Le somme percepite a titolo di risarcimento sono soggette a tassazione? Per rispondere a questa sentita domanda risulta preziosa la recente ordinanza n. 3804/23 depositata l’8 febbraio 2023 nel quale la Cassazione chiarisce che “le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (il cosiddetto lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (il cosiddetto danno emergente).
Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale”, che era l’oggetto del contenzioso.
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Il Fisco invia avvisi di accertamento per tassare il risarcimento del danno da perdita di chance
L’Azienda sanitaria provinciale di Crotone aveva riconosciuto delle somme ad alcuni propri dipendenti, dirigenti medici, a titolo di risarcimento del danno, in esecuzione di un accordo transattivo a conclusione di una causa, oggetto di una pronuncia del 2007 del Tribunale del lavoro di Crotone, che aveva condannato l’Asp a risarcire appunto ai sanitari in questione il danno derivante dalla violazione degli obblighi di cui all’art. 52 del Contratto collettivo nazionale del lavoro, rimettendone la quantificazione ad un separato giudizio.
L’Agenzia delle Entrate aveva emanato avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione Irpef, per l’annualità 2009, quale reddito di lavoro dipendente, tali somme frutto del risarcimento: i medici avevano impugnato il provvedimento avanti la Commissione tributaria provinciale di Cosenza, che aveva accolto l’impugnazione, ma la decisione era stata appellata dall’Agenzia delle Entrate avanti la Commissione Tributaria regionale, che nel 2021 invece aveva accolto l’appello ritenendo legittimi gli avvisi di accertamento e che le somme in questione fossero qualificabili come redditi da lavoro dipendente, in quanto la sentenza del Tribunale di Crotone, che costituiva il titolo del diritto di credito, era chiara nel condannare l’Asp di Crotone al pagamento, in favore dei contribuenti, delle “indennità di risultato” di cui all’art. 52 del Ccln dell’8 giugno 2020, maggiorate dai danni da ritardo.
A questo punto i medici hanno proposto ricorso per Cassazione sostenendo che la sentenza impugnata della Commissione tributaria regionale avrebbe erroneamente riconosciuto che le somme pagate dall’Asp ai contribuenti fossero tassabili trattandosi di redditi da lavoro dipendente, senza considerare che esse erano state corrisposte, sulla base di un rapporto di lavoro, a titolo di risarcimento del danno per perdita di chance e, come tali, anche in base agli esiti recenti della giurisprudenza, non erano soggette a tassazione. La difesa dei ricorrenti in sintesi ha sostenuto che il risarcimento era conseguito, per citare il ricorso, “alla privazione del diritto dei ricorrenti ad essere valutati ed a conseguire sviluppi di carriera e di carattere giuridico ed economico, ovvero alla perdita di chance, per cui non assoggettabile a tassazione”.
Per la Cassazione il motivo è fondato. Con l’occasione la Suprema Corte ripercorre sinteticamente il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, rammentando in primis che l’art. 6 comma 2 del Tuir (“Classificazione dei redditi”), quale norma di carattere generale, applicabile a tutte le tipologie di indennità (anche risarcitorie) sostitutive della retribuzione, così dispone: “I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”.
Non è tassabile il risarcimento del danno da “super-lavoro”
Ma, quanto all’esegesi della norma tributaria generale, gli Ermellini ricordano che la Cassazione aveva già a suo tempo chiarito che “in tema di imposte sui redditi, in base al dettato dell’art. 6, comma secondo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile solo e nei limiti in cui abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi. Pertanto, l’indennità corrisposta (in sede transattiva) dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche spese dal lavoratore oltre l’orario massimo di lavoro da lui esigibile, non è assoggettabile a tributo”.
E, soprattutto, quello da perdita di chance come nel caso di ingiusta esclusione da un concorso
E soprattutto, con specifico riferimento al danno da perdita di chance, i giudici del Palazzaccio evidenziano che la Suprema Corte ha dapprima ribadito che “in tema di imposte sui redditi, in base all’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, le somme percepite da contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi”, e ha quindi aggiunto che “esse non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa”, concludendo che “non è tassabile il risarcimento ottenuto da un dipendente “da perdita di chance”, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa a seguito dell’ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera”.
Il danno da perdita di chance non ha natura reddituale, ma ristora il danno emergente da perdita di possibilità
Ancora, gli Ermellini citano anche una recente sentenza, la n. 3632/19, nel quale la Suprema Corte ha chiarito che “il titolo al risarcimento del danno, connesso alla “perdita di chance”, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità della esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale”. E su questa base concettuale ha stabilito che “il ricorrente ha percepito il risarcimento per la perdita di possibilità conseguente ad irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno per la promozione a funzionario; il giudice dei lavoro ha riconosciuto al ricorrente ii risarcimento del danno emergente (consistente appunto nella perdita delle possibilità ricollegate complessivamente alla progressione di carriera) e, per la quantificazione dell’importo dovuto, ha fatto i ricorso al criterio di valutazione equitativa con riferimento al maggior stipendio non conseguito; tale criterio rileva ai limitati fini della determinazione del quantum e non è idoneo a mutare il titolo dell’attribuzione, la quale non è riconducibile all’art. 6 T.u.i.r., perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito”.
