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Il titolare della Edilforniture ha patteggiato la pena, un collega dell’operaio di Bojano e un camionista sono stati rinviati a giudizio. Una prima risposta della giustizia per i familiari

Un anno e sei mesi al datore di lavoro per la tragica morte bianca di Michele Calabrese. Nessuna pena sarebbe mai stata commisurata alla loro perdita, ma i familiari dell’operaio bojanese rimasto vittima, a soli 43 anni, il 20 novembre 2019, dell’ennesimo ed evitabile incidente sul lavoro, hanno almeno ottenuto una prima risposta dalla giustizia. Oggi martedì 15 marzo, all’esito della più volte rinviata udienza preliminare del processo, in Tribunale a Campobasso, avanti il Gip dott.ssa Roberta D’Onofrio, uno dei quattro imputati di cui il Pubblico Ministero, dott. Francesco Santosuosso, aveva chiesto il rinvio a giudizio, Valentino Bernardo, 54 anni, anche lui di Bojano, titolare della Edilforniture Sas, la ditta del posto per la quale la vittima era assunto a tempo indeterminato da 15 anni e dove si è verificato l’incidente, ha patteggiato la pena di un anno e sei mesi di reclusione, con la sospensione condizionale. Bernardo, che, oltre ad essere il legale rappresentate dell’impresa, aveva anche diretto e svolto in prima persona l’attività di scarico di lastre di marmo finita in tragedia, è stato altresì condannato a pagare le spese di costituzione sostenute dalla madre e dai fratelli del lavoratore, che si sono appunto costituiti parte civile per il tramite dell’avv. Fabio Ferrara, del foro di Bari. Per essere sopportati in tutte attività finalizzate al perseguimento dell’iter risarcitorio, i congiunti di Calabrese, attraverso il responsabile della sede di Bari, Sabino De Benedictis, si sono affidati a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini.

Non hanno invece chiesto riti alternativi R. L., 57 anni, pure lui bojanese, altro dipendente di Edilforniture collega di Calabrese, e F. D. B., 55 anni, di Apricena (Foggia), conducente dell’autocarro dov’era trasportato il materiale: sono stati rinviati a giudizio e per loro il processo proseguirà con la prima udienza dibattimentale il 7 giugno 2022. Non luogo a procedere, infine, per L. G., 54 anni, di Apricena, legale rappresentante della società di trasporti Aladino proprietaria del mezzo, che non era presente alle operazioni “incriminate” e che il giudice non ha ritenuto responsabile. 

L’inchiesta, cui hanno dato un prezioso contributo gli ispettori del Dipartimento Unico Regionale della Prevenzione, Unità Operativa Complessa per la Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro, dell’Azienda Sanitaria del Molise, ha consentito di ricostruire cosa sia avvenuto quel maledetto mattino. Alle 8 nel piazzale esterno di Edilforniture, attiguo al capannone lavorativo, si era disposto un autocarro Scania per lo scarico di blocchi di marmo costituiti da lastre, collocati sulla motrice e sul rimorchio, su entrambi i lati di appositi cavalletti, le “caprette”. Le procedure di scarico del materiale erano dirette da Bernardo in persona, che movimentava anche una gru elettrica con cui prelevava dal camion i blocchi di lastre imbracate con due funi d’acciaio collegate al gancio della gru, per il successivo deposito sull’area del piazzale. Il camionista, sul pianale dell’autocarro, preparava le lastre da prelevare e imbracava il carico inserendovi le funi agganciate alla gru, mentre la vittima e il suo collega, da terra, controllavano l’imbracatura e davano il segnale al loro titolare, e gruista, per effettuare la movimentazione. A un certo punto però, durante il sollevamento e indietreggiamento del carico ad opera del legale rappresentante di Edilforniture, il “pastello” sollevato (cioè il pacco di lastre movimentate assieme perché provenienti dal taglio di uno stesso blocco) deve aver avuto un’oscillazione imprevista andando a urtare il blocco di lastre rimaste sul cassone ma che non erano state colpevolmente legate, provocandone il ribaltamento. Sono appunto le lastre prive di legatura ad aver investito e schiacciato il lavoratore che, altra fatale leggerezza, era posizionato in prossimità della sponda sinistra del camion, proprio al di sotto di dove si trovava il pesante materiale caduto. Tra le varie mancanze, quindi, il datore di lavoro non si sarebbe accertato che la vittima si trovasse in posizione di sicurezza rispetto al rischio di caduta delle lastre ancora sul mezzo, e slegate, e avrebbe pertanto consentito al suo dipendente di eseguire l’imbraco in una zona a rischio infortunistico, cioè sotto le lastre prive di legature. 

Di qui la richiesta di processo da parte del Sostituto Procuratore per il reato di omicidio colposo in concorso, con l’aggravante di essere stato commesso in violazione delle norme di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, per il titolare dell’azienda ma anche per le altre persone coinvolte in quell’attività, le quali, si legge nell’atto del Pm, “collaborando ad operazioni di scarico di blocchi di lastre di marmo da un rimorchio, per negligenza, imprudenza e imperizia e, comunque, in violazione della normativa antinfortunistica di settore, provocavano la caduta dall’alto dei suddetti materiali e l’infortunio mortale di Michele Calabrese”. Più specificamente, si imputa loro, a vario titolo, di non aver adempiuto a una serie di obblighi a cui erano tenuti, relativi alla “scelta delle attrezzature più idonee per l’esecuzione dei lavori di sollevamento e scarico dei materiali”; alla “predisposizione delle misure più adeguate a minimizzare i rischi per i lavoratori mediante l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute di materiali dall’alto”; alla “adozione delle necessarie cautele consistenti nella delimitazione del posto di carico e di manovra degli argani a terra con apposita barriera per impedire la permanenza ed il transito sotto i carichi onde prevenire ed evitare possibili lesioni alla manodopera”. 

Un quadro accusatorio avallato in toto dal giudice, se si esclude la posizione del titolare dell’impresa di autotrasporti, e a fronte del quale Studio3A farà di tutto per ottenere per i propri assistiti quell’equo risarcimento che finora l’azienda del lavoratore ha sempre denegato, arrivando contro ogni evidenza anche a negare il proprio coinvolgimento nel tragico infortunio: un atteggiamento che dovrà necessariamente cambiare alla luce del patteggiamento del proprio legale rappresentare con la relativa, piena ammissione di responsabilità.

Caso seguito da:

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Sabino De Benedictis

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Categoria:

Infortuni sul Lavoro

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