non allineata” rispetto al contesto del caso in esame: la giostra era obiettivamente stata montata con un’altezza superiore a quella indicata e, inoltre, il tappetino per assorbire la caduta era altresì una componente essenziale che mancava. “Tale anomalia – riporta l’ordinanza – aveva, se non causato integralmente, sicuramente aggravato le conseguenze della caduta“. 

La Corte d’Appello, invece, come si è visto, aveva concluso che le due cose sarebbero state ininfluenti sull’evento occorso se vi fosse effettivamente stata una vigilanza da parte degli adulti. Così facendo però, censura la decisione di merito la Suprema Corte, i giudici territoriali hanno “focalizzato la loro attenzione sul difetto di vigilanza della madre, finendo per escludere a priori qualunque valenza causale delle due anomalie denunciate senza verificare se le stesse possano avere inciso, non sulla caduto del bambino, ma sulle conseguenze che ne sono derivate, in termini di aggravamento delle stesse, tenuto conto dell’aumento di violenza d’urto correlato alla maggiore altezza del suolo e del mancato assorbimento da parte dell’apposito tappetino“.

Il giudizio finale della Suprema Corte

In conclusione, facendo leva proprio sulla valutazione parziale della Corte d’Appello, gli Ermellini hanno giudicato che la sentenza precedente va “cassata“, rinviando la decisione alla Corte territoriale per una nuova disamina che tenga anche conto delle considerazioni espresse in questa sentenza. Ricorso, pertanto, accolto, e caso che torna all’esame della Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione, ma con notevoli prospettive per la mamma e il bimbo di essere finalmente risarciti.

Scritto da:

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Dott. Andrea Biasiolo

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