E sulla scia di quest’ultima pronuncia, la sentenza n. 5108/19 della stessa Cassazione ritiene che siano assoggettabili a imposta le somme percepite dal lavoratore dipendente, a titolo di risarcimento del danno, “se volte a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (c.d. lucro cessante), mentre non sono assoggettabili a imposta quelle intese a riparare un pregiudizio di natura diversa il cosiddetto danno emergente”.
Sono tassabili le somme risarcitorie per reintegrare il lucro cessante, non il danno emergente
Principi che, prosegue la Cassazione, sono stati enunciati anche dalla sezione lavoro della Corte, la quale ripropone la medesima distinzione: sono soggette a tassazione, tra le somme percepite dal lavoratore a titolo risarcitorio, soltanto quelle dirette a reintegrare il lucro cessante derivante dalla mancata percezione di redditi; sono invece fiscalmente esenti le somme liquidate a titolo di danno emergente.
Ed è appunto quest’ultimo il caso in questione, quello dei (numerosi) dirigenti a tempo indeterminato, dipendenti dall'(ex) Asl di Crotone, appartenenti ai ruoli “Medico e Veterinario“, che avevano come si è visto citato in causa con successo l’Azienda per l’accertamento dell’inadempimento contrattuale rispetto all’intero meccanismo della “retribuzione di risultato”, per ottenere il relativo risarcimento del danno. Come ricorda la Suprema Corte, i dirigenti lamentavano la mancata attivazione del sistema prescritto dalla contrattazione collettiva, che avrebbe consentito la corresponsione di “compensi incentivanti” in base ai risultati raggiunti in relazione a programmi predeterminati. Come si è detto, il giudice del lavoro aveva dichiarato l’inadempimento contrattuale dell’Asl riconoscendo il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno patito per effetto dell’inadempimento dell’ente, precisando altresì che il danno doveva ravvisarsi sotto il profilo della lesione alla professionalità, essendo evidente che l’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti comporti una perdita di chance di accrescimento professionale, e demandandone infine la quantificazione a un separato giudizio.
La Cassazione aggiunge anche che la Suprema Corte, in varie pregresse sentenze, ha chiarito che, in materia di trattamento retributivo dei dirigenti, la qualifica dirigenziale fonda la retribuzione base; il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione fonda la cosiddetta retribuzione di posizione; l’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione fonda la cosiddetta retribuzione di risultato. Quest’ultima, quindi, non è una “voce automatica”, ma è soggetta, per ciascun dirigente, a determinazione annuale, “da effettuarsi solo a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli organi di controllo interno, di cui al contratto collettivo”. Nel caso specifico, il Tribunale di Crotone aveva accertato l’omessa attivazione di obiettivi/percorsi professionali e dì consequenziali valutazioni dei risultati. E dalla carenza di un programma e di obiettivi incentivanti “scaturisce quella perdita di chance di miglioramento attitudinale/dirigenziale e di valutazione (eventualmente positiva) dei risultati conseguiti con ricadute economiche – puntualizza la Suprema Corte – Si realizza così una situazione affine a quella del demansionamento o della precarizzazione, là dove l’attribuzione nummaria non è meramente sostitutiva della retribuzione, ma anzitutto ristora la lesione della capacità professionale del lavoratore”.
All’interno di questo perimetro giuridico, nel caso concreto, come si è detto, le parti avevano negoziato per transigere la vertenza in atto, “donde la natura risarcitoria della somma attribuita per mancato accesso dei ricorrenti all’istituto della retribuzione di risultato a causa della omessa attivazione da parte dell’azienda di tale istituto”, che è poi la res litigiosa transatta, che il fisco ha inteso sottoporre a tassazione. Ma a torto per la Cassazione, secondo cui, anche in forza di tutte i precedenti citati, la Commissione Tributaria Regionale “ha errato nella qualificazione giuridica del danno come avente natura essenzialmente retributiva e non invece quale danno da perdita di chance e di conseguenza ha errato nel confermare la ripresa a tassazione in base al disposto dell’art. 6, comma 2, t.u.i.r.m trattandosi di somme percepite dal lavoratore a titolo di danno emergente, in quanto tali non costituenti reddito imponibile”.
Con l’occasione la Suprema Corte pronuncia il seguente principio di diritto: “In tema di classificazione dei redditi ex art. 6, comma 2, t.u.i.r., le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (cd. lucro cessante), e non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (cd. danno emergente). Non è quindi tassabile il risarcimento del danno ottenuto dal lavoratore dipendente, anche in via transattiva, per la perdita di chance di accrescimento professionale (a causa dell’assenza di programmi ed obiettivi incentivanti), ed è irrilevante che, ai fini della determinazione del quantum debeatur, si faccia riferimento al c.c.n.l. di un certo comparto”.
La sentenza impugnata è stata pertanto cassata e la causa è decisa dagli Ermellini direttamente nel merito con l’accoglimento dei ricorsi originari proposti dai contribuenti contro gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.
Scritto da:
Dott. Nicola De Rossi
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